Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 13 Lunedì calendario

QUELLA LITE FERRARI-CORTELLESI SUL MONOLOGO ANTIVIOLENZA

Paola Cortellesi contro Paola Ferrari, e viceversa. E che peccato che un nuovo scontro fra donne capiti proprio nei giorni in cui le donne sembravano aver trovato voce comune e ascolto nelle istituzioni per combattere quella violenza contro di loro che arma ogni giorno le mani dei loro compagni e dei loro mariti. E invece proprio sul più bello si accende una polemica che sembra un equivoco, un abbaglio, uno sberleffo della storia.
Succede che a Servizio Pubblico Michele Santoro mandi in onda uno sketch interpretato da Paola Cortellesi e tratto dal libro di Serena Dandini, Ferite a morte, una piccola spoon river delle donne vittime di femminicidio. Un monologo in cui l’attrice-cantante-presentatrice interpreta una donna uccisa e buttata nel pozzo dal marito. E dal fondo di questo pozzo, che rappresenta il suo aldilà, racconta la sua odissea su questa terra, e fra i vari ricordi sgradevoli della vita in comune con l’orrendo sposo ci infila quello di quando lui decideva cosa guardare in tv: «Meglio morta che vedere un’altra volta la Domenica sportiva con l’Illuminata, con la presentatrice piena di luce che pare la Madonna. Quella bionda che dice i risultati con le labbra di rossetto forte e gli orecchini di lampadario. A lui piaceva tanto. A me invece me faceva proprio schifo».
Un azzardo, un piccolo autogol, quell’allusione alla presentatrice troppo patinata, nel contesto serissimo del femminicidio? Quando Paola Ferrari vede la trasmissione la considera più che un’allusione e ha buon gioco a dirsi colpita al cuore e a lamentarsene con Klaus Davi in un’ intervista su Youtube: «Queste parole sono state per me come una coltellata, un atto di violenza verbale inaudito, oltretutto in uno spot a difesa delle donne». Rivendica la sua battaglia per l’emancipazione: «Per vent’anni ho lavorato in un mondo maschile». Poi va oltre e insinua un dubbio: «Non vorrei che l’attacco fosse politico» riferendosi al fatto che lei come si sa è vicina al centrodestra e che la sua mentore, Daniela Santanchè, l’avrebbe voluta assessore alla Cultura nella giunta lombarda, e chissà che anche prima dell’intervista con Davi Paola non si sia consultata.
Una tenzone che avremmo preferito non dover contemplare. Meglio invocare un giudizioso buon senso che illumini le parti e le convinca a smetterla qui, senza cercare di risalire la catena delle colpe incrociate. Tanto più che entrambe si dichiarano, per quanto da schieramenti diversi, convinte sostenitrici della battaglia in nome delle donne. E allora sospendiamo, perché la lotta a quella violenza che colpisce a morte una donna ogni tre giorni è affar serio e complicato. E vale di più delle nostre allusioni azzardate e degli orgogli feriti.
Maria Luisa Agnese