Furio Colombo, il Fatto Quotidiano 13/5/2013, 13 maggio 2013
LA STRANA GUERRA DEGLI ESERCITI DI CARTA
Due importanti protagonisti giornalismo europeo, Ferdinando Giugliano e John LLoyd, entrambi firme del Financial Times, hanno scritto un libro dedicato al giornalismo italiano contemporaneo, Eserciti di Carte, Feltrinelli. La prima cosa che stupisce, in questo libro che si propone come un giudizio pacato, distante, internazionale, è la seguente affermazione: “Le due figure più importanti del giornalismo italiano hanno ritenuto che l’oggettività non fosse poi così importante per la professione (...) Entrambi hanno ritenuto che il giornalismo dovesse essere militante”. Gli autori stanno parlando di Indro Montanelli, che ha abbandonato Il Giornale perché il suo proprietario, Berlusconi, non solo era diventato all’improvviso un leader politico, ma stava già mettendo le mani nelle pagine di cui Montanelli era direttore (1994). E stanno parlando di Eugenio Scalfari, che nel momento di fondare La Repubblica (1975) “scrisse di voler trasformare il giornalismo dal’essere voce passiva all’essere voce attiva”. Su queste due affermazioni preliminari gli autori di “Eserciti di carta” decidono: “Una delle tesi principali del nostro libro è che il piacere per la polemica che ha caratterizzato, più che in altri Paesi, la scena politica e mediatica italiana degli ultimi anni, non ha permesso ai media di servire a pieno i propri doveri democratici”.
L’altra tesi principale, e la più fuorviante per l’intero testo (che, purtroppo, verrà adottato da molti docenti di scuole di giornalismo, perchè garantisce di non essere presi di mira come “antiberlusconiani”, cioè la peste ) è che “non si può dire che Berlusconi sia una anomalia”. A riprova citano il francese Tapie (che è appena uscito dalla prigione), l’americano Bloomberg, che è un apprezzato sindaco di New York che non ha mai usato le sue Tv per campagne elettorali e non si è mai accostato alla politica nazionale, il cileno Pinera, che per diventare presidente del suo Paese ha usato l’espediente del blind trust, separandosi dai suoi beni, di Rupert Murdoch, che è rivale di Berlusconi quanto a ricchezza e potere editoriale, ma non ha mai voluto governare un Paese. Nel testo si cita come testimone a favore di Berlusconi (“mai noioso”, “un buon amico”) Tony Blair, senza ambientare la sua discussa figura nel contesto storico.
Parte di qui, attraverso una selezione di frammenti di comportamento giornalistico italiano, montati secondo il fine “oggettivo” del libro (e con la eliminazione completa di cinque anni di vita de l’Unità e dei suoi giornalisti, negli anni chiave di Berlusconi, 2001-2005) una ammonizione a essere “arbitri” e non protagonisti. Si sono dimenticati del New York Times dei tempi di Daniel Ellsberg e delle “Carte del Pentagono”, del Washington Post del Wartergate, di Gola Profonda, della lotta fra due giornalisti e il presidente degli Stati Uniti. Gli apprezzamenti e le condanne che il giornalismo italiano merita in tutto il ventennale, umiliante periodo (che dura ancora) sotto Berlusconi, non sono in questo libro.