Sergio Romano, Corriere della Sera 14/5/2013, 14 maggio 2013
Nella rubrica del 21 aprile lei ha scritto: «Tocca ai partiti ora evitare le ambiguità con cui hanno accompagnato la vita del governo guidato da Mario Monti
Nella rubrica del 21 aprile lei ha scritto: «Tocca ai partiti ora evitare le ambiguità con cui hanno accompagnato la vita del governo guidato da Mario Monti. Quel governo ha fatto alcuni errori, ma il miglior modo di correggerli non era quello di ritardarne il lavoro o prenderne continuamente le distanze». Con il senno del poi, da appassionati quali tutti, o quasi tutti, siamo stati al governo Monti, che finalmente restituiva una dignità alla politica del nostro Paese, quali sono stati gli errori di quella esperienza tecnica di altissimo livello e valore? Cecilia Bergamaschi bergamaschi@coppini.it Cara Signora, C on il senno di poi e a giudicare dagli effetti, l’errore maggiore fu probabilmente la legge sul lavoro. Ma credo che il governo, in quel momento, avesse parecchie attenuanti. Da molti anni gli economisti, i sociologi e i demografi sostenevano che la previdenza comportasse spese sempre meno sostenibili e che l’allungamento della vita umana esigesse ormai l’allungamento della vita lavorativa. Tutti i governi, di centro-destra o di centro-sinistra, sembravano esserne consapevoli, ma tutti, soprattutto a sinistra, evitavano di prendere decisioni che avrebbero irritato una buona parte dell’elettorato. Persino lo «scalone» adottato da Roberto Maroni, ministro del Lavoro del governo Berlusconi, per l’innalzamento dell’età della pensione da 57 a 60 anni, fu «limato» e addolcito dal suo successore nel governo di Romano Prodi. La legge Fornero, quindi, parve subito molto coraggiosa e dette all’Europa l’impressione che l’Italia di Mario Monti sarebbe stata più credibile di quella dei suoi predecessori. Occorre quindi riconoscere che nel particolare momento in cui venne adottata la legge fu utile al Paese. Ma anche le buone intenzioni possono inciampare nella realtà. Il primo incidente di percorso fu quello degli «esodati», vale a dire delle persone anziane che avevano smesso di lavorare prima dell’età fissata dal vecchio sistema e rischiavano di finire fra due sedie. I loro diritti furono faticosamente salvaguardati, ma la recessione e l’aumento della disoccupazione crearono nuovi problemi. In una intervista recente, apparsa su la Repubblica del 6 maggio, Carlo Dell’Ariga, professore all’Università cattolica di Milano e sottosegretario al Lavoro, ha detto: «C’è il rischio di considerare esodato chiunque non possa andare in pensione con le vecchie regole». Prolungare l’età del lavoro è giusto, ma diventa inopportuno in una situazione in cui l’anziano occupa più lungamente un posto che potrebbe consentire a un giovane di trovare un impiego. Aggiungo che il governo Monti, dopo avere adottato norme coraggiose anche in materia di licenziamenti (l’art. 18) ha fatto due parziali passi indietro: ha restituito un certo ruolo alla magistratura e ha cercato di dare maggiori garanzie alle persone assunte con contratti atipici. La prima decisione ha dato agli investitori stranieri la sensazione che la situazione in Italia non fosse cambiata; la seconda ha persuaso i datori di lavoro a non rinnovare i vecchi contratti e li ha scoraggiati dal fare nuove assunzioni.