VARIE 14/5/2013, 14 maggio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - ANGELINA JOLIE SI È FATTA ASPORTARE I SENI PER EVITARE IL CANCRO
SALVO DI GRAZIA (IL FATTO.IT)
La notizia può lasciare un po’ interdetti, spiegarla può aiutare a capire meglio, ma fino ad un certo punto. Sì, perché in questa notizia entrano in gioco diversi fattori che non possiamo giudicare in quanto privati ed intimi anche poco attinenti con la medicina in senso stretto.
La notizia è stata rilanciata in tutto il mondo: l’attrice Angelina Jolie si è sottoposta a mastectomia bilaterale preventiva perché portatrice di una mutazione genetica che la esponeva ad un alto rischio di contrarre il tumore mammario. Cominciamo con le spiegazioni: la mastectomia bilaterale preventiva è l’asportazione chirurgica di entrambe le mammelle senza evidenza di malattia. Perché operarsi in maniera così pesante se non vi è alcuna malattia? Perché (e così spieghiamo il secondo punto) l’attrice aveva scoperto di avere una mutazione genetica (un’anomalia dei geni, quelle piccolissime strutture che determinano tutto ciò che siamo) che, tipicamente ed in un’altissima percentuale di casi, porterà allo sviluppo di un tumore al seno.
L’anomalia genetica si trova su due geni, il BRCA (breast cancer susceptibility gene) 1 e 2. Questi geni ci “proteggono” da tumori di vario tipo ma soprattutto da quelli mammari, ovarici ed altri ma in misura notevolmente inferiore, quando vi è un problema nel loro funzionamento (ecco l’anomalia), non si è più “protetti” ed il rischio di ammalarsi diventa statisticamente elevatissimo (almeno del doppio ma fino a 5 volte maggiore rispetto alla popolazione generale), talmente tanto che persino gli uomini con questa mutazione hanno un rischio di avere un tumore mammario più alto del normale. Basta un test (che ha una buona affidabilità) per determinare la presenza di questa mutazione rendendo possibile quindi per qualsiasi persona sapere se si è più a rischio di tumore (e questo varia secondo altri parametri legati alla storia famigliare, personale ed alla provenienza geografica) ma a questo punto sorge un problema: se una donna avesse la mutazione (e quindi un elevato rischio di ammalarsi di tumore mammario) quale condotta tenere?
Non avendo ancora la possibilità di manipolare i nostri geni per “cambiarne” le caratteristiche, tra le armi vi è la prevenzione, effettuare quindi controlli molto ravvicinati ed accurati per minimizzare la possibilità di ammalarsi o effettuare una terapia “preventiva”, con dei farmaci appositi. Ma c’è un’altra via per abbassare drasticamente il rischio, seguita da pochissime donne, frutto di una decisione seria, ponderata, valutata attentamente: l’asportazione preventiva delle mammelle (mastectomia bilaterale, appunto).
Si tratta di un’opzione che da noi è poco accettata (in altri paesi, Usa in testa, è molto più diffusa, pur rimanendo una scelta di una piccola parte dei pazienti con questa mutazione) ma che è salita alla ribalta proprio perché questa volta è stata un’attrice molto nota a compierla e per annunciarlo ha scelto le pagine di un giornale, il New York Times. E’ proprio l’attrice che in prima persona racconta la difficoltà nel prendere la decisione, le motivazioni della scelta, le proprie sensazioni e sottolinea diverse volte come sia stata proprio la sua vicenda personale legata alla morte della madre a darle la spinta definitiva. La mamma di Angelina, infatti, portatrice della mutazione e colpita da cancro mammario, è morta per questa malattia e la figlia ha ereditato la stessa mutazione genetica. Il dolore e le difficoltà causati da quel lutto hanno fatto riflettere l’Angelina, ora mamma a sua volta, non disposta a fare soffrire i suoi figli come lei e così, dopo un importante coinvolgimento emotivo, ecco che l’attrice ha compiuto la sua scelta che ora racconta, a cose fatte, sulle pagine del giornale americano con parole piene di tenerezza per i suoi figli e per se stessa: “Avrebbero visto la mia piccola cicatrice e basta. Tutto il resto era semplicemente la Mamma”, ma anche di momenti duri per l’intervento ed una citazione di gratitudine per il suo partner Brad Pitt. La sua lettera si intitola “La mia scelta medica” ma traspare una grande scelta di vita, a tratti molto toccante.
