Matteo Motolese, il Sole 24 Ore 12/5/2013, 12 maggio 2013
AUTORE, METTICI UN PUNTO
Nei Testamenti traditi Milan Kundera ricorda a un certo punto come Kafka volesse che i suoi libri fossero stampati con caratteri molto grandi: «il desiderio di Kafka – scrive – era giustificato, logico, serio, legato alla sua estetica o, più concretamente, al suo modo di scandire la prosa». In una pagina fitta (come quella degli odierni tascabili) la sua sintassi finiva per soffocare, diventare illeggibile, ridotta a semplice informazione, difficile assaporarne la bellezza.
Il libro di Kundera è pieno di tradimenti postumi della volontà degli scrittori, come quello che l’editoria di massa ha imposto a Kafka.
Quello della mise en page, del modo di organizzare il testo nella pagina, è anzi uno dei più veniali. Ma come sa chiunque pubblichi libri, il bianco è una delle ossessioni dominanti degli editori: niente di astratto o poetico, niente horror vacui o paura del silenzio. Soldi: il bianco costa, perché la carta costa. Lo sviluppo dell’editoria digitale sta trasformando anche questo. Lo sappiamo: il testo è diventato qualcosa di mobile, di fluido, adattabile; possiamo scegliere in quale forma leggere ciò che compriamo online: allargando il carattere, ampliando i margini, scegliendo anche, se vogliamo, di leggere bianco su nero. Ciò che prima era riservato solo alle nostre scritture private oggi è diventato il modo in cui anche le scritture pubbliche vengono sempre più condivise.
Dopo secoli, la cultura scritta sta cambiando in modo radicale. Forse per questo l’attenzione per gli aspetti visivi dei testi letterari non è mai stata così forte. Si moltiplicano gli studi sul modo in cui la letteratura nel tempo è stata disposta nella pagina, gli equilibri raffinatissimi tra porzioni scritte e porzioni libere, la grandezza dei caratteri e il loro rapporto reciproco.
Non si tratta sempre di dettagli. Quando Boccaccio copiò a mano il suo Decameron dedicò grande attenzione a scandire i piani narrativi attraverso capilettera di dimensioni e colori diversi tra le giornate, le introduzioni dei narratori e l’inizio delle novelle. Una scansione non tanto visiva ma concettuale: in questo modo le introduzioni, sovraordinate, orientavano la lettura delle novelle in senso moralizzante, capovolgendone a volte il significato. Allo stesso modo Petrarca – nell’allestire la copia modello del suo Canzoniere – sembra aver studiato la sintassi complessiva del manoscritto bilanciando l’alternanza tra il bianco della pergamena e il nero dei versi così da avere su pagine contrapposte componimenti speculari.
Simili impaginazioni d’autore attraversano tutta la letteratura occidentale. Con i secoli, il bianco si è fatto sempre più spazio all’interno del testo. Non solo in poesia: anche nei romanzi è diventato parte integrante della narrazione. È noto l’amore di Proust per la riga bianca che separa gli ultimi due capitoli dell’Éducation sentimentale di Flaubert: uno stacco che dilata di sedici anni la storia e la sigilla in modo mirabile.
Un libro di Elisa Tonani raccoglie ora una serie di testimonianze di questa attenzione da parte di scrittori italiani del Novecento. Tonani è una specialista dell’argomento: anni fa aveva dedicato un volume alla mise en page nei romanzi tra Otto e Novecento. Ora ritorna sul tema con una serie di approfondimenti: Montale, Gadda, Manganelli, Caproni, Calvino, Sanguineti, Baricco, tanto per dirne alcuni. Sintassi visiva e punteggiatura espressiva. Quanto le due cose siano collegate lo si vede guardando la riproduzione di una doppia pagina bianca del Conte di Kevenhüller di Giorgio Caproni. Una parentesi isolata in cima alla pagina apre una sospensione di senso. Dopo diversi centimetri, una frase – «La morte non finisce mai» – galleggia in un bianco che si dilata sino alla pagina successiva dove a chiudere è posizionata un’altra parentesi, in alto, e un asterisco, in basso. Le bozze di stampa fanno vedere quanta cura Caproni avesse messo nell’indicare la misura appropriata di ogni carattere tipografico e l’esatta posizione di ogni segno rispetto agli altri.
Anche la prosa offre esempi di raffinate costruzioni visive: non solo il volo degli uccelli in certe pagine di Arbasino ma costruzioni più sottili in cui, ad apertura di pagina, non diresti che c’è anche qualcosa da vedere.
Così in Italo Calvino, Dall’Opaco: un racconto in cui i blocchi di testo, separati da righe bianche, disegnano sulla pagina il paesaggio ligure, con i suoi terrazzamenti. Così in Baricco, Oceano Mare: pagine in cui una spaziatura a zig zag disegna sul testo il susseguirsi delle onde del mare. Piccoli stratagemmi tipografici che danno tridimensionalità alla scrittura. Aggiungono senso al senso. Moltiplicano lo spazio mentale.
È inevitabile chiedersi quanto queste strategie visive, questa cura editoriale, possa resistere nel mondo digitale. Difficile sottrarsi alla sensazione di osservare specie in via d’estinzione o destinate alla riproduzione assistita in uno zoo. Non tanto, o non solo, per il fatto che il testo è ormai qualcosa di mobile sui nostri tablet, ma anche per il fatto che la letteratura stessa (tutta, non solo quella sperimentale dei romanzi in tweets) finirà per adattarsi al modo in cui è destinata sempre di più ad entrare in circolo. Lo si è già visto nel passaggio dal vinile al cd: ve li ricordate i lati B? Le costruzioni degli album in due blocchi? Archeologia.