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 2013  maggio 12 Domenica calendario

MILANO —

«Aspettami, ci metto un minuto». Savino Carella scende dal furgone e prende il pacco di giornali che deve consegnare. Entra dal cancelletto, cammina tranquillo sotto le palazzine, la luce dell’alba è già alta, e si riflette contro le facciate di mattonelle bianche. Porticato deserto, silenzio ovattato della città che non s’è ancora svegliata. L’uomo sente un urlo a squarciagola. Corre indietro. Suo figlio Daniele, 21 anni, lo aspettava in piedi sul marciapiede, davanti al civico 21 di via Monte Rotondo. Ora è coperto di sangue, ha la testa martoriata, altre ferite sul corpo; prova a risollevarsi per un attimo, appoggiando le mani sull’asfalto, ma subito ricade a terra. Suo padre alza lo sguardo e vede quel ragazzo di colore che lo fissa. Impugna un piccone col manico spezzato. Gli urla qualcosa, che lui non capisce, poi si volta e corre via. Sono gli ultimi fotogrammi della follia omicida di Mada Kabobo, 31 anni, ghanese. Che a quel punto ha già aggredito due persone. Ha attraversato più volte su e giù il quartiere Niguarda, periferia nord di Milano. Cacciatore di uomini senza meta, spinto da un’ossessione furiosa. Ha attaccato un pensionato, 64 anni (ora in coma); ha ucciso un uomo seduto fuori da un bar, spaccandogli il cranio; si è scatenato contro Daniele, che aveva accompagnato suo padre per la consegna dei giornali (il ragazzo è ancora in condizioni gravissime). I carabinieri del Nucleo radiomobile arrestano Kabobo alle 6 e 37 di ieri mattina.
La criminologia anglosassone cataloga questi episodi come killing spree. Esplosione di violenza feroce e improvvisa; nessuna pausa tra un’aggressione e l’altra; vittime scelte a caso; irrefrenabile ossessione di uccidere. Gli psichiatri cercheranno di indagare la mente dell’assassino. Ma quando ancora il sangue delle vittime impasta l’asfalto, si può solo seguire un passo dopo l’altro i 97 minuti di violenza di Mada Kabobo. Era un fantasma sconosciuto e confuso ai margini della metropoli. Ha sconvolto l’esistenza di tre famiglie e terrorizzato un intero quartiere. Ha iniziato che la notte era ancora scura.
Alle 5 del mattino Andrea Canfora, 24 anni, scende dall’autobus in via Terruggia. Ha finito il suo turno da magazziniere in un supermercato. Si trova di fronte il ragazzo ghanese che impugna un bastone (o una spranga). Kabobo colpisce, Canfora si ripara con un braccio e scappa. Si allontana e va da solo in pronto soccorso (riporta solo una ferita). Il ghanese riprende a camminare verso sud. Percorre 400 metri, si guarda intorno. È solo nelle strade deserte. Indossa un paio di jeans, scarpe da ginnastica, una polo grigio chiaro. Arriva in via Passerini: di fronte alla scuola elementare Vittorio Locchi, incrocia Francesco Niro, 50 anni, muratore. L’uomo si rende conto del pericolo, cammina sul marciapiede, delimitato da una balaustra d’acciaio che protegge dal traffico i bambini quando escono da scuola. Kabobo non parla e picchia ancora. Un colpo alla testa. Urla, chiazze di sangue finiscono sull’asfalto. Anche Niro andrà in ospedale da solo, sotto choc, e senza allertare le forze dell’ordine (perché un’altra assurdità di questa storia è che la prima chiamata al 112 arriverà solo alle 6 e 28).
A questo punto il ragazzo ghanese si allontana di nuovo. Trecento metri appena. Intorno alle 5 e 40 Giuseppe Quatela, 50 anni, scende di casa col suo bracco ungherese. Porta il cane sotto casa, nei giardini Galeotti Bianchi. Racconta: «Ho visto all’improvviso quell’uomo vicino a una panchina, aveva in mano una sbarra, ha fatto un passo verso di me. Il cane ha iniziato a ringhiare e abbaiare in modo forsennato». Giuseppe Quatela fissa l’uomo e gli urla: «Se ti avvicini ti ammazzo». Mada Kabobo lo fissa, sbatte la spranga contro la panchina e si allontana. È un momento chiave, perché a quel punto l’aggressore riprende a muoversi, risale verso nord su via Bauer e in fondo alla strada trova un cantiere. Sposta le recinzioni traballanti ed entra, c’è una scavatrice e intorno vari attrezzi lasciati dagli operai. Quasi certamente è qui che trova il piccone. Una volta che ha in mano quell’attrezzo la sua follia da pericolosa diventa letale. Uscendo dall’altra parte del cantiere si ritrova proprio in via Monte Grivola. Ormai sono le sei, la luce è più alta. Qui incrocia l’imbianchino Antonio Moresco che riesce a rifugiarsi nell’androne del suo palazzo, al civico 18 (neanche lui avvertirà i carabinieri).
Kabobo a questo punto è invasato. Una belva che sta correndo in una missione allucinata dentro una città che si risveglia. Percorre tutta via Grivola e arriva in via Adriatico, sono soltanto 400 metri. Sempre in via Grivola, al civico 11, vive Ermanno Masini, 64 anni, pensionato, vedovo da pochi mesi. Masini esce e va a prendere la sua auto, che venerdì sera ha parcheggiato proprio in via Adriatico. E dunque, di fatto, ripete esattamente lo stesso percorso che, poco prima, ha seguito l’uomo che cercherà di ammazzarlo. Masini attraversa un giardinetto, Kabobo (secondo alcune testimonianze) è appostato tra le piante: il pensionato passa, l’aggressore gli arriva alle spalle e colpisce a freddo. Sono le 6 e 20. Masini resta a terra in una pozza di sangue (è ricoverato, in stato di coma). Kabobo non si ferma, cerca altre prede, altro sangue.
In piazza Belloveso, 500 metri di distanza, Alessandro Carolè, 40 anni, è seduto ai tavolini del bar all’angolo, aspetta che i propietari accendano la macchina del caffè. Il killer gli si scatena contro senza dire una parola. Lo colpisce quattro volte alla testa, una al torace. I medici del 118 lo trovano inginocchiato a terra con la testa fracassata appoggiata al muro. È in quel momento, 6 e 28 minuti, che arriva la prima chiamata al 112: «C’è un pazzo con un’ascia che aggredisce le persone». Tutte le «gazzelle» dei carabinieri convergono su Niguarda. Ma Kabobo impiega un minuto per scendere in via Monte Rotondo.
Daniele Carella, 21 anni, aspetta che il padre lasci un pacco di giornali nel palazzo. È fermo in strada. L’assassino gli arriva ancora alle spalle: lo colpisce alla testa, alla schiena, al fianco. Anche quando il ragazzo è a terra, e con una violenza tale che il manico di legno del piccone si spezza in due. Poi scappa ancora verso sud, le macchine dei carabinieri sono già tutte alla sua ricerca, lo individuano in via Racconigi. Kabobo è fuori di sé, davanti ai militari si agita, butta a terra il piccone. Lo arrestano alle 6 e 37. Mentre là dietro, a poca distanza, il padre di Daniele è chinato sul corpo martoriato del figlio che da quel momento non riprenderà più conoscenza.
Michele Focarete
Gianni Santucci