Angelina ora si ritroverà con un organo in meno (che comunque con la ricostruzione chirurgica avrà un aspetto esteticamente accettabile), con la statistica dalla sua parte (che con l’intervento passa dal 90% circa di rischio di malattia ad un 5%), con la consapevolezza di aver fatto quanto di più difficile si poteva fare per prevenire il dolore ed ha voluto comunicarlo al mondo. Come giudicare? Difficile. La possibilità di mastectomia preventiva è prevista dopo attenta informazione e valutazione per tutte le donne portatrici di questa mutazione.
Le altre opzioni di prevenzione riducono l’incidenza di malattia in maniera minore della scelta più drastica, ma è interessante notare che si è visto come una decisione del genere dipenda in larga parte da esperienza personale e storie famigliari (e questo è successo evidentemente anche nel caso dell’attrice) più che da una percezione fisica del rischio o al consiglio medico, ed a maggior ragione una richiesta del genere deve essere valutata attentamente da parte del medico (che spesso può proporre anche l’asportazione delle tube e delle ovaie, anch’esse a maggior rischio di sviluppare malattie in caso di questa mutazione genetica), informando la donna delle alternative (preventive e mediche), dei rischi, delle conseguenze e dei benefici.
In casi come questi, quando è evidente un percorso di dolore personale nella percezione del rischio di malattia, non è facile giudicare le motivazioni di una scelta che a prima vista appare esagerata e devastante, anche la morte di una persona cara lo è, e salvaguardare chi abbiamo vicino dallo stesso dolore che abbiamo provato, a volte, fornisce una forza inimmaginabile e fa prendere decisioni che possono apparire incomprensibili agli altri.
Fanatismo preventivo. E’ bellissima, può permettersi la miglior mastoplastica ricostruttiva, ma questa non è prevenzione, è distruzione anticipata di un corpo che tutte non possono permettersi (Fb, bacheca di Angela Magnani)
Sapete chi è la signora bionda accanto ad Angelino Alfano? Si chiama Danila Subranni ed è la portavoce di Alfano da quando era Ministro di Grazia e Giustizia. E’ la figlia dell’ex Generale dei Carabinieri dei ROS Antonio Subranni, oggi sotto processo a Palermo per la Trattativa Stato-mafia. Era colui che Paolo Borsellino indicò come "Punciuto" (affiliato alla mafia) pochi giorni prima di morire, alla moglie Agnese Borsellino. (Fb, bacheca di Valerio Eletti)
NEW YORK - Angelina Jolie ha annunciato oggi di aver subito "una doppia mastectomia preventiva". L’attrice ha spiegato la sua decisione con un articolo sul New York Times. "Mia madre ha combattuto il cancro per un decennio, ed è morta a 56 anni. Io ho un gene difettoso, il Brca1, che aumenta in maniera consistente il rischio di sviluppare il cancro al seno e alle ovaie". Secondo le stime dei medici, spiega la Jolie, il suo rischio di sviluppare un tumore al seno è crollato dall’87% al 5%.
"Una volta che ho saputo quale fosse la mia situazione ho deciso di attivarmi e minimizzare il rischio. Ho fatto prima la mastectomia perché il rischio del cancro al seno era più alto di quello alle ovaie, e l’intervento più complesso", scrive la Jolie.
"Ma sto scrivendo - continua - perché spero che altre donne possa avere un beneficio dalla mia esperienza. Cancro è ancora una parola che spaventa i cuori delle persone, producendo un senso di impotenza. Ma oggi è possibile scoprire attraverso un test del sangue se si è a rischio, e fare qualcosa".
Nell’articolo sul New York Times, la Jolie racconta come con i suoi sei figli, tre adottati e tre biologici, parli spesso "della mamma di mamma" e della "malattia che ce l’ha portata via". "I mieI figli mi chiedevano se la stessa cosa potesse accadere a me", confessa l’attrice e
regista, "e allora ho deciso che loro non dovevano temere di perdere la loro mamma per un cancro al seno". Il passo successivo è stata la decisione di sottoporsi all’intervento di doppia mastectomia preventiva. Un lungo processo, miracolosamente tenuto segreto ai media, cominciato lo scorso febbraio e finito il 27 aprile.
"Quando ti risvegli dall’operazione, con i tubi di drenaggio infilati nel seno, ti sembra di stare sul set di un film di fantascienza", racconta la star spiegando che ha deciso di raccontare la sua storia per dire "ad altre donne che la decisione di una doppia mastectomia non è stata facile. Ma è una decisione di cui sono molto contenta. Il rischio di cancro al seno è sceso dall’87% a meno del 5%".
