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 2013  maggio 14 Martedì calendario

C’è di nuovo parecchia foschia sulla Manica. Questa volta potrebbe però essere vero che isolato è un po’ anche il continente, non solo la Gran Bretagna

C’è di nuovo parecchia foschia sulla Manica. Questa volta potrebbe però essere vero che isolato è un po’ anche il continente, non solo la Gran Bretagna. La possibilità che Londra abbandoni l’Unione Europea è diventata concreta: certo, è innanzitutto un problema del Regno Unito, dopo che il primo ministro David Cameron ha promesso per il 2015 un referendum sul tema, il partito «indipendentista» ha conseguito una vittoria alle recenti elezioni locali e una serie di ministri e deputati conservatori si sono espressi per un abbandono in tempi rapidi. Al punto che il presidente americano Barack Obama ha invitato ieri Cameron a ricucire i rapporti con Bruxelles. È anche però un problema per l’Europa, che senza Londra non sarebbe necessariamente migliore. Alzare le spalle di fronte a un’ipotesi del genere non è una buona idea.
Una Brexit — come viene definita l’uscita britannica dalla Ue — avrebbe conseguenze di rilievo. Innanzitutto, verrebbe meno la portata internazionale garantita da Londra: deterrente nucleare, esercito, diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, legami d’amicizia con le ex colonie, una diplomazia esperta. L’ambizione di fare dell’Europa una potenza globale verrebbe ridimensionata. Secondo, un’Unione Europea senza Regno Unito perderebbe uno dei maggiori sostenitori del mercato unico e delle politiche di liberalizzazione. Se un ruolo positivo, tra i tanti negativi, Londra lo ha infatti giocato nella politica europea è stato nella spinta che i suoi governi hanno dato alle aperture in economia. Senza questa pressione, le posizioni più protezioniste avrebbero domani più spazio. Di riforme si parlerebbe meno, a Bruxelles: e l’Italia sa quanto le non molte innovazioni introdotte nei decenni passati siano state frutto esclusivo delle politiche imposte dall’Europa.
Terzo, l’allargamento della Ue cambierebbe di segno. In particolare, il processo che deve portare all’ingresso della Turchia — che ha trovato in Londra il suo maggiore sostenitore ma che è sempre stato voluto anche da Roma — finirebbe nella sabbia. Quarto, l’uscita del Regno Unito renderebbe davvero più omogenea e più stabile l’Unione, come sostengono i politici e i funzionari europei che vedono bene il divorzio? Probabilmente, più che un compattamento, la perdita di Londra sarebbe vista come il segno di forze centrifughe al lavoro nella Ue. Vero che la Grecia non la si è voluta perdere soprattutto per difendere l’euro (del quale Londra non fa parte): ma, avendo pagato a caro prezzo il salvataggio di Atene, ha senso affrontare la possibile uscita dalla Ue di un Paese di ben maggiore peso con indifferenza o soddisfazione?
La risposta a questi argomenti è, di solito, che il Regno Unito accampa pretese ingiustificate per restare ed è un ostacolo nel processo verso «più Europa». Vero, come si è visto nel recente passaggio del bilancio europeo, nella discussione sull’Unione bancaria e in tante circostanze precedenti. Non un buon motivo, però, per arrendersi a un’eventualità che potrebbe rivelarsi molto negativa. La strada di alcune concessioni reciproche, come indica Obama, può forse essere tentata. Meglio sollevare la nebbia che restare isolati su ambedue le sponde del Canale.