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 2013  maggio 12 Domenica calendario

LA FORZA DELLA STABILITÀ

Affermare che il duale è un sistema che serve solo per moltiplicare poltrone e stipendi, per garantire l’autoreferenzialità dei vertici e dei rappresentanti dei soci, rischia di essere fuorviante e riduttivo. Soprattutto se il bersaglio delle polemiche è Intesa Sanpaolo, prima banca italiana, polmone creditizio del sistema industriale, cassaforte del risparmio. Alessandro Plateroti
Nonché socio rilevante di alcune tra le più importanti aziende italiane e asse portante del sistema finanziario nazionale. La stabilità di Intesa - come avviene per JpMorgan negli Usa, Bnp in Francia o Deutsche Bank in Germania - è considerata un cardine essenziale per il corretto funzionamento dell’economia nazionale. Un ruolo di cui certamente (e giustamente) Intesa non ha l’esclusiva e che anzi condivide con altre colonne del sistema come UniCredit, Ubi e Mediobanca, ma che è necessario e imprescindibile in un Paese come l’Italia privo di un vero mercato dei capitali e con una Borsa troppo debole sia per capitalizzazione che per liquidità. Proprio per questo insieme di fattori, la comunità finanziaria ha dedicato grande attenzione al rinnovo del Consiglio di sorveglianza e alla nomina del Consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo. Il processo non è stato indolore e la dialettica interna non è mancata. Ci sono state, come di consueto, polemiche sul ruolo delle fondazioni, sull’asse inossidabile tra Bazoli e Guzzetti nelle scelte importanti, tensioni tra i manager e tra questi e i rappresentanti dei soci su ruoli e deleghe nella nuova squadra di vertice guidata dall’amministratore delegato Enrico Cucchiani. Ma in quali banche ciò non avviene? E poi non occorre di certo la patente di analista per capire che dopo ogni terremoto ci sono le scosse di assestamento. E, in questo senso, la riconferma unanime di Giovanni Bazoli riflette l’esigenza di garantire stabilita alla banca in una fase di transizione come quella attuale che coincide con un momento molto critico per il Paese. L’uscita di Corrado Passera dopo quasi 10 anni al vertice della banca e la sua sostituzione con Cucchiani nel 2011 hanno infatti tolto luce e spazi ad alcuni manager e creato aspettative in altri, secondo un copione ben noto a chiunque lavori nel mondo degli affari: scandalizzarsi è inutile, e comunque saranno il tempo e i risultati (al netto della congiuntura, possibilmente) a stabilire quale squadra fosse la più adatta. Passera, come è noto, credeva nella «banca per il Paese», nel ruolo-guida di Intesa non solo nel processo di ristrutturazione del capitalismo italiano, sia pubblico che privato, ma anche come puntello finanziario per garantire la stabilità societaria del cosiddetto «salotto buono». Cucchiani crede nel ruolo-guida di Intesa nel processo economico italiano, ma come Mario Greco alle Generali o Alberto Nagel in Mediobanca sembra meno focalizzato sul suo ruolo di holding di «partecipazioni strategiche». Se ciò significa una maggiore attenzione all’economia reale, alle piccole e medie imprese, ai risparmiatori e alle famiglie in cerca di mutuo lo sapremo presto: ora che la nuova squadra è insediata saranno i risultati a parlare. E, ovviamente, le decisioni che saranno prese da Cucchiani sulle grandi partite italiane, come ad esempio Telecom Italia. Certo, Banca Intesa non gode oggi di ottima salute, comunque di gran lunga migliore rispetto alla situazione degli altri grandi istituti di credito europei. Miliardi di svalutazioni sugli asset in bilancio e il peso crescente dei crediti in sofferenza spingono i banchieri verso politiche del credito prudenziali. La strozzatura dei finanziamenti è un pericolo chiaro e presente per le imprese e per le famiglie. Ma allo stesso tempo, sarebbe sbagliato non riconoscere che il mondo del credito è profondamente disorientato, pressato tra l’esigenza di remunerare il capitale dei soci, sostenere l’economia e allo stesso tempo sviluppare nuovi modelli operativi entro i limiti imposti dalle nuove regole patrimoniali di Basilea. Dopo cinque anni di recessione e di crisi finanziaria, in una situazione di incertezza e di grandi difficoltà globali, il mondo del credito non è né entità astratta, né variabile indipendente. E questo porta dritti alla questione del gruppo dirigente, sulla cui competenza e capacità si esprimono gli azionisti. Giudicare le scelte degli azionisti e dei manager di una società quotata è un diritto inalienabile del mercato. Il titolo di Intesa, malgrado l’impatto della crisi dei tassi e la recessione, ha perso meno di quelli dei concorrenti nel corso della crisi: sarà forse proprio per quella «stabilità» che viene ora criticata? In altri termini, possiamo a cuor leggero affermare che le dimissioni di Bazoli - che da parte sua si è detto pronto a lasciare se costretto dall’età - chiuderebbero una fase di incertezza per schiudere nuovi orizzonti gestionali in Banca Intesa? In che cosa muterebbe il quadro normativo e istituzionale degli anni ’90 - oggi unanimemente contestato come fattore di debolezza e di impropria commistione di interessi - i cui effetti perversi sono spesso denunciati? Non si riprodurrebbero forse i medesimi inconvenienti? Il problema resta affrontare la questione reale, affrontarla ora: garantire nel duale di Intesa un distacco proprio ed effettivo fra "sorveglianza" e "gestione". È un periodo in cui, in politica e nei partiti, assistiamo a pur giustificati sussulti di insofferenza generazionale. Hanno il loro valore. Ma non scambiamo la franchezza con il coraggio delle riforme, sia nella società sia nella gestione di banche. Soprattutto nel Paese di Tommasi di Lampedusa.