La Jolie si dice anche "fortunata" di avere un compagno come Brad Pitt "che è così amorevole e mi sostiene". "La vita è piena di sfide - conclude l’attrice - , le sfide che non ci devono spaventare sono quelle su cui possiamo intervenire e di cui possiamo assumere il controllo".
(14 maggio 2013)
VERONESI
È un tema che si dibatte da molti anni i fattori di rischio oggi sono molto piu conosciuti. Angiolina ha un rischio elevato. Due possibilità: primo, eliminare totalmente il rischio eliminando il seno oggi abbastanza facile con i progressi della chirurgia plastica però due protesi nel proprio seno non sempre è bene accettato, qualche volta danno delle complicazioni possono dare delle fibrosi intorno e poi ogni 10 anni bisogna cambiarle non è proprio una sciocchezza. Altra tenere il seno sempre sotto controllo e oggi con risonanza magnetica abbiamo possibilità di scoprire un tumore cosi piccolo da poterlo operare con piccola incisione e guaribilità del 98% questo ha ridotto in effetti l’uso della mastectomia bilaterale perche è più semplice e non esisteva 15-20 anni fa. Scelta anche psicologica da parte di donna, ovviamente prima souzionel dà tranquillità più completa anche se rimane piccolo rischio del 5% che si riformi perche cellule ghiandola mammaria sono più diffuse, 5% che però è più complicato perché il tumore in qs casi si forma in una zona già operata già fibrosa con protesi dentro ed è più difficile da diagnosticare più difficile da operare.
Caso Jolie, Hague: ’’Non mi sono accorto di nulla’’
Il Segretario di Stato per gli Affari Esteri britannico commenta la notizia shock sull’asportazione dei seni della Jolie: "Abbiamo lavorato molto insieme negli ultimi mesi, siamo stati al G8 e in Congo, ma Angelina non ha mai dato modo di far capire di essere sotto terapia per l’intervento"
http://www.carcinomaovarico.it/tag/brca1/
(ANSA) SYDNEY, 26 GIU – Le donne che soffrono di cancro alle ovaie dovrebbero sottoporsi a screening per individuare possibili mutazioni genetiche, sostengono ricercatori australiani, dopo uno studio che dimostra come i geni possano far prevedere l’efficacia dei trattamenti. Secondo lo studio pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, il 14% delle donne con cancro alle ovaie ha una mutazione nei geni BRCA1 e BRCA2, ma il 44% di queste non ha precedenti in famiglia di cancro al seno o alle ovaie e pertanto non si sottopone a screening. I ricercatori del Centro Peter MacCallum per il Cancro di Melbourne hanno osservato che le donne con tale mutazione hanno un tasso di sopravvivenza del 55% dopo cinque anni, contro un tasso del 40% fra le donne senza la mutazione. Lo screening e’ importante – scrive l’oncologa clinica Gillian Mitchell che ha guidato lo studio – perche’ la mutazione puo’ determinare sia la prognosi della paziente, sia il trattamento piu’ efficace. Le donne con la mutazione rispondono meglio alla chemioterapia al platino, la piu’ usata per trattare il cancro alle ovaie, che dovrebbe essere continuata anche se non riesce nel breve termine. ”Finora se il tumore ricorre dopo un certo periodo dopo l’ultima dose di platino, la paziente e’ ritenuta resistente al trattamento, che viene interrotto. Ma lo studio indica che se il trattamento viene ripreso, anche poco dopo, la risposta puo’ essere positiva. Lo studio indica inoltre che le donne con la mutazione rispondono meglio anche ad altre forme di chemioterapia, prosegue la studiosa. I risultati hanno importanti implicazioni per future sperimentazioni di farmaci per trattare il cancro alle ovaie. Nella prossima fase, la ricerca cerchera’ di individuare quali donne hanno le mutazioni BRCA e quindi maggiori probabilita’ di sopravvivenza, e quali no
admin | 06.27.12 | Senza categoria, brca1, carcinoma ovarico, ovarian cancer, tumore delle ovaie, tumore ovarico | No Comments |
I GENI RISENTONO DEL NOSTRO STILE DI VITA (ibid)
Le giraffe non hanno sviluppato un collo lungo a forza di ostinarsi ad acchiappare le foglie più alte…». Si potrebbe cominciare così un’argomentazione per confutare Lamarck, giacché il meccanismo dell’evoluzione – intuì Darwin – è la comparsa casuale di caratteri che si affermano quando risultano più vantaggiosi in uno specifico ambiente: le giraffe un po’ più «dotate», arrivando al cibo più facilmente, avevano un’aspettativa di vita più lunga e quindi più probabilità di avere progenie che ereditasse il carattere «collo lungo». Oggi tuttavia c’è chi rivaluta il contributo dei comportamenti individuali e delle pressioni ambientali – in gergo la disciplina si chiama «epigenetica» – nella trasmissione dei caratteri.
