Claudio Tito, la Repubblica 11/5/2013, 11 maggio 2013
RENZI: IL PD SI RIPRENDA IL GOVERNO
«SE C’È uno che avrebbe interesse ad aprire una discussione sul passato, sono io. Ma non voglio, usciamo dallo psicodramma: non trasformiamo l’assemblea in una seduta di autocoscienza».
ALLA vigilia dell’Assemblea che eleggerà Guglielmo Epifani segretario pro tempore del Pd, Matteo Renzi invoca per il suo partito un cambio di marcia. Una svolta che porti il centrosinistra a riconquistare competitività e “appeal”. «Dobbiamo cambiare gioco e liberarci di questo strano incantesimo che ci paralizza ». E per esorcizzare l’eterno sortilegio che condanna il centrosinistra alla sconfitta o alle mezze vittorie, indica una sola strada: «Non consegnare a Berlusconi » il governo Letta. «Dobbiamo rivendicarlo», porgergli un programma con due o tre punti qualificanti e dargli un’impronta di «sinistra». Come avrebbe esortato Moretti, «diciamo qualcosa di sinistra» per preparare la sfida al Cavaliere: «Perché lui è già in campagna elettorale». E quando sarà il momento allora il Pd deciderà chi potrà essere il rivale: «Io o Enrico? Si valuterà quando sarà opportuno ».
Lei dice che non vuole aprire una discussione sul passato, ma sottolineandolo è come se lo facesse.
«Guardi, io mi ricordo quando mi spiegavano che non bisognava chiedere i voti ai delusi del Pdl. Ora osservo che ci siamo presi i ministri del centrodestra. E poi Berlusconi ha posto il veto su di me. Però, quel che è stato è stato. Ora dobbiamo pensare al Pd».
Lei può anche pensare al Pd, ma intanto un bel po’ di militanti democratici sono pronti a contestare la linea del partito e l’alleanza di governo con il centrodestra. Ha visto le proteste di “OccupyPd”?
«Certo, ma mi sembrano che occupano qualche colonna di giornale. Ma non il partito. Il partito non è “occupabile”».
Perché non sarebbe occupabile?
«Non è che facendo tre cartelline sul no alle larghe intese, allora si riesce a fare qualcos’altro ».
Ce l’ha con la Puppato?
«Ce l’ho con tutti quelli che se la prendono con questa maggioranza senza considerare i dati di fatto. Esiste un’alternativa in questo momento? No. Bersani lo ha dimostrato molto bene. Il suo fallimento è chiaro. L’alternativa era il voto, ma ora non c’è più. Il punto allora è come si fa a riprendere l’iniziativa».
Lei sa come si può fare?
«Partiamo dal presupposto che il governo c’è. È inutile farci le pulci reciprocamente. Anzi, avrei preferito aver torto negli ultimi mesi e magari aver vinto le elezioni. Ma ora un governo c’è. Nella Prima Repubblica lo avrebbero definito un “governo amico”, io preferisco dire che è guidato da un presidente amico. Ma il punto è che questo esecutivo può essere subito o guidato ».
E il Pd lo sta subendo?
«Se ce ne vergogniamo, allora regaliamo a Berlusconi 12, 15 o 17 mesi di traino straordinario. Sulle cose negative può scatenare il dissenso contro di noi perché il premier è di sinistra e rivendicare al Pdl tutto quel che ci sarà di positivo. Lui è già in campagna elettorale. E mentre studia come tornare a Palazzo Chigi, noi siamo sotto shock. Basta con la depressione. Guidiamo noi questo governo. Abbiamo già sprecato un calcio di rigore a febbraio scorso, non sbagliamone un altro».
Scusi, ma come si fa a imporre la linea quando l’alleanza con Berlusconi vi obbligherà alla mediazione continua?
«Si abbia il coraggio di elencare noi le priorità. Ne bastano due».
Parla di un esecutivo di programma? Una volta esaurito subito al voto?
