Marco Bertoncini, ItaliaOggi 11/5/2013, 11 maggio 2013
BERLUSCONI NON SAREBBE SALVO
Silvio Berlusconi senatore a vita. Si continua a parlarne, per auspicarne la nomina (da destra) o per irriderlo (da Beppe Grillo). Molti scrivono che il laticlavio a vita sarebbe la soluzione dei problemi di Berlusconi. Non è così.
Sarà opportuno, infatti, rammentare che il senatore a vita è un senatore nominato, e non eletto, che resta in carica per l’intera sua esistenza, salvo rinuncia o dimissioni, condividendo eguali diritti ed eguali doveri con tutti i colleghi eletti. Deve, quindi, come qualsiasi membro del Senato, avere almeno quarant’anni, essere cittadino italiano, godere i diritti politici e, in più, avere «illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario» (Costituzione, articolo 59). Come ogni altro senatore, il senatore a vita è sottoposto alla verifica dei titoli. L’articolo 19 del regolamento della Giunta delle elezioni a palazzo Madama tratta appunto della «Verifica dei titoli di ammissione dei senatori a vita». Ecco l’unico periodo dell’articolo: «Sulla validità dei titoli di ammissione dei senatori nominati a vita dal Presidente della Repubblica, la Giunta esercita un controllo di legittimità, verificando la regolarità formale del decreto presidenziale di nomina e la sussistenza, nel nominato, dei requisiti di legge».
Lasciamo da parte «la regolarità formale del decreto», non essendo pensabile che il capo dello stato nomini senatore a vita un cittadino privo di «altissimi meriti» (in verità, a rammentare qualche nominato verrebbe da dubitarne; ma fingiamo di nulla). Quel che importa rilevare è che nel nominato devono sussistere «i requisiti di legge». Per verificarli, la giunta ricorre di solito al deposito, da parte del senatore a vita, del certificato di nascita, del certificato di cittadinanza e del certificato di godimento dei diritti politici; inoltre si fa consegnare un curricolo che consenta di valutare gli «altissimi meriti». Se però il nominato si trovasse in una situazione d’incompatibilità o d’ineleggibilità, non potrebbe essere convalidato: la giunta dovrebbe proporre all’aula di denegare la convalida.
Come nel corso del mandato di ciascuna legislatura un senatore ordinario potrebbe risultare privo dei requisiti di legge, per esempio per sopravvenuta condanna comportante il divieto di assumere pubblici uffici, così nella stessa situazione potrebbe incorrere un senatore a vita. La dottrina ha rilevato più volte che, qualora venissero a mancare i requisiti accertati al momento della convalida, competerebbe alla giunta aprire il procedimento destinato a portare alla perdita dell’ufficio senatoriale. C’è, addirittura, chi si è spinto a introdurre, sia pure molto dubitativamente, l’ipotesi che a due senatori a vita, cioè Emilio Colombo e Giulio Andreotti, si potesse addebitare il venir meno dei requisiti d’integrità morale considerati una sorta di prerequisito per la nomina vitalizia. Senza arrivare a questi estremi, è certo che la pronuncia di decadenza di un senatore a vita, cui venisse meno uno dei requisiti (dalla cittadinanza italiana, al godimento dei diritti politici), adottata dall’assemblea di palazzo Madama su proposta della giunta, rispetterebbe la costituzione.
Semmai, sarebbe da valutare, nel caso l’interdizione avesse una determinata durata, se il senatore a vita decadrebbe ovvero sarebbe sospeso dalle funzioni. A quest’ultimo riguardo va, con prudenza, citato il precedente di Enrico de Nicola, senatore di diritto e a vita in quanto ex presidente della Repubblica, il quale fu eletto giudice costituzionale, venendosi a trovare in posizione d’incompatibilità con l’appartenenza al senato. Il senato lo dichiarò «sospeso dalle funzioni», funzioni che egli riprese una volta dimessosi (secondo un costume personale non privo di precedenti) dalla presidenza della corte costituzionale (e da giudice), tornando a esercitare il ruolo di senatore di diritto e a vita.
Dunque, il laticlavio a vita non conferirebbe alcuna protezione al Cav. Gli darebbe il vantaggio di essere senatore senza dover mai affrontare un impegno elettorale, ma non gli attribuirebbe alcuna immunità, alcun privilegio, alcun vantaggio superiore o diverso dalla sua carica attuale, che è quella di senatore eletto.