Deborah Ameri, Il Messaggero 13/5/2013, 13 maggio 2013
NELLA MENTE DEL KILLER
Natura o cultura? È questo il dilemma. I comportamenti antisociali e violenti sono influenzati dall’ambiente in cui si cresce e da fattori esterni o sono insiti nella personalità e nel Dna? La seconda teoria era un tabù fino a non molto tempo fa. Sostenere che la condotta criminale abbia basi biologiche (per esempio certe anomalie nel cervello o certi tipi di geni) è una vaga reminiscenza dell’eugenetica nazista e ha messo nei guai più volte il britannico Adrian Raine, neurocriminologo, che ha lasciato l’Inghilterra e ha scelto l’America (insegna all’università della Pennsylvania) dove la sua disciplina viene meglio tollerata. Dopo anni di tentativi a vuoto e di rifiuti da parte delle case editrici, nonostante decine di studi portati a termine, il professore è finalmente riuscito a pubblicare il suo libro: The anatomy of violence (L’anatomia della violenza), recensito dal Guardian di Londra.
I MARKER
Raine è convinto che esistano precisi marker biologici in base ai quali sia possibile riconoscere un criminale. Il suo primo studio, condotto in alcune prigioni americane, risale al 1994. Dopo aver sottoposto a Pet (tomografia a emissione di positroni) 41 carcerati e aver paragonato il loro cervello con quello di 41 persone senza precedenti penali, Raine ha scoperto che negli assassini c’era una significativa riduzione nello sviluppo della corteccia prefrontale rispetto a quella degli incensurati. È provato che questa deficienza porti a una difficile gestione della rabbia, a una predisposizione al rischio e alla perdita di auto controllo. Tutte caratteristiche di una persona violenta.
Certo Raine non è il primo a considerare altri fattori, oltre a quelli ambientali, per individuare un presunto assassino. Prima di lui c’è stata la frenologia del medico tedesco Franz Joseph Gall, secondo il quale la morfologia del cervello, per esempio la presenza di bozzi e depressioni, poteva indicare l’inclinazione al male. Dopo è arrivato l’italiano Cesare Lombroso, considerato il padre della criminologia moderna, che prendeva in considerazione le caratteristiche anatomiche del volto. Teorie molto controverse, già nel 1800. E perfino quando sono finite in un film, Minority Report con Tom Cruise, nel quale i delinquenti vengono fermati prima che facciano del male. Oggi sarebbe possibile, grazie alla neuroscienza? È decisamente prematuro, ammette Raine. Ma le sue ricerche e quelle di molti altri non possono più essere ignorate. E infatti negli Usa la neuroscienza viene impiegata a volte in casi di omicidio per far ottenere all’imputato delle attenuanti.
Ma la violenza può essere considerata una malattia? David Eagleman, direttore di Neuroscienza e Legge del Baylor college of Medicine in Texas, risponde al Guardian citando alcune ricerche scientifiche. «Chi ha un particolare gruppo di geni è quattro volte più propenso a commettere un crimine violento rispetto a chi non li possiede. In particolare ha una probabilità tripla di fare una rapina ed è tredici volte più probabile che venga arrestato per un crimine sessuale».
LE PROVE
Raine ha scoperto altri marker biologici dei criminali: bassa frequenza cardiaca, labbra screpolate da bambino (che indicano mancanza di riboflavina) e difficoltà respiratorie nei primi minuti dalla nascita. Altri studi (di cui si parla nel libro The psychopath test di Jon Ronson) hanno delineato che lo psicopatico è più propenso ad avere lavori temporanei o a fare il giornalista, il manager o l’artificiere.
Ma il professore sottolinea che non si tratta solo di biologia. A differenza di Lombroso e Gall, ammette che i fattori ambientali siano fondamentali e siano proprio questi a essere in grado di cambiare la struttura fisica del cervello. Sembra impossibile crederlo, ma Raine ha collezionato una serie di prove scientifiche. Per esempio se una madre fuma molto durante la gravidanza potrebbe incidere sulle sinapsi del suo bambino. L’abuso, la trascuratezza, la malnutrizione, l’uso di alcol, l’esposizione alla violenza sono fattori in grado di influire sulle connessioni neuronali. Questa teoria si chiama epigenetica. E secondo Raine sarà la scienza del futuro. Ma anche lui ammette che l’esatta predizione del comportamento umano, a causa della complessità del nostro cervello, sia impossibile.
Minority Report rimane ancora fantascienza.