Massimo Gaggi, la Lettura (Corriere della Sera) 12/05/2013, 12 maggio 2013
SENSORI «ITALIANI» SULLA TESTA PER DEVIARE LE TELEFONATE. E L’UOMO SI AVVICINA AL ROBOT
Ogni stagione ha la sua rivoluzione digitale. Il 2007 è stato l’anno dell’iPhone, il 2010 quello dell’iPad. Ma la «fabbrica dei sogni» della Apple da un po’ di tempo lavora a ritmo ridotto, Samsung e gli altri si limitano a migliorare l’esistente, e così il 2013 si avvia ad essere l’anno dei Google Glasses: il computer da indossare (sotto forma di occhiale) non sarà in vendita fino alla fine del prossimo anno, ma i prototipi, migliaia, distribuiti agli sviluppatori, sono già al centro dell’attenzione per il loro potenziale rivoluzionario: il passaggio dall’era del blog a quella del life logging, un’intera vita filmata in diretta, la demolizione di quel che rimane del concetto di privacy. E poi i comandi dati a voce, muovendo la testa, strizzando gli occhi: un altro passo verso l’uomo bionico.
Non è ancora «tutta la conoscenza del mondo in un microchip attaccato al cervello» sognata da Sergey Brin quando Google muoveva ancora i primi passi, ma gli occhiali fortissimamente voluti dal cofondatore della società di Mountain View cambiano di nuovo il rapporto uomo-macchina: la connessione col computer, un tempo possibile solo via tastiera, poi affidata al touch screen, ora entra ufficialmente nell’era dei comandi vocali e di quelli dati con le vibrazioni percepite da un sensibilissimo accelerometro. O, addirittura, con le onde cerebrali.
Google non è l’unica a spostare le frontiere: la rivista di tecnologia del Mit ha dedicato un recente saggio ai tentativi dei ricercatori della Samsung, insieme agli scienziati della University of Texas, di impartire mentalmente ordini al proprio smartphone. E sono già in commercio cuffie dotate di sensori (delle americane Emotiv e NeuroSky) che consentono di comandare alcuni videogiochi con la forza della mente, mentre dalla Zhejiang University di Hangzhou, in Cina, arriva il quadricopter cerebrale: un piccolo drone-giocattolo che decolla, atterra e compie virate grazie a comandi mentali.
Il 2013 è un anno pieno di sorprese anche per Ruggero Scorcioni, uno scienziato di Serramazzoni, sull’Appennino modenese che, dopo aver scritto codici informatici per molte società, compresa l’Ibm, a 29 anni decise di dedicarsi allo studio del funzionamento del cervello umano quando alla madre fu diagnosticato l’Alzheimer. Un dottorato in neuroscienze alla George Mason University di Washington, poi parecchi anni di lavoro al Neurosciences Institute di La Jolla, in California. Pochi mesi fa, a gennaio, Scorcioni (ora 42enne) viene invitato dalla At&t a partecipare a un hackathon, una maratona del software che si svolge in margine al Ces, il salone dell’elettronica di Las Vegas: 26 ore per sviluppare e presentare un progetto originale. Due ore di sonno e 24 di lavoro. Scorcioni presenta un prototipo di una cuffia con sensori che battezza «Good Times». Lo strumento è una specie di «non disturbare» mentale. I sensori misurano il livello di attività cerebrale e, se sei in una fase di concentrazione intensa, deviano le chiamate telefoniche sulla segreteria per evitare la distrazione inopportuna in un momento di creatività.
«C’erano centinaia di concorrenti nelle varie sezioni — racconta Scorcioni — uno è addirittura arrivato dal Colorado con un missile di un metro e mezzo. Ma ho vinto io. Trentamila dollari che ho reinvestito in una start-up individuale, Brainyno, con la quale ho trasformato il prototipo, per il quale mi sono servito di una piattaforma Arduino, in una vera e propria applicazione». Scorcioni ha presentato qualche giorno fa la sua app a New York. Gli elettrodi a forma di orecchie di gatto collegati alla piattaforma non ci sono più: ora le onde cerebrali vengono captate, con una tecnica simile a quella dell’elettroencefalogramma, con sensori MindWawe prodotti dalla NeuroSky.
