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 2013  maggio 11 Sabato calendario

SULLE NOZZE DI CASA BENETTON UN MACIGNO DA 800 MILIONI

La zuppa di oggi si cucina una storia a cui aveva accennato qualche settimana fa in un suo post scriptum. Che vale evi­dentemente la pena sviluppare un po’. Riguarda la fusione, tutta in casa Benetton, di due sue nobili controllate: Atlantia, la sca­tola quotata in Borsa, che controlla le autostrade, e Gemina, un’al­tra società quotata, che invece ha in pancia gli aeroporti di Roma. La fa­miglia veneta controlla la pri­ma con circa il 48% delle azioni e la seconda con il 36 per cento. Non discuteremo in questa sede le opportunità industriali di mettere insieme piste di decol­lo con strade, ma di alcuni detta­gli con cui l’operazione è stata fatta, che fanno riflettere sul ruolo delle minoranze nelle so­cietà italiane. Alla fine di un complicato processo di valuta­zione delle due imprese, si è sta­bilito di fondere Gemina in Atlantia con un concambio di 9 azioni degli aeroporti per ogni azione delle autostrade.
Il mercato si è molto interro­gato su questi valori relativi e so­prattutto su una certa supervalutazione di Atlantia (8,9 volte il margine operativo lordo aggiu­stato) e una decisa sottovaluta­zione di Gemina (7,5 volte il me­desimo margine). Questioni che riguardano i tecnici e in cui è sempre difficile mettere boc­ca. I più critici sostengono, ad esempio, che recenti affari rea­lizzati su società aeroportuali le hanno valutate il doppio, so­prattutto in considerazione del fatto che Gemina si è appena portata a casa una revisione del­le­ tariffe sul suo scalo di Fiumici­no. Una cosettina che vale circa 150 milioni di margine in più all’anno (sui 266 oggi realizzati). Ciò che ci fece saltare sulla se­dia però non sono state queste valutazioni, ma il fatto che le holding della famiglia Benet­ton proprio nel momento in cui si stavano decidendo i concam­bi si sono affrettate a comprare sul mercato in quindici giorni la bellezza di 8.4 milioni di azio­ni Atlantia (il 41% dei volumi di quel momento) sostenendo co­sì le quotazioni e di fatto la loro forza relativa rispetto a Gemi­na. Tutto legale, ma non molto trasparente. Così va la vita a Piazza Affari.
Ma a questo primo campanel­lo di allarme se ne è aggiunto uno, pochi giorni fa, (colto solo da Mf ) piuttosto inquietante. Si è infatti scoperto che Atlantia (la società pompata dagli acqui­sti di Borsa e che ingloberà Ge­mina) ha «pending» una causa con lo Stato italiano da 800 milioni. Avete letto bene 800 milio­ni (su un fatturato di 3.4 miliar­di): una roba da far tremare i polsi. Nessuno però era stato avvisato. E a quanto risulta al Giornale, neanche la famiglia Benetton, che diventerà pro­prietaria dell’unica società do­po la fusione, ne era al corren­te. Tra poco parleremo di que­sto macigno, che potrebbe rive­larsi meno pesante del previ­sto, ma conviene fare un passo indietro.
Se un’azienda, che si deve fondere con un’altra, pagando­la con le proprie azioni, è sotto­posta a una minaccia legale di questo tipo, non deve forse av­vertire tutti i possibili attori del pericolo in cui si trova? I consi­glier­i di amministrazione di Ge­mina che hanno votato a favore della fusione (ripetiamo noi: a condizioni certo non favorevo­li) come potrebbero risponde­re ad un azionista di minoranza che li incalzasse sul loro voto? Si rendono conto gli amministratori di Atlantia che non aver fornito questa informazione in un momento così delicato met­te a­nche i loro azionisti di riferi­mento in serio imbarazzo? A quanto risulta al Giornale gli stessi dirigenti di Atlantia han­no scritto una lettera, protocol­lata al ministero, in cui chiedevano lumi sul procedimento le­gale. Una causa da 800 milioni può anche essere (e poi lo ve­dremo) fragile o temeraria, ma arriva dallo Stato italiano che si è reso parte civile. Il medesimo Stato che regola tutte le attività sia di Atlantia (autostrade) sia di Gemina (aeroporti). Che so, forse un sms, una letterina, una discussione si poteva affronta­re prima di procedere ai con­cambi per la fusione. Tanto più che tra le condizioni contrattua­li che potrebbero far saltare la medesima fusione (oltre alle necessarie autorizzazioni Anti­trust ed Enac) è presente pro­prio «l’assenza... di ogni atto giudiziario che possa alterare il profilo di rischio o le valutazio­ni sui quali sono basati i concambi». Alcuni consiglieri di Gemina sono oggi comprensi­bilmente molto preoccupati.
Parliamoci chiaro: questa di­menticanza più che un illecito, sembra un ulteriore tassello costruito per far sì che l’operazio­ne si concluda velocemente con massima soddisfazione degli azionisti di Atlantia e mino­re godimento di quelli di Gemi­na. Gli 800 milioni di cui parliamo sono infatti una delle solite follie della burocrazia italiana. Nascono da una incredibile va­lutazione del possibile danno ambientale che le Autostrade avrebbero provocato nell’ese­guire la Variante di valico.
Secondo un’interpretazione talebana della norma del 2006 (peraltro già applicata ad altre imprese) si richiede non solo il costo del ripristino, ma anche un risarcimento danni. E per di più con la logica del costo mas­simo del ripristino ambientale.
Una roba da pazzi. Ma seque­st­rare i coils dell’Ilva non lo è al­trettanto? Su queste basi il ministero dell’Ambiente non solo si è costituito parte civile contro Atlantia, ma ha richiesto, per l’appunto, accantonamenti per 800 milioni. Come spesso avviene in queste occasioni (su questa materia un po’ ricattato­ria abbiamo aperte varie infra­zioni europee) si arriverà a una transazione: lo Stato chiede 100 e chiude a 10.
Ma resta un po’ di amaro in bocca. Prima le azioni comprate durante il periodo del concambio, poi nascondere la noti­zia della causa milionaria con il ministero, non un buon bigliet­to da visita pe­r fidarsi delle ope­razioni societarie congegnate a Ponzano Veneto.