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 2013  maggio 13 Lunedì calendario

TAPPE DELLA DEMOCRAZIA ITALIANA DALL’UNITÀ AI GIUDIZI DI BRUXELLES

Sono nato nel 1952, mi hanno sempre detto che il pregio principale della generazione che mi ha preceduto è stato quello di averci portato alla democrazia. Il popolo elegge i propri rappresentanti a suffragio universale: non era mai accaduto prima, perché l’Italia era sempre stata governata da oligarchie o dittature. Ora leggo che un presidente del Consiglio non eletto dal popolo manda a prendere visione delle proposte di legge (o decreti-legge), prima che siano discusse e approvate dal governo e dal Parlamento italiano, a tale Olli Rehn. Questo signore chi lo ha eletto?
Giorgio Paoletti
paolettigiorgio@alice.it
Caro Paoletti, qualche notizia in più, anzitutto, sulla storia politica italiana prima della Costituzione repubblicana del 1946. Lo Statuto promulgato da Carlo Alberto nel 1848 affermava all’art. 5 che «al Re solo appartiene il potere esecutivo». Ma si consolidò rapidamente, grazie a Cavour, la prassi secondo cui il Parlamento poteva sfiduciare il governo e il sovrano doveva tenere conto, per nominare un successore, delle indicazioni provenienti dai maggiori schieramenti. Il voto, agli inizi, fu censitario e gli elettori furono poco più di mezzo milione. Ma la legge elettorale del 1882 abbassò il limite di età dei votanti da 25 a 21 anni, allentò i criteri che limitavano il diritto al voto e aumentò la dimensione del corpo elettorale da 621.896 a 2.017.829.
Trent’anni dopo, nel 1912, una nuova legge instaurò il suffragio universale maschile con una distinzione fra gli analfabeti, che avrebbero votato soltanto dopo il compimento del trentesimo anno di età, e il resto della popolazione, fra cui quelli che, pur essendo analfabeti, avevano fatto il servizio militare. Nelle elezioni politiche del novembre 1913 i votanti furono più di cinque milioni, vale a dire il 60% degli aventi diritto. La legge elettorale approvata nell’agosto 1919 introdusse lo scrutinio di lista ed estese il diritto di voto a tutti i maschi che avevano compiuto i 21 anni. La legge approvata nel luglio 1923 prevedeva un collegio unico nazionale, garantiva al vincitore due terzi dei seggi e schiuse al fascismo la conquista del potere, ma consentì pur sempre l’ingresso alla Camera di 15 liberali, 19 comunisti, 22 socialisti massimalisti, 24 socialisti unitari, 39 popolari. Il ventennio fascista, quindi, non ci autorizza ad affermare che l’era della democrazia cominci in Italia soltanto il 25 aprile 1945 o il 2 giugno 1946. Chi lo afferma è generalmente mosso dal desiderio di cancellare una parte importante della storia nazionale fra l’Unità e il periodo mussoliniano.
Quanto alla supervisione della Commissione di Bruxelles e di altri organi istituzionali dell’Unione Europea, caro Paoletti, la regola vale per tutti i Paesi dell’Ue e in particolare per quelli dell’Eurozona. Abbiamo la stessa moneta, lo stesso mercato, la stessa politica agricola, la stessa politica commerciale, e gli errori di un Paese finiscono inevitabilmente per contagiare gli altri. La reazione di Mario Monti a certe affermazioni di Olli Rehn, commissario per gli Affari economici e monetari, sono state opportune. Ma se gli interventi offendono il nostro amor proprio chiediamone le ragioni a noi stessi piuttosto che al signor Rehn.
Sergio Romano