Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 13 Lunedì calendario

L’ASILO POLITICO, ULTIMO ALIBI PER SFUGGIRE ALL’ESPULSIONE

La storia di violenza di Mada Kabobo, il trentunenne ghanese arrivato in Italia nel 2011 che si è reso protagonista di una «mattanza», apre interrogativi sulle richieste d’asilo nel no­stro Paese; in particolare sulle degenerazioni e zone d’ombra che il sistema di protezione isti­tuito nel 2002 contiene, nono­stante la nobiltà del principio.
L’accoglienza dei «rifugiati» è infatti una questione che in Italia si sviluppa su più livelli: dal momento dell’ingresso ­che più frequentemente avvie­ne via mare (59%) - in cui l’im­migrato può presentare do­manda, si apre un canale con lo Stato, le autorità e via via con gli organismi che intervengono durante il periodo di valutazio­ne della richiesta. Enti locali e terzo settore per ciò che riguar­da l’aspetto strutturale - allog­gio, cura, indirizzo occupazionale, formazione - e, nel men­tre, una serie di progetti dell’An­ci finanziati con risorse straor­dinarie dell’8 per mille Irpef.
Nel 2012 ci sono state 15.715 richieste d’asilo, in calo rispet­to al 2011 (37.350); 8.260 perso­ne (37,3%) hanno ottenuto una forma di protezione; 1.915 (8,6%) lo status di rifugiato, 4.410 (20,3%) la cosiddetta «sus­sidiaria», 1.935 (8.9%) un per­messo per motivi umanitari. Al­cuni hanno a disposizione cir­ca 17 euro per 45 giorni e degli appartamenti appositi: una commissione, solitamente regionale, stabilisce chi ne ha di­ritto. Altri attendono la risposta in centri di accoglienza e, all’ar­rivo della risposta, positiva o ne­gativa, decidono cosa fare: se essere rimpatriati a carico dello Stato «ospitante»; se chiedere la proroga del permesso di sog­giorno temporaneo della durata di tre mesi per cercare fortu­na nell’area Schengen sostanzialmente cambiando la moti­vazione iniziale con cui hanno chiesto di avere accesso al no­stro Paese - oppure se diventa­re clandestini a piede libero, perché di fatto diventano «inespellibili» in caso di ricorso in tribunale. La legge è un colabro­do pieno di occasione per otte­nere la proroga: ricerca di lavo­ro (30%), precarie condizioni di salute (21%), proseguimento di corsi e tirocini formativi (20%), cause di ordine ammini­strativo (12%), ricerca di un al­loggio (10%) o completamento di borse lavoro (7%).
L’immigrato, a quel punto, non è più un richiedente asilo. Ma non può neppure essere al­lontanato prima della definizio­ne giuridica della propria vicen­da. Come nel caso di Kabobo, che dopo la bocciatura da «rifu­giato» ha ottenuto un permes­so temporaneo, non rinnovato. L’anno scorso, 13.900 richie­denti asilo hanno ottenuto il di­niego. Secondo un documento della polizia federale tedesca sarebbero invece oltre 5mila i migranti che si sono avvalsi di un contributo di 500 euro per la­sciare l’Italia. «Invece di chiude­re i centri di accoglienza e di spingerne gli abitanti a pro­seguire la mi­grazione ver­so altri Stati dell’Ue, l’Ita­lia deve espellere nei Paesi d’origine colo­ro che non hanno diritto all’asi­lo, perché immigrati per ragio­ni economiche», ha detto due mesi fa il ministro dell’Interno tedesco, denunciando questa degenerazione.
I soldi pubblici, per i richie­denti, solitamente sono messi a disposizione direttamente dal­la Presidenza del Consiglio dei ministri. Ma, come ab­biamo visto, ci sono devia­zioni possibili durante il per­corso della do­manda da «rifugiato». Una trafi­la in cui l’immigrato può «perdersi» o addirittura successiva­mente disperdersi nel territo­rio nazionale o nell’area Schen­gen. O collezionare precedenti che vanno dai reati contro il pa­trimonio, al danneggiamento, alla resistenza a pubblico uffi­ciale come Kabobo. Del resto il tempo di valutazione delle do­mande è di circa sei mesi, ma i ricorsi allungano i tempi a di­smisura. Lo Stato nel frattempo provvede anche a finanziare progetti di inserimento. Qual­cuno però si dedica ad altro. An­che con un piccone alla mano.