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 2013  maggio 14 Martedì calendario

Il presidente della Banca centrale europea dice di essere «frustrato» dal comportamento delle banche che, pur inondate da Francoforte di liquidità a costo pressoché zero, non prestano denaro né alle imprese né alle famiglie

Il presidente della Banca centrale europea dice di essere «frustrato» dal comportamento delle banche che, pur inondate da Francoforte di liquidità a costo pressoché zero, non prestano denaro né alle imprese né alle famiglie. Perché? Almeno in Italia il motivo è semplice: le nostre banche hanno poco capitale, e quel poco è eroso dagli effetti della crisi. Impiegano la liquidità per acquistare Btp, anziché per fare prestiti. La restrizione del credito amplifica gli effetti della mancata crescita. L’opposto di un circolo virtuoso. Meno denaro a famiglie e aziende rende la crisi più profonda; questo a sua volta fa crescere il volume dei prestiti di dubbia riscossione i quali assorbono capitale e quindi restringono ancor più il credito. Un circolo infernale. In questo quadro generale spicca un caso eclatante. Entro il 1° luglio la Banca Popolare di Milano (Bpm) dovrà restituire allo Stato il prestito di 500 milioni di euro che ricevette quattro anni fa. Se non lo restituisse, gli interessi salirebbero al 9%, un costo difficilmente sopportabile dalla banca. L’unico modo per riuscirci è convincere gli azionisti della Bpm a sottoscrivere un nuovo aumento di capitale, a soli due anni da quello di 800 milioni che sottoscrissero nel 2011. Ma di quante risorse fresche ha davvero bisogno la Popolare di Milano? 500 milioni servirono quattro anni fa per soddisfare i requisiti minimi imposti dalla Banca d’Italia. Da allora la Bpm ha dovuto contabilizzare perdite significative sul finanziamento di operazioni immobiliari e su prestiti a società nel settore dei giochi, che hanno reso necessario il secondo aumento di capitale. Ha poi subìto, come tutte le banche, gli effetti della crisi. Bastano 500 milioni? Non per investire in Btp, per cui non serve avere capitale, ma per riaprire le linee di credito alle imprese? La Popolare di Milano è una delle banche più importanti in Lombardia; la possibilità di questa regione di riprendersi dipende anche dal credito che l’istituto potrà erogare. Se l’aumento di capitale sarà striminzito, di prestiti la Popolare ne farà pochi. E questo accadrà in una delle aree che più di altre possono fare da traino alla crescita dell’intero Paese. Possiamo sapere dal Governatore della Banca d’Italia di quanto capitale la Bpm avrebbe bisogno per ricominciare a fare l’istituto di credito? E possiamo sapere se il rifiuto degli azionisti della banca di abbandonare il voto capitario (la regola statutaria per cui il peso di ogni socio vale comunque uno, quale che sia il numero di azioni che egli possiede) rende possibile effettuare con successo un aumento di capitale della dimensione che sarebbe necessaria? L’aver respinto la trasformazione in società per azioni rende tutto più difficile. Il voto capitario perpetua una situazione per cui dipendenti e sindacati continuano ad essere attori centrali nel controllo della banca. La storia, anche recente, della Popolare di Milano dimostra quali danni possa produrre una simile commistione. Affrontare i problemi dalla coda non è mai un buon metodo. Il Governatore dovrebbe cominciare col chiedersi che cosa serve per far ripartire il credito nel nostro Paese. E di quanto capitale la Popolare avrebbe bisogno per fare la sua parte. Se la conclusione fosse che per un istituto con le regole della Popolare di Milano raccogliere il capitale necessario non è possibile, egli dovrebbe andare in Parlamento e chiedere che tali regole vengano abrogate. Non si può parlare di crescita se non si eliminano neppure gli ostacoli più ovvi che la frenano.