Marcello De Cecco, Affari&Finanza, la Repubblica 13/5/2013, 13 maggio 2013
L’OMBRELLO DI DRAGHI E LA PIOGGIA DEL DENARO
Da quel che ha detto Mario Draghi dopo la riunione del consiglio direttivo della Bce del 2 maggio, la gravissima trappola della liquidità nella quale è caduto il sistema finanziario mondiale, quello europeo in particolare, sembra essersi attenuata negli ultimi mesi, come risultato dell’azione quasi simultanea delle principali autorità monetarie. Esse hanno inondato di liquidità il sistema finanziario di loro pertinenza, tentando di cambiare radicalmente le aspettative degli operatori finanziari sul futuro del sistema finanziario, e convincerli a ripristinare un mercato interbancario, in particolare europeo, a lungo anchilosato dopo lo scoppio della crisi. Per quanto riguarda la Bce, le azioni intraprese in questi ultimi cinque anni sono state da Draghi elencate e analizzate nella lezione magistrale che ha tenuto alla Luiss di Roma in occasione del conferimento della laurea honoris causa in relazioni internazionali. Draghi ripercorre con chiarezza tutte le azioni della Bce a partire dal 2008. Bisogna dire che, come ha notato Marcello Messori nella laudatio di Draghi, quanto a innovatività istituzionale, la Bce ne ha mostrata molta, percorrendo con ingegnosi escamotage legali, sentieri formalmente proibiti dalla sua carta costitutiva. Altri ne ha aperti ex novo per far fronte alle successive emergenze, che dopo l’estate del 2010 si sono presentate all’Europa. La Bce si è trovata a far fronte a problemi che non aveva creato, ma che erano il risultato dell’azione poco assennata dei principali
attori politici europei. Come ricorda Draghi, alcuni di questi problemi possono essere affrontati in maniera efficiente solo se l’azione dei governi e delle istituzioni europee, nel campo ad esempio della politica fiscale, si associa a quella della Banca centrale. Ma la Bce non ha potuto aspettare che tale azione fosse decisa e dispiegata. Ha dovuto agire da sola, con interventi di supplenza della impreparazione ad agire delle forze politiche. Talvolta è stata costretta a operare per annullare i malefici effetti di malaugurate azioni dei protagonisti politici europei. Nella lezione si elencano gli strumenti straordinari di politica monetaria inventati o adattati dalla Bce: Frfa, il denaro messo a disposizione senza limiti di quantità e a tasso fisso degli operatori finanziari; Omt, gli acquisti definitivi di titoli sui mercati secondari; Ltro, le operazioni di rifinanziamento a lungo. Anche il tradizionale strumento del tasso di sconto è stato usato e lo è tuttora anche se è proprio da lì, dalla sua inoperatività in presenza della trappola della liquidità, che la Bce è dovuta partire nella sua invenzione di strumenti non convenzionali. Draghi ha dichiarato che il frazionamento dei mercati secondo i confini nazionali è già oggi fortemente ridotto, ma un’uscita della Bce dal-l’attvità di supplenza del mercato interbancario paralizzato non gli sembra imminente. La riabilitazione è in corso, ma non è completa e le ricadute possibili. Draghi mostra la sua aderenza alla visione del mondo di Francoforte e Berlino, secondo la quale l’Unione monetaria è composta di paesi virtuosi e peccatori. La virtù consiste nell’accettare gli sviluppi in atto nell’economia mondiale, che mettono i paesi europei in concorrenza con paesi emergenti nei quali il welfare è inesistente o ridotto all’osso e i livelli salariali enormemente inferiori a quelli europei, mentre i tassi di crescita vanno dal 5% in su, contro i quasi immobili equivalenti europei. La virtù consiste nel ridurre in maniera sostanziale alcune conquiste della civiltà europea degli ultimi 50 anni per riuscire ad affrontare e battere i nuovi concorrenti. Tedeschi ed altri nordici che fanno parte dell’Ume hanno, secondo Draghi, preso il coraggio a due mani e trangugiato l’amara medicina. Ora sono fuori dal guado, mentre i membri meridionali della Ume, inclusi i meridionali onorari come l’Irlanda e i meridionali potenziali come la Francia e, pare, l’Olanda, non si decidono a tagliare la spesa pubblica e ridurre la tassazione in maniera da recuperare competitività. Draghi è del tutto conscio e afferma chiaramente che quel che manca oggi in Europa anche più di un livello confortevole di consumi privati, è un vigoroso flusso di investimenti. Questo è penosamente vero nei paesi meridionali, addirittura assurgendo a protagonista della storia economica italiana degli ultimi vent’anni. Ma non risparmia, la mancanza di investimenti sufficienti, nemmeno i paesi virtuosi, di recente nemmeno la Germania, il cui ciclo sembra essere impallidito nell’ultimo anno e pare avviarsi, secondo la Bce e la Commissione Ue, a un altrettanto pallido futuro immediato. Manca del tutto, ed è ragionevole dato il ruolo istituzionale del personaggio, un qualsiasi riferimento al tasso di cambio dell’euro e al suo ruolo. Il tasso di cambio non è cosa di cui si debba occupare la Bce, secondo lo statuto: è prerogativa dei vari governi nazionali. Ciò non significa che l’azione delle Bce non sia il principale determinante del cambio della moneta unica. E’ del tutto probabile che il tasso dell’euro per la gran parte del periodo post-crisi sia rimasto troppo alto per non indebolire le capacità competitive di molti dei paesi dell’Ume. Tra le banche centrali, la Bce è sempre l’ultima ad allentare la politica monetaria. Quel che sta accadendo ora allo yen e al dollaro dovrebbe preoccuparci molto. Ma Draghi per statuto non deve occuparsene. D’altronde, lo Statuto della Bce, strano oggetto frutto di difficili intese politiche e guerre tra banchieri centrali ed altri protagonisti della politica economica, non l’ha scritto lui. Sono le autorità politiche a doversi occupare di questo problema, assumendosi le proprie responsabilità. Ma non sembrano inclini a farlo, aspettando le emergenze per intervenire. Il che sarebbe il metodo europeo di decisione, sperimentato dal 1956 in avanti. Forse è il caso di ripensarlo, questo metodo. Se una discesa dell’euro non ha luogo, la politica monetaria e fiscale, nelle dosi di svalutazione interna che si richiedono in sua vece, non sembra sopportabile se non dalla Germania. Già l’Olanda è in affanno e chiede di posporre il ritorno al fatidico 3% di deficit, cosa già ottenuta dalla Francia. Lo spauracchio dell’inflazione non può essere agitato perché, sempre secondo Draghi, è sotto controllo e si prevede che lo rimarrà. Anche in presenza di un cambio più debole, mi sento di aggiungere senza coinvolgere Draghi. Il debito pubblico nei paesi della Ume, dice Draghi, è in crescita di conseguenza, e ha raggiunto in media quel fatidico 90% indicato dagli ora sconfessati calcoli di Reinhart e Rogoff oltre il quale si afferma che divenga insostenibile. Le banche continuano a rifiutarsi di prestare alla clientela privata, specie ora che le autorità monetarie mondiali assicurano l’arrivo di un’era di moneta facile stabile e duratura e le banche possono fare bei guadagni speculando sul mercato dei titoli pubblici, che infatti ha preso a correre ricordandoci le bolle recenti. L’aumento delle sofferenze bancarie potrebbe continuare a causa del perdurare della recessione. Saranno i paesi meridionali dell’Ume a soffrire di più e potrebbero veramente sperimentare, a breve termine, i sommovimenti politici e sociali cui Draghi allude nelle pagine conclusive della sua lezione.