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 2013  maggio 12 Domenica calendario

PAKISTAN NEL SANGUE VINCE L’ISLAMICO CHE ODIA L’AMERICA

Alla fine Nawaz Sharif ha la­vato l’antica onta e s’è aggiudicato il sospirato gran ritorno. Una vendetta annunciata quel­la dell’ex premier estromesso nel 1999 dal un colpo di stato militare. Ma anche una vendetta gustata fredda. E per questo as­sai appagante. Ieri notte men­tre il vincitore festeggiava il pro­prio trionfo elettorale e il parti­to di Ismran Khan, l’ex campio­ne di cricket unico suo avversario credibile, ne riconosceva la vittoria, Pervez Musharraf - il generale responsabile del gol­pe ordito contro Sharif 14 anni fa - inghiottiva rabbia nell’ap­partamento in cui si trova rele­gato agli arresti domiciliari. Nel trionfo di Sharif, nella rabbia del Musharraf prigioniero, nel­la rassegnata riconoscenza del­la sconfitta di Khan e nella scon­tata “debacle” del Ppp, il parti­to della famiglia Bhutto trasci­nato nel baratro dal presidente Alì Zardari, è scritto l’incerto fu­turo del Pakistan. Un futuro nel segno di quell’intransigenza islamista ed anti americana che rappresenta uno dei tratti caratteristici della Lega Musulmana, il partito guidato alla vit­toria dall’ex premier. Ma pro­prio quella spiccata connota­zi­one islamista ed anti america­na rischia di rendere tutto assai difficile e periglioso. Anche per­ché la resurrezione di Nawaz Sharif non avviene in paradiso, ma in un paese trasformato in un autentico girone infernale alla mercé dei gruppi integrali­sti. Primi fra tutti i talebani pro­tagonisti indiscussi degli attentati e degli scontri costati ieri la vita ieri a una quarantina di per­sone colpevoli soltanto di aver tentato di raggiungere i seggi.
Certo da quel lato Sharif, uni­co candidato escluso dalle liste nere in cui i terroristi integrali­sti inseriscono i possibili ob­biettivi, ha assai poco da temere. Ma deve guardarsi da altri peri­coli. Il più insidioso, in quanto capace d’aggravare a catena tut­ti gli altri, è quello economico. Il paese ereditato dalle mani dello sconfitto Ppp, il partito che fu di Benazir Bhutto, è di fat­to una nazione sull’orlo della bancarotta. L’unico strumento in grado d’impedirne il fallimento è un nuovo prestito di 5 miliardi di dollari dopo quello da 7,6 miliardi ottenuto nel 2008. Ma di fronte all’intransi­genza politica di Sharif e dei suoi il Fondo Monetario Inter­nazionale potrebbe anche deci­dere di far un passo indietro e non fornire garanzie. A quel punto Sharif rischierebbe di ri­trovarsi ancora una volta in compagnia dei soli amici saudi­ti. Così andò nel 1999. Così po­trebbe tornar ad andare ades­so. Soprattutto se il computo fi­nale dei voti gli impedirà di su­perare la soglia dei 172 seggi in­dispensabile per il controllo del parlamento.
La fragilità politica del suo esecutivo unito alla violenza di un movimento talebano con­tro il quale ben difficilmente po­trà schierarsi per non perdere l’appoggio del proprio elettora­to, rischia di rendere evane­scente e caduco anche il nuovo mandato di Sharif. Anche per­ché un Pakistan debole e ingo­vernabile rappresenta un bel grattacapo non solo per i gene­rali, ma per tutta la comunità in­ternazionale. Un governo inca­pace di soddisfare i bisogni del­la popolazione e incapace di contrapporsi ai movimenti integralisti finirebbe con il mette­re a rischio anche la sicurezza delle testate nucleari custodite in basi sempre più prossime al­le sempre più vaste zone d’in­fluenza talebana. E poiché la si­curezza delle oltre 100 testate nucleari custodite negli arsena­li di Islamabad è una linea ros­sa che nessuno al mondo, pri­mo fra tutti l’America, vuole ve­der calpestata, i militari si ritro­verebbero tra le mani un otti­mo pretesto per intervenire e ri­mettere da parte il vecchio nemico.