Claudio Galloi, La Stampa 13/5/2013, 13 maggio 2013
Anche lui postumo a se stesso, il Talleyrand di Teheran Ali Hashemi Rafsanjani, 80 anni ad agosto, con un’inattesa capriola torna al centro dell’arena politica iraniana
Anche lui postumo a se stesso, il Talleyrand di Teheran Ali Hashemi Rafsanjani, 80 anni ad agosto, con un’inattesa capriola torna al centro dell’arena politica iraniana. La sua iscrizione all’ultimo momento alle affollatissime liste dei candidati alle presidenziali di metà giugno, cambia i giochi in quella che sembrava una sfida tra giocatori con la stessa maglia. Pochi istanti prima del suo arrivo al ministero degli Interni, gli iraniani potevano sostanzialmente votare un conservatore oppure un conservatore. Intendiamoci, Rafsanjani è tutto fuorché un uomo di «sinistra» oppure un liberal-democratico. Nel suo ampio armadio di inquilino fisso ai vertici della Repubblica Islamica c’è una folla di scheletri. Eppure in questo momento, il suo centrismo pragmatico sarebbe la cosa più dirompente da votare in Iran. Il condizionale è indispensabile, perché le candidature debbono ancora essere vagliare dal Consiglio dei Guardiani. Rafsanjani, figlio di una ricca famiglia di produttori di pistacchio, è un pezzo di storia dell’Iran teocratico. Hojatoleslam, grado intermedio della gerarchia religiosa sciita, è stato il primo speaker del primo parlamento dopo la rivoluzione del 1979 che cacciò lo Shah. Di fatto il capo dell’esercito durante la guerra con l’Iraq, alla morte di Khomeini, nel 1989, divenne presidente della repubblica. Fu una stagione di riforme economiche liberali senza aperture democratiche, apprezzata più dai ceti cittadini che dalle campagne. Il suo potere e le sue ricchezze, che i nemici vogliono accumulate con la corruzione, gli valsero il soprannome di «Squalo». Poco dopo la prima vittoria di Ahmadinejad nelle presidenziali del 2005, fu eletto capo del potente Consiglio degli Esperti. Durante la seconda contestata rielezione di Ahmadinejad nel 2009, pur con la sua consueta ambiguità, prese le parti del movimento verde di Mousavi e all’inizio dei moti criticò la repressione poliziesca. Queste sue posizioni lo isolarono, un figlio e una figlia furono arrestati. Nel 2011 perse la presidenza dell’Assemblea degli Esperti. Ma quando sembrava finito, aiutato anche dalla mediocrità generale del panorama politico, ecco che ritorna sotto i riflettori. Aveva detto che sarebbe sceso in campo soltanto se avesse avuto l’approvazione della Guida Suprema, Ali Khamenei. Vedremo tra qualche giorno se la sua interpretazione sarà confermata dalla realtà. Intanto, un’altra vecchia volpe, l’inossidabile ex presidente riformista Khatami ha già detto che i riformisti trovano in lui un inatteso candidato. Rafsanjani, uno dei pochi collaboratori di Khomeini ancora sulla scena, potrebbe attirare una valanga di voti tra chi spera in qualche timida apertura e chi chiede un po’ di sollievo dal disastro economico, esacerbato dalle sanzioni internazionali che di fatto colpiscono più la gente dei potenti. Tra i suoi avversari il più temibile è forse il sindaco conservatore di Teheran Mohammed-Bagher Qalibaf che però dal punto di vista di Khamenei ha il difetto di essere un po’ troppo autonomo. Nella pletora dei candidati c’è l’attuale ministro degli Esteri Velayati e il precedente Mottaki, oltre al capo dell’agenzia nucleare Jalili. Difficile da valutare il clone politico di Ahmadinejad Esfandiar Rahim Meshaei, anche lui iscritto all’ultimo momento. Per accompagnarlo al ministero senza conflitti di interesse Ahmadinejad ha preso il primo giorno di ferie da decenni a questa parte. Il vecchio presidente non vuole andare in pensione, dicono che si prepara a restare a galla usando i dossier compromettenti accumulati in questi anni.