Come il team guidato dallo svedese Lars Olov Bygren, specialista di medicina preventiva al Karolinska Institute, ospite in Italia della Fondazione Bracco e del Museo della scienza e della tecnologia di Milano. Bygren ha cominciato a studiare l’influenza degli stili di vita sul cervello in un campione di 12 mila individui e si è trovato sotto la lente i meccanismi con i quali i comportamenti influiscono sulle istruzioni a priori dei geni e, addirittura, come questi possano essere ereditati. Il professore parte da alcuni dati di fatto. «Gli stili di vita – spiega – influenzano l’espressione genica». E fa un esempio: «Se una donna possiede il gene Brca1, che espone al cancro al seno, può ritardare fino ad antagonizzare l’esordio della malattia grazie a un’alimentazione ricca di antiossidanti, abbondanti in frutta e verdura, che inducono l’espressione degli enzimi deputati a “spegnere” i radicali liberi e grazie all’attività fisica, che promuove il silenziamento di geni prooncogeni».
Il destino, dunque, non è scritto nei geni, ma «dipende dalla modulazione dell’azione dei geni». Il dogma centrale della biologia, secondo cui «un gene produce una proteina» – alla base dei vari processi fisiologici – è stato infatti confutato, quando si è scoperto che, pur possedendo solo circa 25 mila geni, il nostro Genoma è in grado di produrre centinaia di migliaia di proteine: «Ogni gene – spiega Bygren – è capace di codificare allo stesso tempo per più di una proteina e la codifica dipende dai segnali chimici che riceve, indotti proprio dagli stili di vita individuali».
Il campione a disposizione era composto da individui selezionati per particolari attitudini alla lettura, interessi per la musica, il cinema, il teatro e la cultura in generale. L’esperimento ha individuato come queste attività migliorino la salute del cervello e in ultima analisi l’organismo in generale: «L’allenamento delle capacità cognitive – continua – guida lo sviluppo delle cellule staminali nelle aree del cervello primitivo a differenziarsi in nuovi neuroni, che a loro volta formano nuove sinapsi». Il cervello, proprio come un muscolo, se sollecitato, conserva e potenzia le sue funzioni, «in particolare nell’area dell’ipotalamo, deputata alla gestione della memoria, e in quella dell’ippocampo, che tra le tante funzioni sottende l’espressione degli stati emotivi». Se infatti viviamo un evento emozionante, e quindi «stressante» per il cervello, l’ormone cortisolo media un processo che porta alla fortissima impressione di quell’evento nella memoria. «Ecco perché – esemplifica il professore – tutti ci ricordiamo cosa stavamo facendo l’11 settembre 2001».
L’effetto «anabolizzante» della cultura sul cervello può aumentare l’aspettativa di vita anche di decine d’anni: «La generazione di nuove sinapsi – continua Bygren – contrasta l’insorgenza del morbo di Alzheimer e aumenta in generale la capacità di gestire al meglio tutto il sistema nervoso periferico e quindi la funzionalità degli organi, mantenendoli in buona salute». Lo studio prova che cultura e svago sono al secondo posto come fattori che determinano l’aspettativa di vita, dopo l’assenza di malattie e prima di fattori come età, reddito, lavoro e sesso. Ma è possibile fissare le buone abitudini nei geni destinati alla progenie, ossia nei gameti? «Secondo noi, è possibile, ma il processo non è mediato dai gameti – precisa il professore -. E spiega: «Un nostro studio su popolazioni del Terzo Mondo, in famiglie con una storia di denutrizione perpetuata da generazioni, mostra che i neonati hanno una fisiologia precaria e sono più esposti alle malattie. Analogamente le popolazioni che si sovralimentano trasmettono ai figli una fisiologia che li espone ad altre malattie, come il diabete».