«La grandezza dell’America — spiega Scorcioni — non sta solo nel fatto che qui funziona la meritocrazia e la ricerca viene incoraggiata. Che sei stimolato a osare. Qui hai anche accesso a tanti pezzetti di tecnologia che puoi mettere insieme per creare il tuo "puzzle" innovativo. Con tutta l’assistenza tecnica che ti serve. Io sono riuscito a costruire un prototipo in 24 ore anche perché quando trovavo un ostacolo su una certa tecnologia, venivo affiancato da un esperto che risolveva nell’arco di pochi minuti un rebus che altrimenti mi avrebbe bloccato per giorni».
Un servizio della Cnn e gli articoli sul suo successo pubblicati da «Business Week», PCworld, Gizmodo e altri siti specializzati sono valsi al neuroscienziato di San Diego l’invito a partecipare alla I/O, la conferenza degli sviluppatori di Google che si svolgerà tra qualche giorno a San Francisco. Scorcioni è affascinato soprattutto dai Google Glasses: «Li ho provati, un oggetto fantastico, apre un nuovo mondo. Che sta a noi riempire con idee originali. Gli occhiali sono anche la piattaforma ideale per quello che faccio io. "Good Times" non è ancora un prodotto proponibile al mercato perché la gente non ha voglia di indossare una cuffia sia pur piccola, per captare le onde cerebrali. Ma la montatura dell’occhiale è l’ideale per sistemare dei piccoli sensori».
Nessun dubbio, nessuna remora in questa marcia verso la misurazione dell’impegno cerebrale di uno studente o un lavoratore e verso l’uomo bionico? Sembra diventare realtà la fantascienza di Firefox, un film di trent’anni fa con Clint Eastwood che va in Russia a trafugare il prototipo di un caccia segreto che si pilota col pensiero.
«Il funzionamento della mente — frena lo scienziato italiano — è ancora un mistero, nonostante tutti i nostri studi. Quello che riusciamo a fare è usare l’intensità dell’attività cerebrale, la capacità di attivare elettricamente certi muscoli, per arrivare a impartire comandi filtrati attraverso algoritmi che analizzano reazioni precedenti. Ad esempio nella scelta di un brano musicale tratto da una certa lista di canzoni. I problemi etici, se ci saranno, verranno più in là. Io li vedo poco perché le applicazioni più sofisticate che ho studiato, quelle che comportano l’uso di cuffie complesse con decine di elettrodi, non hanno prospettive di utilizzo commerciale per il grande pubblico, mentre sono preziosissime per un cieco o per dare la possibilità a un tetraplegico di compiere certe azioni senza muovere nemmeno un muscolo».
D’accordo per la medicina, ma l’idea di trovarsi davanti qualcuno con gli occhiali di Google, che registra tutto quello che fai e dici o magari guarda un video su YouTube mentre finge di ascoltarti, già provoca allarmi e proteste. Il divieto di utilizzare i Google Glasses, partito da un bar di Seattle, si è diffuso ai locali pubblici di Las Vegas e a interi Stati, come il West Virginia che vuole metterli al bando per legge. Il presidente della società, Eric Schmidt, corre ai ripari: «Servirà una nuova etichetta sociale, ma sappiamo già che in certi luoghi sarà inappropriato indossare i nostri occhiali». Messaggio tranquillizzante, ma fin qui tutte le «spallate» alla privacy e alle abitudini sociali, inizialmente arginate, hanno tracimato diventando comportamento comune, sgradevole ma sostanzialmente accettato. Come messaggiare col cellulare sulle gambe mentre si è a tavola. Difficile che vada diversamente con gli occhiali della «realtà aumentata».
Massimo Gaggi