Federico Rampini, la Repubblica 13/5/2013, 13 maggio 2013
DODICENNE UCCIDE A COLTELLATE LA SORELLINA E L’AMERICA SCOPRE L’ORRORE DEI BABY-KILLER
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK — Per i 7.500 abitanti di Valley Springs almeno un incubo è finito. La cittadina californiana, 100 km a Sud della capitale Sacramento, non è più in stato d’assedio. Si è chiusa la caccia all’uomo, le perquisizioni casa per casa, il terrore di quel “maschio adulto, alto e muscoloso, bianco o forse ispanico, armato e sicuramente pericoloso”. Quell’individuo sospetto che ha agitato i sonni di tanti genitori, non è mai esistito. Ma un altro incubo ora aleggia su Valley Springs, una storia ancora più raccapricciante. È la scoperta che il 27 aprile scorso la piccola Leila Fowler di 8 anni, trovata in casa in un lago di sangue e poi morta in ospedale, fu uccisa da suo fratello. Dodicenne. Stavolta non c’entra la piaga delle armi da fuoco, né quelle vere né i pseudo-giocattoli. Lela fu accoltellata, morì dissanguata per le ferite inflitte dal fratello con un coltello da cucina. Il ragazzino fu capace di mentire freddamente, e a lungo. «Duemila ore di indagine, sono state necessarie per venirne a capo», conferma lo sceriffo di contea Gary Kuntz.
Fu il dodicenne a creare la falsa pista e a costruirsi così un alibi. Allertò i genitori che erano al lavoro, urlando al telefono che «nella stanza a fianco, è entrato qualcuno e ha aggredito Leila». Disse lui di aver visto fuggire quell’uomo di alta statura. Fu così credibile da suggestionare una vicina di casa, una testimone che confermò di aver visto anche lei lo sconosciuto in fuga; per poi ritrattare tutto, ma con giorni di ritardo. Nel frattempo la polizia continuava a sentire il fratellino della vittima, ma senza sospetti. «Certo, abbiamo continuato a parlare con lui — dice lo sceriffo — era normale, dato che era l’ultimo ad aver visto la sorellina da viva. Per noi il ragazzo non era un sospetto». Soltanto dopo due settimane di lavoro della polizia scientifica, sulle impronte digitali e le tracce di Dna, l’atroce verità è venuta fuori. Non si sa il fratello ha spiegato il movente.
Lo hanno arrestato subito, perché in America si arresta anche un dodicenne, per crimini di sangue. L’unico riguardo è l’anonimato, ma è una tenue protezione della sua privacy: quando ancora era immune da
ogni sospetto e unico testimone, il fratello era stato intervistato da tutti network televisivi della California. La mamma, Crystal Walters, aveva mandato alla
Cnn un messaggio attraverso Facebook: «Siamo devastati, Leila era una bambina così piena di vita». Questo, prima di scoprire che dell’aggressione mortale era colpevole il fratello.
«I cittadini di Valley Spings e tutta la contea di Calaveras da stasera potranno tornare a dormire sonni tranquilli», ha detto in tv lo sceriffo Kuntz. Ma se non c’è più la paura di un assassino di bambini in libertà, non per questo i sonni tornano ad essere tranquilli. È solo di un altro genere l’orrore: è la conferma di una verità antica e tremenda, la regola per cui la maggioranza delle vittime di morti violente vengono uccise da familiari. Il più delle volte padri e mariti violenti, certo. Ma anche i fratelli non sono un’anomalia mai vista, nella tragica contabilità di questi crimini. Un altro giovanissimo, Cristian Fernandez, 13 anni, per avere ucciso il fratellino di due anni sta scontando la sua pena: ergastolo non commutabile, senza possibilità di sconti. Finirà la sua vita in carcere. La durezza delle pene contro i minorenni non sembra avere un effetto dissuasivo, di certo alimenta le polemiche e le campagne umanitarie. Il caso di Fernandez è noto per la sua età giovanissima, ma di minorenni condannati all’ergastolo ce ne sono già 2.500 in tutta l’America. La popolazione dei detenuti nelle carceri minorili ha superato la soglia dei 70.000. Gli ergastoli “non commutabili”, senza possibilità di sconti di pena,
sono stati giudicati incostituzionali dalla Corte Suprema. Non hanno passato il vaglio della Costituzione che vieta di applicare pene “crudeli ed eccessive”. E tuttavia la sentenza della Corte stenta a farsi strada nella giurisprudenza locale, le revisioni di sentenze procedono lentamente. Per i genitori di Leila, comunque, la severità esemplare di un tribunale degli uomini non potrà sostituire un altro tipo di esame e di giudizio, che da ieri non gli darà pace: su quel che è accaduto nella mente del figlio, sulla fine orribile della bambina, su ciò che avrebbero potuto fare per impedire
l’orrore.