I cromosomi non sono l’unico veicolo per la trasmissione dei caratteri e Bygren lo spiega con una similitudine: «Le conseguenze della “fame da cibo” si trasmettono con le stesse regole della “fame da cultura”. Le donne incinte che si alimentano correttamente trasmettono segnali chimici che favoriscono uno sviluppo virtuoso del feto così come quelle che si alimentano intellettualmente trasmettono segnali chimici utili allo sviluppo del sistema nervoso nella fase embrionale». Ma attenzione: «Proprio perché l’espressione genica è modulata dagli stili di vita, una volta al mondo, i geni “buoni” vanno coltivati altrimenti la loro espressione è inibita: così, se parliamo di cultura, la stimolazione cognitiva dev’essere promossa nel nascituro, perpetuata nella crescita e con l’avanzare dell’età, affinché i geni che promuovono il differenziamento delle staminali in neuroni e sinapsi rimangano accesi».
Il seno è costituito da un insieme di ghiandole e tessuto adiposo ed è posto tra la pelle e la parete del torace.
In realtà non è una ghiandola sola, ma un insieme di strutture ghiandolari, chiamate lobuli, unite tra loro a formare un lobo. In un seno vi sono da 15 a 20 lobi. Il latte giunge al capezzolo dai lobuli attraverso piccoli tubi chiamati dotti galattofori (o lattiferi).
Il tumore al seno è una malattia potenzialmente grave se non è individuata e curata per tempo. È dovuto alla moltiplicazione incontrollata di alcune cellule della ghiandola mammaria che si trasformano in cellule maligne.
Ciò significa che hanno la capacità di staccarsi dal tessuto che le ha generate per invadere i tessuti circostanti e, col tempo, anche gli altri organi del corpo. In teoria si possono formare tumori da tutti i tipi di tessuti del seno, ma i più frequenti nascono dalle cellule ghiandolari (dai lobuli) o da quelle che formano la parete dei dotti.
Tipologie
Sono due i tipi di cancro del seno: le forme non invasive e quelle invasive.
Le forme non invasive sono le seguenti:
DIN: neoplasia duttale intraepiteliale (carcinoma in situ)
Grado 1A (DIN 1A) = atipia epiteliale piatta
Grado 1B (DIN 1B) = iperplasia duttale atipica
Grado 1C (DIN 1C) = neoplasia duttale intraepiteliale ben differenziato (grado 1)
Grado 2 (DIN 2) = neoplasia duttale intraepiteliale moderatamente differenziato (grado 2)
Grado 3 (DIN 3) = neoplasia duttale intraepiteliale scarsamente differenziato (grado 3)
LIN: neoplasia lobulare intraepiteliale
LIN 1 neoplasia lobulare intraepiteliale grado 1
LIN 2 neoplasia lobulare intraepiteliale grado 2
LIN 3 neoplasia lobulare intraepiteliale in situ
Le forme invasive sono:
il carcinoma duttale: si chiama così quando supera la parete del dotto. Rappresenta tra il 70 e l’80 per cento di tutte le forme di cancro del seno.
il carcinoma lobulare: si chiama così quando il tumore supera la parete del lobulo. Rappresenta il 10-15 per cento di tutti i cancri del seno. Può colpire contemporaneamente ambedue i seni o comparire in più punti nello stesso seno.
Altre forme di carcinoma meno frequenti sono il carcinoma tubulare, papillare, mucinoso, cribriforme. Hanno prognosi favorevole.
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Evoluzione
IIl tumore del seno viene classificato in cinque stadi.
Stadio 0: è chiamato anche carcinoma in situ. Può essere di due tipi:
Carcinoma lobulare in situ: non è un tumore aggressivo ma può rappresentare un fattore di rischio per la formazione successiva di una lesione maligna.
Carcinoma duttale in situ: colpisce le cellule dei dotti e aumenta il rischio di avere un cancro nello stesso seno.
Stadio I: è un cancro in fase iniziale, con meno di 2 cm di diametro e senza coinvolgimento dei linfonodi.
Stadio II: è un cancro in fase iniziale di meno di 2 cm di diametro che però ha già coinvolto i linfonodi sotto l’ascella; oppure è un tumore di più di 2 cm di diametro senza coinvolgimento dei linfonodi.
Stadio III: è un tumore localmente avanzato, di dimensioni variabili, ma che ha coinvolto già anche i linfonodi sotto l’ascella, oppure che coinvolge i tessuti vicini al seno (per esempio la pelle).
Stadio IV: è un cancro già metastatizzato che ha coinvolto altri organi al di fuori del seno.
