Angelo Aquaro, la Repubblica 12/5/2013, 12 maggio 2013
SLOW NEWS
Tu chiamala, se vuoi, la legge di Emma. Molto tempo prima che i soliti ignoti del web s’intrufolassero nel Twitter dell’Associated Press per annunciare il (finto) bombardamento della Casa Bianca. Molto tempo prima che dalle colonne del Guardian Dan Gillmor invitasse i giornalisti di tutto il mondo a smetterla d’inseguire le ultime notizie sempre più mendaci e accomodarsi invece al solido banchetto delle slow news. Molto tempo prima che Enrico Mentana stanco d’insulti si dimettesse da Twitter: molto tempo prima insomma che l’informazione usa (poco) e getta (molto) finisse sotto accusa c’era stata lei, Emma Keller. Il cognome non suonerà nuovo: la signora, nata Gilbey, è la felice sposa di Bill Keller, ex direttore del New York Times, l’uomo a cui toccò smacchiare la Lady in Grigio sporcata dalle accuse di plagio che avevano portato alle dimissioni Howell Raines. Peccato che l’uomo che per il suo giornale raccontò da Mosca la Perestroika di Mikhail Gorbaciov, nel suo intimo professionale abbia sempre guardato con sospetto alla pretesa trasparenza del web. Fino a quel commento ormai passato alla storia dei media.
Giusto due anni fa: 18 maggio 2011. «La mia sfiducia nei social media», scriveva Keller «è amplificata dalla natura intrinsecamente effimera di questo tipo di comunicazione. È l’esemplificazione di quel modo di dire con cui mia madre descriveva l’incapacità di comunicare: entra da un orecchio ed esce dall’altro ». Di più. «Giusto per fare un esperimento un po’ masochistico », continuava quel mattacchione di direttore, «l’altro giorno ho twittato: #TwitterRendeStupidi. Parliamone
». Parliamone? Immaginatevi la reazione baldanzosa e scomposta degli accademici della next thing e delle maestrine di giornalismo che fioriscono a ogni latitudine. Risultato: tra una folla di noooo, riassunse Keller, «ho ricevuto un messaggio di mia moglie: “Non so se Twitter rende stupidi: ma sicuramente ti sta facendo fare tardi per cena. Torna a casa!” ».
Ora, che la battuta ci abbia strappato un mezzo sorriso o fatto arricciare il naso, forse sarebbe meglio decrittare la legge di Emma più a fondo. E che cosa ci dice? Che al di là di giudizi e gusti personali — quello di Mr. Keller in testa — Twitter (come ogni social network) intanto ci sta già cambiando la vita — che ci aiuti a decrifare il mondo o ci faccia fare tardi a tavola.
Ben Adler, giornalista 31enne e figlio di Jerry Adler,
colonna di Newsweek, racconta sulla Columbia Journalism Reviewcome l’uso dei social media stia stravolgendo il mestiere dei giornalisti e l’accesso alle notizie dei lettori. Adler individua quattro trend. «Uno: proliferazione di nuove tecnologie per il consumo dei media. Due: partecipazione dei consumatori/ lettori nella diffusione e creazione di notizie attraverso social media, blog e video postati online. Tre: personalizzazione del flusso di notizie attraverso mail, app e social media. Quattro: promiscuità delle fonti. Piuttosto che fare riferimento a giornali e tv tradizionali, i più giovani bazzicano contemporaneamente un mucchio di media diversi».
I magnifici quattro trend di Ben fotografano il nuovo paesaggio ma non rispondono al dubbio sulla “utilità” dei new media che la legge di Emma solleva. La proliferazione di tecnologie, la partecipazione e personalizzazione nonché la tanto sbandierata promiscuità delle fonti rischiano anzi di ingigantire quel mostro contro cui ogni reporter teme di schiantarsi: la bufala. Non basta. Le pillole di comunicazione via Twitter — tutta la verità in 140 battute — possono avvelenare non solo le news ma anche le opinioni. Il twittatore più salace non sarà preferito al più autorevole? L’opinione più gridata non metterà a tacere quella più sensata? Non sarà, insomma, la fine di quel pensiero mediano che gli anglosassoni chiamano common sensee solo decenni di democristianeria culturale hanno da noi trasformato in “comune senso di”? No, dice a Repubblica Ken Auletta, l’esperto di media del New Yorker: non sempre Twitter è il regno di chi grida di più. «Ogni tweet può contenere link che rimandano a un altro discorso: e il loro valore è incommensurabile. Certo: 140 caratteri sono la riduzione di un pensiero. E se uno prende una riduzione per il tutto...». Una soluzione ci sarebbe: non si vive di un solo tweet. «Twitter è come una cartolina», suggerisce Michael Wolff, il biografo di Rupert Murdoch e media columnist di Usa Todaye Guardian: «Con una cartolina puoi mandare tanti baci o — al contrario — una maledizione. Però resta un mezzo efficace: se non proprio le sfumature, il punto del discorso può venire fuori in pochi scambi».
Il guaio è che nel villaggio globale le distanze sono sempre più piccole. Hai voglia a correggere il tiro di messaggino in messaggino. Sarà anche un caso limite: ma fra il tweet “hackerato” dell’Ap che annunciava il bombardamento della Casa Bianca e la correzione, sempre su Twitter, sono passati sette lunghissimi secondi. Quant’è bastato a far correre la notizia in tutto il mondo e a far crollare Wall Street. Hanno ragione i profeti dello slow news? Rallenta la notizia? Sempre Wolff a Repubblica: «La soluzione sembrerebbe
ideale: ma è irrealistica. L’obiettivo del giornalismo è: sempre più veloce. E oggi Twitter è il giornalismo più veloce che c’è. Sta cambiando la professione come fecero prima il telegrafo e poi il telefono».
«Abbiamo visto tutti, dopo le bombe alla maratona di Boston, i danni procurati dalla velocità dei tweet e dal cosiddetto citizen journalism», rincara Auletta. Ricordate? In rete si moltiplicarono le notizie su Al Qaeda e altri attacchi imminenti al punto da far chiudere i cieli d’America per la prima volta dall’11 settembre. E invece il terrore aveva il volto di due estremisti sì: ma si trattava “solo” di due ragazzini ceceni che giocavano (tragicamente) con le pentole a pressione. E però... «E però proprio le foto e i video presi con i telefonini da normalissimi cittadini hanno permesso alle forze dell’ordine di identificare e catturare i colpevoli». Ecco: è l’ennesima applicazione della legge di Emma. Non sappiamo ancora se i social media ci renderanno più stupidi o più intelligenti. Sicuramente è già troppo tardi per tornare indietro: o rincasare per cena alla tavola delle slow news.