varie, 11 maggio 2013
BLOB RCS
Alessandro Penati, la Repubblica 11/5/2013
RCS è il caso esemplare dei problemi che le strutture proprietarie bizantine e i conflitti di interesse delle banche creano alle aziende quando devono ristrutturare per sopravvivere alla crisi. Una gestione industriale poco attenta ai costi, il declino del settore provocato da Internet, e acquisti dissennati finanziati col debito, hanno portato Rcs al dissesto. Dal 2002, quando è nata dalle ceneri di HdP (altro disastro), Rcs ha perso un quarto del fatturato, e accumulato 1 miliardo di debiti per comprare attività che nel 2012 hanno prodotto una perdita complessiva di 510 milioni (dopo 322 nel 2011).
Il piano triennale per il rilancio è semplice: crescita zero del fatturato, con i ricavi digitali che compensano il declino di quelli tradizionali; e taglio dei costi per riportare il margine operativo a un livello accettabile. Venduto il facilmente vendibile (Dada e Flammarion), in futuro sono
previste generiche dismissioni per 250 milioni, in gran parte destinati al rimborso del debito, come richiesto dall’accordo con le banche. Fine del piano.
Non si parla di cessione delle disastrate attività spagnole; né si ipotizza la strada delle fusioni, tipica dei settori con eccesso di capacità produttiva. O meglio, non se ne parla esplicitamente perché qui si tocca il primo conflitto di interessi: Fiat ha il 100% de
La Stampa
e sarebbe naturale se tentasse di usare la partecipazione al controllo di Rcs per studiare una possibile concentrazione dei propri investimenti nei media.
Conflitti e problemi maggiori nascono però dalla ristrutturazione finanziaria. La situazione è di chiaro dissesto. Il debito attuale (circa 850 milioni) è insostenibile anche a piano di rilancio industriale realizzato: equivale a 5,5 volte il margine operativo previsto per il 2015, un livello che nessun finanziatore accetterebbe mai. In una ristrutturazione tradizionale, i creditori negozierebbero la conversione (volontaria o concorsuale) del debito in azioni, acquisendo il controllo della società, per poi vendere le attività poco redditizie, tagliare i costi e cederla rapidamente al miglior offerente. Credo sia questo che avesse in mente Della Valle.
Ma in Rcs non s’ha da fare: le banche dovrebbero contabilizzare
sofferenze; i soci del patto, responsabili del dissesto, perderebbero il premio di controllo; e la Fiat una possibile soluzione futura per
La Stampa.
In Italia, però, le banche, grazie ai conflitti di interesse, possono trovare la quadratura del cerchio. Intesa e Mediobanca, sono grandi creditori di Rcs, ma anche azionisti del patto: una duplice veste che le ha messe al posto di guida della ristrutturazione del debito. Così hanno imposto ai vecchi soci un aumento di capitale (400 milioni) che per metà serve a ridurre l’esposizione verso le banche (più il rimborso di altri 200 milioni fra tre anni garantito dalla cessione di attività), che pertanto non devono contabilizzare alcuna sofferenza. Per i soci del patto è l’obolo da pagare per preservare il valore del premio di controllo; e per la Fiat il modo di mantenere aperta l’opzione per i suoi media.
Ma il titolo Rcs non ha flottante e difficilmente il mercato può
assorbire i 182 milioni non sottoscritti dal patto: necessario un consorzio di garanzia, inevitabilmente guidato da Intesa e Mediobanca (e remunerato profumatamente); in questo modo concedendo loro, di fatto, il potere di decidere il prezzo delle nuove azioni. Avranno tutto l’interesse a emetterle a forte sconto, per diluire chi è fuori dal patto, aumentando così il valore delle quote sindacate (comprese le loro). Inoltre, nel caso probabile che il consorzio dovesse farsi carico delle azioni non collocate sul mercato, possono anche puntare a sfilare il controllo, per poi rivenderlo a chi offre di più o a chi fa loro comodo. Per esempio, ipotizzando un collocamento a sconto del 25% sul prezzo teorico post aumento, e l’intervento di Intesa e Mediobanca per la loro intera quota nel consorzio, le due banche insieme supererebbero il 30%. Con Fiat arriverebbero quasi alla maggioranza, con gran parte del premio di controllo da incassare, avendo dimezzato la loro esposizione debitoria, e senza contabilizzare un euro di sofferenze.
