Mario Giordano, Libero 11/5/2013, 11 maggio 2013
ZANONATO FA IL MINISTRO «MA NON È INTELLIGENTE»
C’è chi non può non sapere. E c’è chi non può capire. Flavio Zanonato appartiene a quest’ultima categoria: non può capire, come sta scritto niente meno che in una sentenza della magistratura di una ventina d’anni fa, che lo definì letteralmente privo di «intelligenza astuta» e di «malizia».
E siccome è privo di «intelligenza astuta» e non può capire, ovviamente, l’abbiamo fatto ministro per lo Sviluppo economico, affidandogli il rilancio delle nostre imprese, l’uscita dalla crisi e l’avvìo della ripresa. Il compito più delicato e importante che ci sia, insomma, roba per cui ci saremmo aspettati l’impiego dei meglio cervelli, delle menti eccelse, dei più svelti e più furbi fra coloro che bazzicano le stanze del potere. Invece, no: noi ci abbiamo messo Zanonato. L’uomo che non può capire. Un gesto suicida che però presenta almeno un vantaggio: se fallisce, almeno lui non ci rimane male. Magari non se ne accorge neppure.
La vicenda che l’ha bollato per la vita risale ai primi anni Novanta. Zanonato, allora quarantenne, dopo una carriera già piuttosto importante da burocrate del Pci (era stato segretario provinciale, poi a Roma nell’ufficio immigrazione) viene richiamato a Padova e, «in attesa di un impegno politico più consono», come recitano i verbali, sta parcheggiato in una cooperativa rossa, la Cles.
Quest’ultima viene coinvolta in Tangentopoli: per volere del Pci-Pds, infatti, la coop vinceva tutti gli appalti (truccati) per la costruzione dell’ospedale di Castelmassa, in provincia di Rovigo. E chi portava le valigette piene di soldi (dieci milioni delle vecchie lire per volta)? L’ottimo Zanonato, per l’appunto. Però lo faceva senza rendersene conto, poveretto. Consegnava le mazzette a sua insaputa. E così, sempre a sua insaputa, si preparava a diventare ministro dello Sviluppo economico.
È lo stesso Zanonato a confessare la propria beata ignoranza nel febbraio ’93 quando lo scandalo esplode. Nel frattempo lui non è più parcheggiato perché ha trovato «l’impegno politico più consono »: è diventato, infatti, sindaco di Padova (nota abitudine del Pci: il parcheggio alla coop rossa finisce quando si conquista il Comune). Siccome il buon Flavio sente aria di avviso di garanzia (è inconsapevole, mica fesso), manda un memoriale al pm Nordio che sta indagando proprio sulle relazioni tra cooperative e Pci-Pds, in cui ammette di aver consegnato qua e là valigette con i soldi. Però dice di averlo fatto «senza saperne la ragione».
Ora è ovvio, no? Uno va in giro per il Veneto, bussa a qualche porta a caso e oplà regala un po’ di soldi a vanvera.
Poi prende la sua auto, un altro bel giretto e oplà, un altro bel malloppo consegnato a chissà chi. Mai che si faccia una domanda, per dire: è l’ora della beneficenza? Sto subendo una trasformazione genetica in Babbo Natale? Dove sono le renne? Niente di niente: continua a distribuire i suoi soldi, trullallero trullalalà, manco fosse un bancomat semovente e, come le famose scimmiette, non sente, non vede, non parla. Soprattutto: non capisce.
Pofferbacco, che persona acuta: non volete forse farlo diventare ministro?
Quei soldi, spiegherà l’inchiesta, servivano a convincere i concorrenti della Cles a presentare offerte «pro forma» per perdere le gare d’appalto. Ma questo Zanonato, funzionario della Cles con valigetta al seguito, proprio non lo sapeva. Lo confermano altri dirigenti della coop rossa: «Flavio è un compagno di partito che non ha alcuna cognizione di appalti. Fu inserito nella nostra cooperativa in attesa di un incarico politico a lui più consono». E il medesimo Zanonato spiega che, quello alla Cles, fu «un incarico del tutto episodico e marginale, di carattere sostanzialmente esecutivo, che avrebbe potuto essere svolto da qualunque altro dipendente». Capito? Il futuro ministro era una specie di yesman della coop, un figurante della mazzetta, un inconsapevole messaggero nella mani dei malintenzionati: lo trascinavano nelle spire di Tangentopoli e niente, lui continuava a dormire pacifico come un bebé. Avrebbero anche potuto coinvolgerlo del furto del Santo dalla Basilica di Sant’Antonio, per dire, e lui non se ne sarebbe accorto, potevano convincerlo a trasformare il Caffè Pedrocchi con una bisca clandestina e lui avrebbe chiesto: «Che male c’è?». L’unica cosa che ha intuito subito è stato quando si è liberato «l’incarico politico più consono». Lì è stato velocissimo. Per il resto non ha mai capito nulla.
Che ci volete fare? Lo stesso magistrato Nordio nel ’93 alzò bandiera bianca, non senza un filo di giuridica ironia. «Di fronte a tale disarmante difesa – scrisse – l’accusa si arrende. È in effetti impossibile dimostrare la volontà di concorrere a un reato come la turbativa d’asta che postula un’intelligenza astuta e una spregiudicatezza smaliziata». Il pm, dunque, chiese l’archiviazione per manifesta incapacità di comprensione. E così il sindaco incapace di capire, privo di intelligenza astuta e di malizia, continuò la sua brillante carriera politica: sindaco fino al ’99, poi di nuovo sindaco dal 2004 al 2013, distinguendosi per la lotta alla prostituzione e la costruzione del muro di via Anelli (l’opera più brillante del suo ingegno), oltre che per alcune frasi indimenticabili riportate dalla sua biografia (tipo: «Diventare nonno è una della esperienze più belle della vita»). Con un curriculum del genere poteva mancare l’appuntamento con la poltrona ministeriale? Macché. E infatti eccolo lì, nell’incarico più importante che ci sia, quello che dovrebbe far decollare l’intera economia italiana.
Come possa Zanonato riuscire in quest’impresa se lo chiedono un po’ tutti. Se lo chiede anche lui, per la verità: quando Bersani l’ha chiamato per annunciargli la nomina, infatti, ha subito pensato a uno scherzo. «Mi state prendendo in giro?», ha chiesto. Tanto per cambiare, non aveva capito una mazza.