Marina Mojana, il Sole 24 Ore 12/5/2013, 12 maggio 2013
IL COSTOSO AMANTE DI BACON
Tra i 64 lotti che passeranno di mano nell’asta serale di arte contemporanea da Sotheby’s New York, il prossimo 14 maggio, c’è un capolavoro di Francis Bacon. Si tratta di Study for a Portrait of P.L., dipinto nel 1962 e stimato 30-40 milioni di dollari: non appariva in pubblico da oltre 40 anni e dalla metà degli anni 2000 appartiene all’attuale venditore. Dell’artista irlandese, divenuto pittore "sul serio" dopo aver svolto mestieri di ogni genere, dallo stenografo al centralinista, dall’arredatore al cuoco, si conoscono circa 600 dipinti e sono per la maggior parte ritratti e autoritratti. «Amo fare ritratti di persone che mi piacciono – disse in un’intervista a David Sylvester –, mi piacciono come persone e per l’aspetto che hanno. Troverei difficile ritrarre qualcuno per cui non provo simpatia. Suppongo che ne potrei fare delle caricature... persino più caricaturali di quanto faccia normalmente». La cerchia dei suoi intimi, però, non era molto ampia e in mancanza di altro finiva spesso col ritrarre se stesso.
P.L. (Peter Lacy) era stato il suo più grande amore, conosciuto al Colony Room di Soho nel 1952, poco dopo la sua prima mostra del dopoguerra alla Hannover Gallery di Londra (1951) e poco prima della partenza per New York (1953). È il periodo in cui Bacon inizia a dipingere la serie dei Papi ispirati all’Innocenzo X di Velázquez, espone al Padiglione Britannico della Biennale di Venezia (1954) e si emancipa dalla relazione con Eric Hall, il banchiere e collezionista che nel 1929 era stato il suo primo amante e protettore. Peter Lacy era invece un pilota di guerra, uomo passionale e violento, proprio il tipo per cui Bacon poteva perdere la testa. Sadico e alcolizzato, un giorno aggredì Francis lanciandolo attraverso una vetrata e ferendolo in volto così gravemente da doverlo ricucire d’urgenza sotto l’occhio destro. Ciononostante Bacon lo amò ancora di più e per settimane non perdonò all’amico Lucian Freud di avere osteggiato il suo "adorato torturatore".
Tra alti e bassi la loro love story dura quasi un decennio e a metà degli anni 50 li vede partire insieme per Tangeri, un ambiente artistico cosmopolita e più tollerante verso gli omosessuali. Qui Peter decide di trasferirsi in modo stabile con Francis, che dipinge parecchio, ma con scarsi risultati. «Non pareva funzionare – ricorderà Bacon anni dopo –, forse la luce era troppo forte. Ho provato a lavorare in tanti posti diversi, anche a Montecarlo, ma non sono abituato a una luce così forte, per un certo verso mi intralciava».
Tornato a Londra si mette a dipingere al mattino presto e prepara di buona lena la sua grande mostra alla Tate Gallery. La notizia della tragica morte di Peter Lacy per alcolismo arriva improvvisa nel maggio del 1962, proprio insieme ai telegrammi di congratulazioni per il successo della sua importante antologica. Pochi mesi dopo l’artista ne dipinge a memoria il ritratto, seduto a gambe accavallate su una scalinata blu e con un bicchiere di vino rosso tra le mani. Sembra brindare alla propria morte.
Non era la prima volta che Peter Lacy entrava in una tela di Bacon, ma sarà una delle ultime. Altri amori, altre storie, altre ossessioni dovevano ancora nascere, tutti immortalati sulla tela: George Dyer, conosciuto nel 1962 e morto suicida nel 1971 (anche in questo caso la tragedia avrebbe funestato la gioia dell’inaugurazione della mostra di Bacon al Grand Palais di Parigi); un suo grande ritratto – eseguito dall’artista nel 1967 – è passato in asta da Christie’s Londra nel 2005 per quasi 9 milioni di dollari; infine John Edward, incontrato nel 1974 e rimasto accanto a Bacon fino alla morte del pittore, nel 1992.
La tela grezza dedicata a P.L. ha una notevole importanza storico-artistica, perché segna uno spartiacque nel fare pittorico di Bacon: la composizione tende alla sintesi, lo sviluppo orizzontale dei quadri futuri è annunciato dai gradini sullo sfondo e la campitura piatta dei colori richiama l’Espressionismo astratto americano. Anche la deformazione del viso dell’amato – sotto una certa influenza di Picasso – diventa una cifra stilistica che nel tempo rende sempre più riconoscibile e apprezzato il lavoro dell’irlandese. La sua idea di rappresentazione si muove in termini di Figurazione e di Realismo e negli anni 50 e 60 è alla base della "Scuola di Londra". Dipingeva soprattutto per se stesso: «Come si può lavorare per un pubblico? – diceva – Non devo eccitare nessuno tranne me». Era sempre sorpreso quando qualcun altro amava il suo lavoro e a David Sylvester che gli chiedeva le cose essenziali per un artista rispose: «Ce ne sono molte, ma in particolare non avere paura di rendersi ridicoli ed essere capaci di trovare un soggetto da dipingere. Senza un soggetto si ricade automaticamente nella decorazione, perché non hai qualcosa che sta sempre a roderti dentro per uscire fuori... la realtà è crudele e la più grande arte ti riporta sempre alla vulnerabilità della condizione umana».