Se il tumore viene identificato allo stadio 0, la sopravvivenza a cinque anni nelle donne trattate è del 98 per cento, anche se le ricadute variano tra il 9 e il 30 per cento dei casi, a seconda della terapia effettuata. Se i linfonodi sono positivi, cioè contengono cellule tumorali, la sopravvivenza a cinque anni è del 75 per cento.
Nel cancro metastatizzato, cioè quello che ha già colpito altri organi al di fuori del seno (in genere i polmoni, il fegato e le ossa), la sopravvivenza media delle pazienti curate con chemioterapia è di due anni, ma ciò significa che vi sono casi in cui la sopravvivenza è molto più lunga, anche fino a dieci anni.
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Sintomi
In genere le forme iniziali di tumore del seno non provocano dolore. Uno studio effettuato su quasi mille donne con dolore al seno ha dimostrato che solo lo 0,4 per cento di esse aveva una lesione maligna, mentre nel 12,3 per cento erano presenti lesioni benigne (come le cisti) e nel resto dei casi non vi era alcuna lesione.
Il dolore era provocato solo dalle naturali variazioni degli ormoni durante il ciclo.
Da cercare, invece, sono gli eventuali noduli palpabili o addirittura visibili. La metà dei casi di tumore del seno si presenta nel quadrante superiore esterno della mammella.
Importante segnalare al medico anche alterazioni del capezzolo (in fuori o in dentro), perdite da un capezzolo solo (se la perdita è bilaterale il più delle volte la causa è ormonale), cambiamenti della pelle (aspetto a buccia d’arancia localizzato) o della forma del seno.
La maggior parte dei tumori del seno, però, non dà segno di sé e si vede solo con la mammografia (nella donna giovane, tra i 30 e i 45 anni, con l’aiuto anche dell’ecografia).
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Diagnosi
Il cancro del seno viene diagnosticato con la mammografia e l’ecografia mammaria: la scelta di quale dei due esami utilizzare dipende dall’età, anche se nella maggior parte dei casi si utilizzano entrambi.
L’eventuale identificazione di noduli o formazioni sospette porta in genere il medico a consigliare una biopsia, che può essere eseguita direttamente in sala operatoria o in ambulatorio con un prelievo mediante un ago inserito nel nodulo che consente un esame citologico o microistologico. Nel primo caso (esame citologico) si esaminano le cellule, nel secondo (microistologico) il tessuto: questi esami consentono sia di stabilire la natura della malattia, sia, con la microistologia, di valutarne le caratteristiche biologiche.
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Come si cura
Quasi tutte le donne con un tumore del seno, indipendentemente dallo stadio, subiscono un intervento chirurgico per rimuovere i tessuti malati.
Nei casi in cui ciò è possibile si ricorre alla chirurgia conservativa, cioè si salva il seno, ma si asporta tutta la parte in cui si trova la lesione. Questa tecnica è chiamata anche quadrantectomia (o ampia resezione mammaria) e consiste nella asportazione del tessuto mammario che circoscrive la neoplasia. Deve essere seguita da una radioterapia, che ha lo scopo di proteggere la restante ghiandola mammaria sia dal rischio di recidiva locale sia dalla comparsa di una nuova neoplasia mammaria.
Durante l’intervento il chirurgo può anche procedere ad asportare i linfonodi dell’ascella. Per sapere se questi sono coinvolti si usa la tecnica del linfonodo sentinella, cioè si identifica il linfonodo che drena la linfa dall’area dove è situato il tumore. Se all’analisi al microscopio il linfonodo sentinella risulta privo di cellule tumorali o ne presenta un piccolissimo aggregato (micro metastasi), non si toccano gli altri, altrimenti si procede allo svuotamento del cavo ascellare, cioè alla rimozione di tutti i linfonodi ascellari.
Talvolta è necessario asportare più di un quadrante di seno: in questo caso si parla di mastectomia parziale o segmentale e anch’essa viene fatta seguire dalla radioterapia. Nelle forme iniziali di cancro (stadio I e II), la quadrantectomia seguita da radioterapia è altrettanto efficace dell’asportazione del seno. La maggior parte delle pazienti con neoplasia intraepiteliale segue lo stesso percorso.