Meglio che Della Valle, Rotelli, Benetton non si lamentino di aver bruciato milioni per uno strapuntino al tavolo del potere: non si grida allo scandalo, uscendo da un cinema a luci rosse; basta non entrarci.
Fonte: Luca Piana e Gloria Riva, l’Espresso 10/5/2013
Testo Frammento
IO FALLISCO, TU PAGHI –
Il "Corriere della Sera" amministrato da un commissario? Il quotidiano e la casa editrice con i soci più potenti d’Italia - Mediobanca e Intesa Sanpaolo, Fiat e Pirelli, Giuseppe Rotelli e i Benetton - nelle mani del tribunale fallimentare? La proposta è arrivata da uno che d’industria se ne intende: Diego Della Valle, proprietario della Tod’s. Ha visto il bilancio in profondo rosso del gruppo editoriale e i forti debiti con le banche. E ha tentato, senza successo, di indurre gli altri azionisti a trangugiare una medicina che va di moda: il concordato preventivo.
Tutto nasce da una delle eredità del governo Monti, meno conosciuta dell’Imu ma con effetti che stanno mettendo in difficoltà tante imprese, soprattutto piccole. L’idea, contenuta in un provvedimento dell’estate 2012, era proteggere le aziende che non riescono più a far fronte ai debiti. Sono state così rifatte le regole del concordato preventivo, uno strumento della legge fallimentare nato per quelle realtà produttive che, se superano la crisi, sembrano avere le qualità per potersi riprendere.
Così, per bloccare le istanze di fallimento, è diventato sufficiente che il proprietario scriva una richiesta di due righe al tribunale. Ottiene un periodo di garanzia più o meno lungo, terminato il quale deve sottoporre al giudice un accordo con i creditori e un piano di salvataggio. Evitare che un fallimento dettato da ragioni contingenti faccia sparire per sempre un’impresa, è un obiettivo del tutto ragionevole, al punto che diversi altri paesi hanno delle norme ad hoc. In Italia però, a causa delle molte insensatezze dell’ordinamento fallimentare, la novità ha finito per amplificare problemi annosi. Permettendo ai più furbi tra i "quasi falliti" di ripresentarsi sul mercato a stretto giro di posta. E lasciando a secco molti piccoli fornitori, costretti a inseguire per anni un risarcimento spesso inferiore al 10 per cento di quanto era loro dovuto.
In effetti, non c’è voluto molto perché sui tribunali si rovesciasse una valanga di richieste di concordati del nuovo tipo, subito ribattezzato "in bianco". Nei primi tre mesi del 2013 quelle accolte sono salite in tutta Italia a 449, rispetto alle 262 dello stesso periodo dell’anno prima (vedi tabella). Solo a Milano, dove c’è il tribunale fallimentare più grande d’Italia, si è abbondantemente superato il ritmo di una domanda al giorno: ai primi di maggio il sito Web dell’amministrazione giudiziaria ne contava 147. Un dato che a fine anno porterà a raddoppiare le 218 cumulate nell’intero 2012.
