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 2013  maggio 14 Martedì calendario

SCIASCIA: I MAFIOSI? DELINQUENTI E PARASSITI

Sulla mafia, sulla peculiarità di questa organizzazione criminale unica al mondo, sono state scritte intere biblioteche. Saggi, romanzi, inchieste, ma anche film e documentari, alcuni utili, altri meno degni di attenzione. Eppure tanta produzione non è riuscita a pronunciare una parola definitiva sull’identità mafiosa, sui legami con la società civile, con l’economia, con la politica e le istituzioni. Perciò appare ancora più sorprendente la lettura di un «piccolo saggio» scritto da Leonardo Sciascia, intorno alla metà degli anni Settanta, e riproposto adesso dall’editore Barion col titolo – provocatorio ma aderente alla realtà – di La storia della mafia.

È possibile che un «libretto» riesca laddove hanno vacillato ponderosi tomi? È possibile se l’analisi proviene da una intelligenza laica e fulminante come quella del «maestro di Regalpetra», che spoglio di ogni ingombrante furore moralistico si concentra, con chirurgica spietatezza, sui fatti, sulla sintomatologia mafiosa senza remore o retropensieri.

Ne vengon fuori una trentina di paginette che sono una specie di manifesto dell’analisi sulla mafia, corredate da una postfazione, scritta da Salvatore Ferlita, chiarificatrice di come l’illuminismo sciasciano sia la chiave che consente allo scrittore di illustrare «semplicemente» un fenomeno complesso e arricchita da una deliziosa intervista, realizzata da Giancarlo Macaluso, a un suo vecchio (91 anni e una lucidità invidiabile) compagno di scuola di Racalmuto.

Sciascia parte dall’origine, dall’etimologia della parola mafia, e sorprende subito il lettore rivelando come il macabro marchio risalga addirittura alla metà del Seicento. Poi ne ripercorre, con rigore, la storia: il feudo, la diseguaglianza sociale, l’inettitudine di una nobiltà siciliana parassitaria e per nulla produttiva, i campieri, i gabelloti, fino ai mafiosi arruolati da una nuova borghesia consegnatasi al potere mafioso con l’illusione di poter salvare se stessa e i propri averi.

Tutto questo nella disattenzione, nell’indifferenza di uno Stato colpevolmente assente. Eppure non sono mancate le analisi allarmanti, come quella del procuratore Ulloa (Trapani 1838) che tracciava questo quadro della società dell’epoca, dopo aver descritto lo strapotere di una corruzione dilagante: «Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Ci sono in molti Paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo…».

Ma sbaglierebbe chi pensasse che l’analisi di Sciascia sia datata, perché, poco più avanti, lo scrittore offre la più moderna definizione di mafia. Tanto aggiornata da essere stata adottata, nel suo lavoro, da un giudice del calibro di Giovanni Falcone. «La mafia – scrive Sciascia – è un’associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si pone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato». Altro che il «modo di sentire» di Pitré, o la gattopardesca «specialità dell’essere siciliani».

Una convivenza, quella tra potere mafioso e potere economico-politico-istituzionale, che attraversa la difficile «unificazione» garibaldina, fa capolino durante il Ventennio e sfocia nell’operazione «geopolitica» dello sbarco alleato pianificato con l’ausilio delle mafie siciliana e americana. Sull’esportazione di Cosa nostra negli Usa, Sciascia – riprendendo un saggio di Ed Reid - rivela una data e un luogo: 1915 e Saint Louis, nel Missouri, come «prima città americana cui fu applicato il sistema di sfruttamento della mafia».

«Certo – chiosa Ferlita in postfazione – ci sarà qualcuno pronto a sostenere che questa Storia della mafia è troppo scorciata, che manca questo o quel riferimento… Non importa: questa è la “storia della mafia” raccontata da uno scrittore che per primo in Italia volle guardare in faccia la gorgone, per raccontarci com’era fatta». E ricorda, Ferlita, un’amara verità: «Registrando, nel corso della sua militanza, delusioni su delusioni, facendo incetta spesso di equivoci». Proprio così, come ci ha raccontato l’incredibile polemica sui «professionisti dell’Antimafia», che segnò Sciascia addirittura tra i nemici di Falcone e Borsellino.