Alberto Statera, Affari&Finanza, la Repubblica 13/5/2013, 13 maggio 2013
OLTRE IL GIARDINO
In tempi di presunta rottamazione sembra non ci sia nulla di più difficile che rottamare l’oligarchia invisibile dei superburocrati, una sorta di governo ombra di cosiddetti grand commis, direttori generali, capi di gabinetto, consiglieri di Stato e della Corte dei conti, che governano da interi lustri ministeri, tribunali amministrativi, authority e tutti gli snodi chiave-della pubblica amministrazione. Ne sa qualcosa il neoministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, egli stesso grand commis della Banca d’Italia, che per liberarsi del capo di gabinetto Vincenzo Fortunato e del ragioniere generale dello Stato Mario Canzio, ha dovuto rendere pubblici gli errori compiuti dagli alti burocrati del suo ministero nel testo del decreto che giovedì scorso ha mandato a vuoto la riunione del consiglio dei ministri che doveva varare la sospensione dell’Imu e il rifinanziamento della cassa integrazione. Fortunato (788 mila euro di reddito nell’ultima dichiarazione conosciuta) ha governato il ministero dell’Economia per circa un decennio, salvo un biennio alle Infrastrutture. Canzio è a via XX Settembre da 42 anni, dal lontano 1972, e ragioniere generale dal 2005, quando sostituì Vittorio Grilli. L’incarico è senza scadenza, a vita come quello dei sovrani. Entrambi, ma non solo loro, sono la conferma vivente dell’antico aforisma di Giulio Andreotti: “I ministri passano, i direttori generali restano”. Quando l’ex pluriministro e presidente del consiglio lo pronunciò, non c’era ancora lo spoils system
delle cariche ministeriali al cambio dei governi, ma l’innovazione non cambiò le cose, visto che capi di gabinetto, gabinettisti, direttori generali, capi degli uffici legislativi, capi delle authority hanno continuato nei decenni ad essere poche decine di persone, sempre gli stessi nomi che – ha scritto Ernesto Galli della Loggia “passano vorticosamente da un posto all’altro, da un gabinetto a un ente, da un tribunale amministrativo a un ministero, da un incarico extragiudiziale a quello successivo, costruendo così reti di relazioni che possono diventare autentiche reti di complicità”. Qualunque nuovo ministro, anche il più volenteroso, arrivando nella nuova poltrona, si trova così a fare i conti con un muro di complicazioni e di buro-tecnicismi, che sono il cardine di potere degli immarcescibili grand commis. Per cui bisognerebbe porre un limite alle loro carriere. Tito Boeri propone un massimo di cinque anni a cavallo tra due legislature, ciò che impedirebbe che il burocrate si sostituisca di fatto al politico, e l’incompatibilità di posizioni apicali nella pubblica amministrazione con le carriere nelle magistrature, che stravolgono i ruoli dal momento che “un capo dell’ufficio legislativo consigliere di Stato può diventare inamovibile perché garante del fatto che gli atti legislativi che passano al suo vaglio non verranno poi bocciati dal consiglio di Stato o dalla corte dei conti”. Entro il 31 maggio i nuovi ministri dovranno confermare o cambiare gli alti dirigenti dei loro dicasteri. Vedremo se l’oligarchia dei soliti grand commis sarà almeno un po’ rottamata, per usare l’inelegante lessico renziano, o se sarà già cominciata la rottamazione del macilento governo Letta.