Alla Rcs, la casa editrice del "Corriere", la proposta di Della Valle è stata respinta da una parte dei grandi soci, che ora cercano di convincere gli altri a tirar fuori di tasca propria i 400 milioni necessari per ridurre l’indebitamento. Ma tra chi ha fatto ricorso al concordato non mancano nomi storici della finanza, dall’Acqua Marcia di Francesco Bellavista Caltagirone alla finanziaria Sopaf della famiglia Magnoni. E c’è un bel pezzo del comparto aereo. Hanno fatto richiesta i charter Blue Panorama e la low cost WindJet, mentre in prospettiva molti pensano che toccherà alla Meridiana. Un’eventualità quest’ultima che potrebbe irritare non poco i creditori. Il nome dell’ex numero uno Giuseppe Gentile, il primo a proporre di mandarli "in bianco", ma anche l’artefice di una gestione disastrosa, è spuntato di recente fra gli italiani titolari di una società offshore a Samoa. E l’uomo che ha estromesso Gentile, promettendo di ricapitalizzare la compagnia, è niente di meno che Karim Aga Khan, il principe che ha costruito la Costa Smeralda. Uno che, a occhio, non dovrebbe avere problemi di liquidità.
Al di là dei big, bastano alcuni dei tanti marchi coinvolti per farsi un’idea della diffusione del fenomeno. Le cucine pesaresi Berloni stanno trasferendo l’attività a una nuova società partecipata dalla famiglia del fondatore, e lasciando i debiti nella vecchia. I creditori dei polli Arena hanno ottenuto dai giudici di Campobasso un rimborso del 20 per cento delle somme vantate. I 138 dipendenti dell’acqua Sangemini di Terni si sono visti annunciare una brutta sorpresa: poiché la procedura non prevede la nomina di un curatore, pare non sia possibile chiedere gli ammortizzatori sociali. Come non sanno cosa accadrà loro i mille addetti della Mondo di Alba, una griffe dei materiali sportivi, che ha realizzato i seggiolini dello Juventus Stadium e le piste di Pechino e Londra dove Usain Bolt ha vinto i suoi sei ori olimpici. C’è chi può dirsi fortunato: le ceramiche Richard Ginori sono passate alla Gucci, i megastore Fnac - libri, musica, elettronica - alla Trony. E chi invece ha un conto aperto con la iella: i lavoratori della Vinyls di Ravenna, già commissariata, acquistata due anni fa dalla Coem, che ha chiesto a sua volta il concordato.
Oltre alle aziende che chiudono, il boom sta mettendo nei guai anche quelle che figurano tra i loro fornitori. Giuliano Secco, un piccolo imprenditore veneto nel settore della moda, racconta di essere incappato in ben otto concordati. Il più clamoroso è quello del maglificio trevigiano Magreb: «Con la crisi ha iniziato a pagare le forniture a singhiozzo. Quando il debito era arrivato a 100 mila euro, ci ha proposto una cambiale da presentare in banca, dicendo che l’avrebbe saldata entro un anno. A pochi giorni dalla scadenza, però, ha aperto il concordato e le banche hanno chiesto a noi di coprire il debito delle cambiali scoperte». Secco è riuscito a rientrare fra i creditori privilegiati, e dei suoi soldi spera di rivederne la metà. «Ma altri artigiani non ce l’hanno fatta e riavranno solo il 10 per cento di quanto spetterebbe loro», spiega. Alberta Marniga, proprietaria di una piccola impresa che produce nastri di metallo, la Euroacciai di Brescia, quando sente parlare di concordato si mette subito sul chi vive: ben 20 tra i suoi clienti ci sono finiti, causandole un buco da 2,5 milioni. «Il disastro del concordato in bianco è l’ennesimo delle varie riforme che si sono susseguite. Chi lo fa cancella i debiti, che ricadono sui fornitori. E ne esce pulito», dice. Anche stanare i furbi è difficile: «Ho aperto un procedimento penale contro un cliente che aveva avviato il concordato e intestato la ditta ai genitori. Ma ho perso».