Forme più avanzate di cancro vengono trattate con l’asportazione dell’intero seno, secondo una tecnica chiamata mastectomia radicale modificata, che prevede l’asportazione della ghiandola, del linfonodo sentinella e/o di tutti i linfonodi sotto l’ascella, raramente di parte o di tutto il muscolo pettorale e spesso anche della pelle sovrastante. In molti casi oggi è possibile salvare il capezzolo e gran parte della cute con la tecnica della mastectomia che conserva il complesso areola e capezzolo (nipple sparing mastectomy). La zona areolare viene protetta con una dose di radioterapia mirata che può essere erogata direttamente in sala operatoria nei giorni successivi.
Sia con la chirurgia conservativa e sia nel caso di mastectomia si procede alla ricostruzione del seno: in rari casi, se la donna deve sottoporsi a radioterapia, si tende ad aspettare la fine della terapia, che può interferire con la cicatrizzazione, altrimenti si procede alla plastica del seno nel corso dell’intervento stesso.
Dopo l’intervento chirurgico un’accurata valutazione istologica e biologica è la base per definire le terapie mediche precauzionali per ridurre al minimo il rischio che la malattia possa colpire altri organi (metastasi a distanza).
Per questa ragione alla maggior parte delle pazienti viene proposta una terapia con farmaci anticancro.
La chemioterapia è utile, ma non sempre è necessaria e va prescritta dopo una valutazione personalizzata di ogni caso. Si prescrive anche nelle forme iniziali (stadio I e II) a scopo precauzionale e il guadagno, in termini di anni di sopravvivenza, è maggiore rispetto alle forme di tumore più avanzato. Negli ultimi anni si è diffuso anche l’uso della chemioterapia neoadiuvante, ovvero somministrata prima dell’intervento per ridurre la dimensione e l’aggressività del tumore.
La radioterapia dura pochi minuti e va ripetuta per cinque giorni la settimana, fino a cinque-sei settimane di seguito. In genere il trattamento radioterapico può essere combinato all’uso di farmaci.
Quando un tumore del seno viene asportato, viene mandato in laboratorio per studiare le caratteristiche biologiche, in particolare lo stato dei recettori, per gli estrogeni e per il progesterone, due degli ormoni femminili. Le pazienti il cui tumore è positivo per i recettori degli estrogeni possono utilizzare farmaci che bloccano gli estrogeni come il tamoxifene, che viene prescritto in pillole per cinque anni dopo l’intervento. Nelle donne in età fertile questo farmaco viene spesso associato ad un inibitore LH-RH analogo che induce una menopausa temporanea.
Vengono utilizzati anche altri farmaci con la stessa funzione, chiamati inibitori delle aromatasi, per ora riservati alle donne che sono già in menopausa. Il tumore viene esaminato dall’anatomo patologo anche per individuare la presenza di un recettore chiamato HER-2/neu. Se questo è presente in modo significativo è maggiore il rischio di incorrere in una ricaduta. Per questa ragione si propone, da qualche anno, alle donne positive per questo esame, di prendere un farmaco biologico chiamato trastuzumab, una sostanza che blocca i recettori e impedisce al tumore di crescere. Altri farmaci biologici sono allo studio.
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Chi è a rischio
Vi sono diversi fattori di rischio per il cancro al seno, alcuni dei quali prevenibili.
L’età : più del 75% dei casi di tumore del seno colpisce donne sopra i 50 anni.
La familiarità : circa il 5-7% delle donne con tumore al seno ha più di un familiare stretto malato (soprattutto nei casi giovanili).
Vi sono anche alcuni geni che predispongono a questo tipo di tumore: sono il BRCA1 e il BRCA2. Le mutazioni di questi geni sono responsabili del 50 per cento circa delle forme ereditarie di cancro del seno e dell’ovaio.
Gli ormoni: svariati studi hanno dimostrato che un uso eccessivo di estrogeni (gli ormoni femminili per eccellenza) facilitano la comparsa del cancro al seno. Per questo tutti i fattori che ne aumentano la presenza hanno un effetto negativo e viceversa (per esempio, le gravidanze, che riducono la produzione degli estrogeni da parte dell’organismo, hanno un effetto protettivo).
Le alterazioni del seno, le cisti e i fibroadenomi che si possono rilevare con un esame del seno non aumentano il rischio di cancro. Sono invece da tenere sotto controllo i seni che alle prime mammografie dimostrano un tessuto molto denso o addirittura una forma benigna di crescita cellulare chiamata iperplasia del seno.
Anche l’obesità e il fumo hanno effetti negativi.
