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 2013  maggio 12 Domenica calendario

UN OUTING FAMIGLIARE

Fettuccine con i carciofi, asparagi alla Bismarck, roast beef e fagiolini, insalata di gamberi, sogliola ai ferri, dolci e pere cotte, vino rosso e «acqua senza bolle», caffè, grappa... Sono alcune delle comande destinate ad alimentare il menu di venti pranzi che in un anno e mezzo, dal novembre del 2011 all’aprile di quest’anno, sempre a mezzogiorno, sempre in un ristorante della centrale piazza Sforza Cesarini di Roma, hanno reso possibile l’outing famigliare più indiscreto e più affettuoso cui fino ad oggi si sia (volentieri) abbandonato Paolo Poli. Il bilancio non è un prontuario di ricette & libera conversazione. Il risultato è piuttosto un singolare volume di memorie in un disinvolto clima da Satyricon intellettuale del terzo millennio. E il libro Rizzoli che ne è appena scaturito, in uscita questa settimana, s’intitola
Sempre fiori mai un fioraio, sottotitolo Ricordi a tavola,
e in copertina accanto al nome di Poli figura quello dell’artefice/intervistatore Pino Strabioli, attore e conduttore televisivo che ha recitato col Nostro, nel 1996, ne I viaggi di Gulliver.
Considerando soprattutto la prima metà di questa autobiografia messa a verbale mangiando a ridosso di Corso Vittorio, direi che mai s’era sentito Paolo Poli così a suo agio (e così fluente) nel ritrarre i caratteri, le nature umane, i risvolti candidi, le ampiezze di vedute e l’aneddotica senza veli d’un ceppo domestico, il suo, che all’epoca del fascismo dovette vivere angustie economiche, sociali e politiche, facendo i conti con le dignitose possibilità di una madre maestra e d’un padre carabiniere il quale s’ammalò di tubercolosi nel ’37 e poi morì di tumore nel ’45, quando Paolo aveva sedici anni. Direi che, non tradendo la sua vena di teatrante demolitore della retorica, neanche un rigo delle ricostruzioni dei suoi fatti pecca qui mai di conformismo o sentimentalismo. Ci convince che l’ammassarsi stretti su pochi metri di letto di lui e dei cinque tra fratelli e sorelle (solo Lucia condividerà poi la sua inclinazione a vivere tante vite sulla scena) è un tirocinio che forse allenò il corpo di lui futuro attore. La quasi creativa sensibilità del padre, che lo introduce di nascosto a veder recitare Ricci, la Brignone, la Morelli o la Borboni, gli ispira non poche immagini intime che sono pervase di buonumore promiscuo (vedi lo scherzare cameratesco ed epidermico tra papà e figlio, vedi il fuggevole bacio paterno a una suora tisica), mentre il ritratto della madre ci restituisce l’esempio di una donna stoica, con profonde e inaspettate comprensioni. In proposito, non è mai morboso, non è mai problematico, e non è mai clandestino lo spirito omosessuale di Poli, che ricambia qualche infantile tenerezza di amichette ma poi ha piena coscienza di sé a partire dall’attrazione per un fornaio giovanetto o, più in là negli anni, per un aviatore, per un tranviere, o per un macchinista teatrale. Ma in questo libro-album Paolo Poli non parla solo di Cristi nudi, del suo aver “trombato” Pierre Cardin, di Sandro Penna o di celie omoerotiche, perché anzi l’argomento man mano più ricorrente ha a che fare con una galleria di grandi donne («Chi fa i complimenti alle donne se non un frocio? Il signor Bovary non si è mai accorto dei gioielli di Emma»). Dalle benefattrici si passa ad Anna Maria Ortese, a Elsa Morante, a Natalia Aspesi conosciuta e diventata la prima amica a Milano (prefatrice di un altro recente volume, Paolo Poli e Lele Luzzati di Marina Romiti), a Valentina Cortese, a Nora Ricci, alla molto complice Laura Betti («Lei mi manca»), ad Anna Magnani, all’amatissima Franca Valeri. Ma il ritratto più bello, l’apologo più diffuso, la fede più etica di Paolo Poli che questo libro testimonia è un ritratto armonioso della solitudine. Tra un pasto frugale e l’altro.