«Di certo dobbiamo spiegare che questo è un governo eccezionale. Nel senso che è un eccezione, con Berlusconi non ci staremo più. Per questo dobbiamo chiarire ai nostri elettori - e a quelli che ci voteranno -, che il primo obiettivo è il lavoro. Non asserragliamoci sull’Imu. Insistiamo semmai sull’emergenza occupazione, sul superamento del baraccone burocratico, sul cuneo fiscale, sulla formazione professionale e, alla fine, anche sulle norme sul lavoro. Il Pd sia il partito dei nuovi lavori. Non voglio dire del “New Labour”, ma dei nuovi lavori».
Sembra quasi che voglia citare Moretti: il Pd dica qualcosa di sinistra.
«Certo. Anche perché chi teme di morire democristiano, magari rischia di vivere democristiano. La sfida è più lavoro e più Europa. Un’Unione, però, più equanime e con meno austerity».
E il secondo obiettivo?
«Le riforme. Aboliamo le province, aboliamo il Senato, riduciamo i parlamentari. E poi cambiamo la legge elettorale. Come minimo si può tornare al Mattarellum, come massimo si può arrivare al semipresidenzialismo e a un sistema simile a quello dei sindaci».
Ma per fare tutto questo serve una legislatura. Pensa davvero che ci sia tutto questo tempo?
«Letta si è dato 18 mesi. Vediamo cosa e se è possibile. La tempistica poi la vedremo. Ma noi dobbiamo liberarci dall’incantesimo che ci paralizza. È come se la strega cattiva ci avesse addormentato. Svegliamoci. Il Presidente del consiglio giustamente ha ingaggiato la battaglia contro i costi della politica, ecco: aiutiamolo».
Così insegue Grillo.
«Ma questa è una battaglia di sinistra, noi lo sosteniamo da ben prima dei 5Stelle. Per Grillo che dichiara 4 milioni di reddito l’anno è facile parlare. Lui è stato il vero sponsor di Berlusconi: non ha accettato il dialogo con noi e non ha votato Prodi al Quirinale. E ora lucra. Se il Pdl è al governo, la colpa è sua».
Va bene, ma quanto dura questo governo?
«Non lo so. Non c’è una tacca come sulle batterie del telefonino. L’importante è non fare i gregari. Non mi interessa quanto dura, ma non dare la possibilità a Berlusconi di vincere ancora ».
Lei da per scontato che il Cavaliere sarà ancora in campo. Però quando il programma di governo sarà esaurito, il Pd dovrà scegliere lo sfidante. Lei o Letta?
«Io ho dato un segnale di lealtà. Non mi sono candidato a nulla, non sto al governo. Mi sono sfilato dalla presidenza del’Anci proprio per evitare dualismi. Enrico sa che c’è la mia totale collaborazione. Quando si dovrà affrontare la campagna elettorale, vedremo la soluzione migliore».
La scelta resta tra lei e il Premier?
«Chi lo sa? Chi può prevederlo? Chi disegna strategie per interessi personali, spesso viene smentito».
Se il Pd deve dare la linea al governo, lei perché non si è candidato subito alla segreteria?
«Io faccio politica per cambiare l’Italia non per le poltrone. Ridiamo fiducia alla nostra gente e al partito. E facciamo un po’ di formazione politica».
Vuol dire che i giovani del Pd sono impreparati?
«Voglio dire che soffrono l’assenza di una leadership. Ma non si può avere paura di un dissenso su Twitter. Molti vivono il web come un plebiscito costante. Il gruppo dirigente, però, non può essere semplicemente un “Follower”».
Ed Epifani è la persona giusta per pilotare il partito in questa fase?
«È una persona intelligente. Sono certo che saprà capire che guidare un partito non è come guidare la Cgil».
A proposito di sindacato, ha letto su Repubblica cosa le ha detto Franco Marini?
«Non dovevo vendicarmi. Lui è una persona per bene e ha fatto la storia della Cisl. Ma non aveva i requisiti per fare il Presidente della Repubblica e quel-l’intervista lo ha confermato. Io, però, a differenza di chi non ha votato per Prodi, ho detto apertamente e senza nascondermi che non avrei votato per lui».