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 2013  maggio 13 Lunedì calendario

IL POPOLO DI TWITTER NON CI RAPPRESENTA MA CI ASSOMIGLIA

Enrico Mentana, diretto­re del Tg La7 , si ritira da Twitter e scoppia un ca­so. Ieri se n’è occupato persino il Corriere della Sera , in prima pagina, con un articolo dello stesso principe del giornalismo televisivo che ha tentato di spiegare i motivi del gran rifiuto. Confesso: non li ho capiti. For­se Chicco ha fatto dei ragiona­menti troppo complicati e me ne è sfuggito il senso. Mi rima­ne un dubbio: o sono indietro io o è molto avanti lui. Più probabile la prima ipotesi.
Nei giorni scorsi comunque ho letto qua e là che Mentana, pur avendo oltre 300mila fol­lower (chiamiamoli pure seguaci, persone che lo seguono), si è stupito, con disgusto, di essersi imbattuto sulla Rete in un nu­mero considerevole di cafoni, con i quali, adusi come sono a un linguaggio volgare, è bene non dialogare. In effetti questo social network è frequentato da una massa im­pressionante di maleducati pronti a insultare (non solo, ma soprattutto) i cosiddetti Vip. Ai quali non perdo­nano nulla, specialmente di avere opinioni diverse dalle loro.
Un esempio, tanto per volare bas­si, rasoterra: tu scrivi un pensierino, rigorosamente espresso in 140 battu­te, per dire che la lira era migliore del­l’euro? Immediate le reazioni. Mediamente, venti «soci» si dichiarano d’accordo con te, e sette non silimita­no a dissentire con un sia pur pallido argomento, ma ti danno cortesemen­te della testa di cazzo, dello stronzo ignorante e del buffone di corte. Se poi di mestiere fai il giornalista, allo­ra sei anche un servo arricchitosi con i soldi del padrone. Come se i pa­droni riuscissero a restare tali coprendoti di denaro.
Ammetto, può non far piacere leg­gere sul tablet una serie di insolenze a te riservate e spesso anonime. La prima volta che capita, ci ridi su. La seconda anche. Ma la centesima su­scita irritazione in chi nella vita è abi­tuato a prendersi, e a prendere gli al­tri, sul serio. Credo pertanto di com­prendere lo stato d’animo di Menta­na, nel momento in cui ha deciso di uscire da Twitter, ma non condivido la scelta rinunciataria. O meglio, l’avrei condivisa se indotta da stan­chezza, da noia, dal desiderio di non lavorare gratis: uno che campa di pa­role non è avvezzo a dirne o a scriver­ne per diletto, ma pretende che gli venga riconosciuto un compenso che, invece, Twitter non dà. Ne so qualcosa.
Chicco, se non erro, non si è defila­to per questo, ma proprio perché of­feso dalla malacreanza di una robu­sta minoranza di interlocutori. E ciò dimostra che egli non sa in quale mondo viviamo. Il popolo del Web non è diverso da quello che guarda la tv. La differenza è che se il telespetta­tore, seduto in poltrona, ti insolenti­sce perché a suo giudizio hai detto una bischerata, tu non lo senti e, quindi, sei convinto che sia un signo­re gentile e che magari ti ascolti pie­no di interesse. Se, viceversa, cin­guetti online, sei esposto alle repli­che di migliaia di iscritti a Twitter, tra cui un’alta percentuale di cafon­celli che non esitano a svillaneggiar­ti attingendo al vocabolario più triviale.
Quando sono soli davanti al loro computerino, gli uomini (e le donne, naturalmente) frustrati e aggressivi non hanno freni inibitori, e si lascia­no andare ai peggiori istinti; godo­no, in particolare, a sfruculiare e ol­traggiare le persone di qualche noto­rietà. Agiscono per spirito di rivalsa: gliene ho dette quattro a quel cretino che si dà un sacco di arie. Sfogano la rabbia che hanno dentro, prodotta suppongo da una generica e indefini­bile insoddisfazione. Si comportano come certi automobilisti, gente ma­gari perbene che, però, chiusa nella scatola di lamiera e col volante fra le mani, assistendo a una manovra sba­gliata di un altro automobilista, smarrisce la sinderesi e comincia a sacramentare, irrigidisce l’indice e il mignolo, in segno di corna.
Dopo una giornata di lavoro mono­tono e talora sfibrante, anche il mite ragionier Rossi, avendone la possibi­lità tecnologica offerta dal tablet, manda affanculo Mentana (tutti i Mentana che concionano su Twit­ter) al cui livello, per un attimo, si illu­de di essere. Non lo giustifico. Ma intuisco che per lui sia un esercizio libe­ratorio, simile a quello dei tifosi da stadio che urlano ai giocatori della squadra avversaria: «Dovete mori­re». Twitter non è tutti noi però ci so­miglia.