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 2013  maggio 13 Lunedì calendario

MARINO, L’AMERICANO A ROMA CHE FA L’INDIANO SUI RIMBORSI

Considerandosi un com­pendio di virtù, Ignazio Marino dolorosamente stupito ogni volta che gli si rin­faccia qualche magagna. Or­mai gli capita spesso negli sgoc­cioli di campagna elettorale (si vota il 26-27 maggio) con la qua­le contende a Gianni Aleman­no la guida del Campidoglio. Ultimi a mettersi di traverso gli animalisti. Com’è noto, Marino, senatore del Pd, è un illu­stre chirurgo del fegato, con set­tecento trapianti e molte vite salvate. Perciò è vivisezionista convinto, a tratti un po’ fanati­co come quando nel 1992 ucci­se un babbuino per trapiantar­ne il fegato su un malato che so­pravvisse sì e no un paio di mesi alla mostruosa commistione. Impresa che ripeté, previo scan­namento di un secondo babbui­no, ma stavolta del tutto inutilmente poiché il paziente morì senza riprendere conoscenza. Oggi, Marino riconosce che uo­mini e babbuini sono cose di­verse, ma per saperlo bisogna­va sperimentarlo.
Si può dunque capire, con tut­to il rispetto per il suo punto di vista, che gli animalisti romani lo abbiano sul gozzo. Ovunque vada, Ignazio è circondato da gruppetti che urlano: «Marino, Marino sei tu il babbuino». Il se­natore, che si sente vittima, ri­pete inutilmente di amare gli animali. Forse per questa coda di paglia ha impostato la cam­pagna elettorale sulla serena convivenza di animali e uomo, adulti e bambini. Con lo slogan Roma è vita ha affidato il programma a un fumetto di venti pagine che annuncia «una città a misura di bambino», con aree pedonali, biciclette, bebè e ca­ni a spasso. Il solito quadretto preelettorale.
Quando il senatore procla­ma il proprio affetto per gli animali, parla dei suoi gatti, Napo­leone e Paolina, e più ancora di Annibale che teneva con sé negli States, dove ha vissuto quindici an­ni, tanto da avere oggi la doppia cittadinanza. Il fat­to che dia no­mi di condot­tieri ai mici maschi è se­gno di lieve megaloma­nia. Nulla di grave. Inquietante invece l’ammirazione per Annibale, nome non casuale del gatto americano, poiché in un’inter­vista rivelò che il suo libro pre­ferito era la biografia del gene­rale cartaginese di Gianni Granzotto. Ora, essendo Anni­bale il nemico più feroce che Roma abbia avuto, ci si chiede con quali intenzioni Marino si candidi ad amministrarla.
Nato cinquantotto anni fa a Genova, Ignazio si trasferì nella Capitale a quattordici anni. Qui si immerse nel cattolicesi­mo romano. Si iscrisse agli scout, frequentò il liceo dai Fra­telli delle Scuole Cristiane, si laureò in Medicina all’Universi­tà Cattolica. Per ascendenze si­ciliane, è lontano cugino dell’at­tuale arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, mentre il prede­cessore, Salvatore Pappalardo, fu suo padre spirituale e i due so­no legatissimi. Insomma, un ve­ro figlio di Maria, sposato da un quarto di secolo con Rossana, ex infermiera del Policlinico Gemelli, il nosocomio dei Papi. Questi legami beghini non gli hanno impedito, però, di infischiarsene della dottrina della Chiesa sul fine vita ed essere tra gli alfieri del testamento biolo­gico, ossia per l’autodetermina­zi­one del malato sul proprio tra­passo.
Marino lasciò l’Italia nel 1980 per estirpare organi tra gli anglosassoni. Prima a Cambridge in Inghilterra, poi a Pittsburgh in Pennsylvania. Negli Usa fece un sacco di pratica, compresa quella sui babbuini. Fu così che nel 1997 diventò il trait d’union tra l’Università di Pittsburgh e la Regione Sicilia per la nascita a Palermo dell’Ismett,un super­centro per trapianti. Tornò in Italia e ne fu il mattatore, accen­trando le cariche. Nonostante la bravura trapiantologica, si fece fama di arrogante, più autori­tario che autorevole, incapace di lavorare in èquipe e motivare i collaboratori. Inoltre, mentre si diceva contrario alle raccomandazioni era spalleggiato da mezza Sicilia, dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, al già citato cardinale Pappalar­do. Quando Salvatore Cuffaro divenne governatore si fece quattro conti e scoprì che l’Ismett era un pozzo senza fon­do. Ogni posto letto costava alla Regione 1,7 milioni l’anno, contro una media della sanità siciliana di 200mila euro letto.
Marino capì che per lui non era più aria e col tono di chi dice ingrata patria ruppe nel 2002 con Cuffaro, l’Ismett, l’Univer­sità di Pittsburgh e tornò negli Usa in un’altra struttura sanita­ria. Fu a questo punto che nac­que l’incresciosa vicenda dei rimborsi spese fasulli. Nel fare i conteggi della liquidazione, il capo del centro medico di Pitt­sburgh, Jeffrey A. Romoff, sco­prì che Ignazio si era fatto rim­borsare due volte le stesse spe­se, una dall’Ateneo di Pittsbur­gh, l’altra dall’Ismett. Crudel­mente, Romoff precisò che ciò era avvenuto «intenzionalmen­te» e non per errore, per un tota­le di ottomila dollari. Quando la storia emerse nel 2009, Mari­no- già in politica da anni- farfu­gliò scuse ma non dette una spiegazione vera che manca tuttora. Solo una volta disse, infeli­cemente, che all’epoca maneg­giava milioni e che «se un con­trollo contabile trova una di­screpanza per ottomila dollari, beh, che volete che vi dica...». Insomma, se la cosa riguarda lui, che agli altri non perdona nulla, è tutta una quisquilia.
Marino l’americano si riaf­faccia sulle nostre coste nel 2006. Vuole dare una sterzata alla sua vita e si rivolge a Max D’Alema, suo amico per ragio­ni mediche e di cui era collaboratore nella Fondazione Italianieuropei. Detto fatto. Max lo affida a Goffredo Betti­ni, il king maker del Pd - che pare sia dietro di lui anche in questa campagna per il Campidoglio- e Ignazio è eletto senatore. Il giorno dopo, cosa inaudita per un pivello, diven­ta presidente della commis­sione Sanità.
Nonostante favoritismi e cre­ste, Marino continua a considerarsi immacolato e a fare le bucce al prossimo. L’aria di su­periorità lo ha reso odioso a molti, tanto che piace solo a Ni­chi Vendola e ai giustizialisti. Nel 2009 litigò perfino con D’Alema perché volle candi­darsi per la segreteria, terzo in­comodo tra Bersani e France­schini. Max, che sosteneva Ber­sani, lo pregò di non farlo per non disperdere voti, ma l’altro rifiutò. D’Alema urlò e Marino disse: «Ho passato la vita tra fe­gati e sangue, figurati se posso avere paura». A Baffino fu chia­ro che si era messa una serpe in casa com’era già accaduto con Di Pietro un decennio pri­ma. Nelle stesse ore, innervosì pure a Rosy Bindi, nonostante li leghi l’incenso. C’era stato un mezzo matto, iscritto al Pd, che aveva commesso stupro. Ignazio sentenziò: «Nel Pd c’è una questione morale enor­me». Indignata perché si colpe­volizzava l’intero partito per un maniaco, Rosy disse: «Mari­no non ha né il cuore, né l’intelligenza per dirigere il Pd».
Ma se non ce l’ha per il parti­to, perché volete rifilarlo per governare Roma?