Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 12 Domenica calendario

EPIFANI, UN EX PSI PER IL POST-BOTTEGONE

A sentire i socialisti, è anche una storia di socialisti. Guglielmo Epifani (allora detto il giovane Werther non per i dolori ma per la gioventù), è quasi una rivincita. Il partito erede del partito comunista e della sinistra democristiana, che mandarono Craxi a Hammamet, si affida a un ex socialista. Entrato in Fgs da ragazzino, demartiniano, poi passato con i vincitori del Midas, legato ad Agostino Marianetti, socialista nella Cgil, in buoni rapporti con Giuliano Amato, ma anche con Claudio Martelli e direttamente con Bettino Craxi. Ortodosso alla linea Psi sulla scala mobile: schierato con Ottaviano Del Turco nella Cgil e con Craxi contro Berlinguer in quella storia fondativa dell’orgoglio socialista degli anni ’80 che culmina con il decreto di San Valentino. Del Turco ha raccontato che in quella fase Epifani lo aiutò a tenere insieme la componente socialista.
Il destino di socialista che riunisce la sinistra gli era già toccato come segretario della Cgil. Ma nella storia dei socialisti, i giudizi sono inestricabilmente legati a quello che succede dopo il 1992.
UNA STORIA CRAXIANA

C’è chi ricorda che il craxiano Epifani si schiera tra i primi dalla parte della questione morale. Giuliano Cazzola ricorda il caso Del Turco: «Per Ottaviano, Guglielmo era una specie di fratello minore. Lo aveva voluto come suo successore. Eppure quando nell’estate del 2008 Del Turco venne ingiustamente arrestato, la Cgil ed Epifani tacquero». In generale, per i socialisti è un uomo controverso. Per alcuni è l’uomo della rivalsa postuma e un po’ amara, per altri è un abilissimo mediatore che per tatticismo da tempo ha smesso di essere un riformista.
Entrato ventiquatrenne nella casa editrice della Cgil, Epifani fa il suo cursus. Nel 1993 batte Fausto Vigevani nella gara per la guida della componente socialista. Fa asse con Sergio Cofferati. Qualche anno dopo, in vista del congresso diessino di Pesaro, Epifani porta i socialisti della Cgil contro D’Alema e il segretario in coming Piero Fassino sulla posizione pro-Berlinguer di Cofferati, il quale dopo la grande affermazione sull’articolo 18 è la grande promessa del partito.
LA PARTITA IN CGIL

Cofferati lo propone per la segreteria Cgil anche nella segreta convinzione – che tutti i capi sindacali coltivano – di poter tenere una mano benevola sulla spalla del suo successore. Cosa che non accadrà. Mentre Cofferati se ne va a Bologna, piano piano, il nuovo segretario si sposta più a sinistra. E lo fa proprio sull’articolo 18. Nel 2003 la Cgil di Epifani appoggia il referendum promosso da Bertinotti per estendere l’articolo 18 alle aziende sotto i 15 dipendenti. Mentre i Ds, Cofferati compreso, propongono agli elettori di non votare.
Epifani comincia a subire il rapporto con la Fiom. Non chiude l’accordo con la Confindustria di Luca di Montezemolo sulla contrattazione. Poi va a uno strano congresso, quello che porterà all’elezione di Susanna Camusso. Mozioni contrapposte, da una parte la schiacciante maggioranza epifaniana, in minoranza una singolare alleanza composta dal corpaccione della funzione pubblica, dai massimalisti fiommini e dai bancari di Nicoletta Rocchi e Mimmo Moccia, due compagni e amici socialisti delusi dalla rinuncia del segretario alla tradizione riformista.
Pur essendo uno che non firma accordi, da alcuni gli viene rimproverato di indulgere nelle relazioni. Quand’era capo dei poligrafici in cui confluirono poi anche i televisivi, fece in tempo a incrociare Berlusconi e subire – dicono i testimoni – il fascino del tychoon editoriale. Anni dopo gli fu offerta la guida della Rizzoli, ma rifiutò. In generale concorre a questo pregiudizio relazionale, una natura personale educata e socialmente disponibile. Chi lo conosce bene concorda su una riflessione sul suo futuro: come segretario del Pd, potrebbe essere che in lui prevalga la natura notarile e gli riuscirà naturale la mediazione. Oppure potrebbe accadere che a 63 anni sia tentato dalla prospettiva di giocare in prima persona. Sarebbe davvero una conclusione imprevista per un capo che non era favorevole alla nascita del partito che gli ha offerto la leadership.