Francesca Schianchi, La Stampa 12/05/2013 (Salute), 12 maggio 2013
«Spero che sia la mia ultima scheda bianca», sospira Pippo Civati alla fine di una lunga giornata di Assemblea
«Spero che sia la mia ultima scheda bianca», sospira Pippo Civati alla fine di una lunga giornata di Assemblea. Sono le cinque del pomeriggio, Guglielmo Epifani è appena stato eletto segretario con 458 sì. Ma c’è anche chi dice no: lo fanno quei 76 che lasciano la scheda bianca, come Civati, e i 59 che la annullano. E se molti non hanno espresso la loro contrarietà, c’è anche chi lo dichiara prima, e lo motiva. Spesso con parole dure verso il partito e quello che è successo nelle settimane scorse. Prendi Sandra Zampa, deputata di Bologna, vicinissima a Romano Prodi di cui è anche portavoce: «Io non mi voglio pacificare con questa destra né con questo partito, se questo vuol dire fare finta che stiamo già superando quanto è accaduto», dice con voce gelida dal palco. «Il voto dei 101 franchi tiratori corrisponde a un disegno politico preciso: arrivare al governo delle larghe intese. Credo che sarebbe corretto e doveroso che dicano il perché, che spieghino le loro ragioni prima di tutto agli elettori», chiede. Non uno, dei 101 che preferirono non scrivere il nome di Prodi sulla scheda, ha mai ammesso di averlo fatto. Un mistero assoluto: tanto che gira voce ci sia qualcuno che sta cercando di stilare una lista, di individuare chi sono, ma vai a sapere, è impossibile da verificare, visto che tutto avvenne nel segreto dell’urna. «Il congresso che ci attende deve essere celebrato al più presto – insiste la Zampa – è tempo che ci chiariamo perché così siamo un danno per la democrazia italiana». Motivo per cui, aggiunge, pure lei si astiene sul voto. Ma prima di lei parla anche il ligure Andrea Ranieri, sindacalista Cgil, ex senatore dei Ds: «Io non voterò per Epifani», esordisce. Critico sul governo con Berlusconi – «mio padre era un comandante partigiano, morto un anno fa a 97 anni. Prima di chiudere gli occhi mi ha detto: La cosa che mi dispiace di più è andarmene che ancora lui comanda» – ed esigente col Pd: «Voglio un congresso in cui le alternative politiche siano esplicitamente affermate. Senza confronto aperto non c’è nessuna unità possibile». Tra i più contesi dai taccuini dei cronisti è Civati, il più in vista dei dissidenti. «Più che un appello all’unità, quello di oggi mi sembra un appello all’unanimità», interviene dal palco. Aveva pensato pure a una candidatura alternativa, «molti stamattina hanno chiesto anche a me di candidarmi», assicura, «ma non aveva senso: ci scontreremo al congresso», che lui immagina di fare il 29 settembre («giorno in cui fanno gli anni due persone, una a cui vogliamo bene, un’altra meno», allude a Bersani e Berlusconi) perché il motto, propone, dev’essere «tanto meglio tanto prima». Già, il congresso. E’ lì che i dissidenti promettono di dare battaglia. Sarà da fare «con candidature e tesi politiche vere e contrapposte, perché dell’unanimismo falso e ipocrita non ne possiamo veramente più», chiede anche il deputato prodiano Sandro Gozi. Il Pd «si è suicidato il 19 aprile», con l’affossamento di Prodi: «Io ho molta fiducia nelle capacità di Letta ma non c’è più fiducia tra noi, dobbiamo ricostruirla». E poiché Epifani «credo non rappresenti la discontinuità di cui c’è bisogno», anche lui lascia la scheda bianca. Lo scontro, quello vero, è rinviato in autunno.