Se il disturbo è benigno
Molte donne di età compresa tra i 30 e i 50 anni mostrano segni di displasia mammaria, un’alterazione benigna dei tessuti del seno che non ha nulla a che vedere col tumore ma che può suscitare qualche preoccupazione al momento della diagnosi. Esistono diverse forme di displasia, la più comune delle quali è la malattia fibrocistica.
Nella displasia fibrocistica a piccole cisti, più frequente tra i 30 e i 40 anni, sono presenti cisti piccole, ripiene di liquido, più evidenti durante il periodo premestruale. Può essere presente dolore. Nella displasia a grosse cisti, più frequente nelle donne tra i 40 e i 50 anni, si osserva la presenza di una o più grandi cisti, di forma rotondeggiante, a contenuto liquido.
Il tumore benigno più frequente è, invece, il fibroadenoma che compare soprattutto tra i 25 e i 30 anni. Si presenta come un singolo nodulo, duro e molto mobile, generalmente doloroso.
I sintomi che accompagnano le displasie e i fibroadenomi sono:
• senso di tensione al seno;
• dolore della mammella;
• comparsa di noduli che la donna può "sentire" con la mano.
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Quanto è diffuso
Il tumore al seno colpisce 1 donna su 8 nell’arco della vita. È il tumore più frequente nel sesso femminile e rappresenta il 29 per cento di tutti i tumori che colpiscono le donne.
È la prima causa di mortalità per tumore nel sesso femminile, con un tasso di mortalità del 16 per cento di tutti i decessi per causa oncologica.
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Prevenzione
È possibile ridurre il proprio rischio di ammalarsi con un comportamento attento e con pochi esami di controllo elencati più sotto. È bene fareesercizio fisico e alimentarsi con pochi grassi e molti vegetali (frutta e verdura, in particolare broccoli e cavoli, cipolle, tè verde e pomodori).
Anche allattare i figli aiuta a combattere il tumore del seno, perché l’allattamento consente alla cellula del seno di completare la sua maturazione e quindi di essere più resistente a eventuali trasformazioni neoplastiche.
La mammografia è il metodo attualmente più efficace per la diagnosi precoce. L’Osservatorio nazionale screening, dipendente dal Ministero, suggerisce una mammografia ogni 2 anni, dai 50 ai 69 anni di età, ma la cadenza può variare a seconda delle considerazioni del medico sulla storia personale di ogni donna. Nelle donne che hanno avuto una madre o una sorella malata in genere si comincia prima, verso i 40-45 anni.
L’ecografia è un esame molto utile per esaminare il seno giovane, dato che in questo caso la mammografia non è adatta. Si consiglia di farvi ricorso, su suggerimento del medico, in caso di comparsa di noduli.
La visita: è buona abitudine fare una visita del seno presso un ginecologo o un medico esperto almeno una volta l’anno, indipendentemente dall’età.
L’autopalpazione: è una tecnica che consente alla donna di individuare precocemente eventuali trasformazioni del proprio seno. La sua efficacia in termini di screening è però molto bassa: questo significa che costituisce un di più rispetto alla sola visita e alla mammografia a partire dall’età consigliata, ma non può sostituirle (vai alla guida all’autopalpazione).
La dieta preventiva
Diversi studi scientifici hanno dimostrato l’utilità di una dieta particolare nella prevenzione delle ricadute del cancro del seno in donne già colpite. Ora si sta valutando l’utilità della stessa dieta nella prevenzione primaria, ovvero in chi non ha ancora sviluppato la malattia. Alla base di questa alimentazione c’è un apporto elevato di fitoestrogeni (ormoni vegetali simili agli estrogeni femminili che sono contenuti principalmente nella soia e nei suoi derivati, ma anche nelle alghe, nei semi di lino, nel cavolo, nei legumi, nei frutti di bosco, nei cereali integrali). Inoltre vanno limitati gli zuccheri raffinati, che hanno l’effetto di innalzare l’insulina nel sangue e quindi di indurre il diabete, a favore di zuccheri grezzi e di amidi.
Ancora: si consiglia di consumare molte crucifere (rape, senape, rucola, cavolfiore, cavolini di Bruxelles, ravanelli, cavolo) perché agiscono in modo positivo nei confronti del metabolismo degli ormoni.
Infine è bene privilegiare il pesce rispetto alle altre proteine animali, accompagnato da grandi quantità di fibre (attraverso il consumo di frutta, cereali, verdura, legumi). Da limitare l’apporto di latticini e uova, tenendo però d’occhio la quantità totale di calcio per prevenire l’osteoporosi.