Il perché di questi guai Roberto Fontana, giudice al Tribunale fallimentare di Milano, lo spiega con una serie di lacune normative che permettono a chi è già fallito di tirare avanti per anni, falsificando i bilanci, gonfiando il buco e assottigliando i beni che potrebbero risarcire i fornitori. Grazie ai vari passaggi previsti, invece, quando fa richiesta di concordato il proprietario può continuare a gestire l’azienda per un ulteriore anno. E magari stringere un accordo con le banche, che a differenza dei fornitori possono rivalersi sugli yacht e le case a Cortina. «Se fossero introdotti anche da noi gli strumenti di allarme esistenti in Francia e Germania, tutti si accorgerebbero subito che un’azienda è in difficoltà. E il rischio di fallimento emergerebbe quando i danni possono essere limitati», spiega. Risultato: nel gorgo del crac spariscono, tra l’altro, anche i contributi destinati a Fisco e Inps, che per i soli fallimenti in atto a Milano superano i 5 miliardi. Altro che Imu.
1 - RCS: RELAZIONE CDA, QUOTA AUMENTO PER ESTINGUERE DEBITI 10/5/2013
(ANSA) - Nell’aumento di capitale Rcs "i mezzi finanziari raccolti saranno indirizzati al perseguimento degli obiettivi del piano per lo sviluppo. Con tale finalità parte di essi saranno destinati, unitamente al nuovo finanziamento di euro 575 milioni, ad estinguere i debiti in scadenza nei confronti delle banche". E’ quanto si legge nella relazione illustrativa sull’assemblea del Cda Rcs. E’ la prima volta che tra i documenti sull’aumento si trova scritto che in parte andrà anche a rimborsare le banche.
2 - RCS: GRECO, SU AUMENTO VEDREMO COSA FARE IN ASSEMBLEA
(ANSA) - Generali deciderà come votare sull’aumento di capitale Rcs all’assemblea del 30 maggio. Lo ha detto il capoazienda Mario Greco nel corso di una conference call. "Vedremo quando saremo in assemblea cosa riterremo utile e conveniente fare", ha detto.
3 - RCS: GRECO, NON SO DI UN PATTO PRIMA DI ASSEMBLEA 30 MAGGIO
(ANSA) - ’’Non sono a conoscenza ne’ di un patto di sindacato di Rcs prima del 30 maggio ne’ di contatti tra i soci’’, ma questo ’’non significa che non ce ne siano’’. Lo ha detto il group ceo delle Generali Mario Greco, interpellato su possibili contatti tra gli azionisti Rcs per compattare le diverse posizioni in vista dell’assemblea che a fine mese dovra’ decidere dell’aumento di capitale del gruppo editoriale.
Il fatto di non essere a conoscenza di contatti tra i soci Rcs, ha chiarito Greco, ’’non vuol dire che non ci siano, ma non ci sono con noi’’. La nostra posizione e’ stata subito abbastanza chiara’’, ha aggiunto il numero uno delle Generali, che gia’ ha dichiarato di non voler sottoscrivere l’aumento di capitale. ’’Il settore media e’ totalmente diverso dal nostro business - ha detto -. Visto il lavoro che facciamo non possiamo rimanere azionisti strategici in settori cosi’ diversi dal nostro, quando cerchiamo di recuperare solidita’ nella nostra posizione di capitale e concentrarci sul nostro business. Questa posizione e’ stata compresa da tutti e questo e’ dove siamo’’.
4 - RCS, PROVASOLI SI TAGLIA LO STIPENDIO DEL 30%
Andrea Montanari per "Milano Finanza" 10/5/2013
Altro che taglio del 10% della remunerazione. Ieri pomeriggio, con un annuncio a sorpresa, il presidente di Rcs Mediagroup, Angelo Provasoli, ha fatto sapere di essere pronto a ridursi del 30% lo stipendio, che nel 2012 per i sei mesi di lavoro (il nuovo cda è entrato in carica a luglio) era stato di 333 mila euro lordi e che su base annua invece ammonta a 500 mila euro.
La comunicazione, secondo quanto appreso da milanofinanza.it, è stata data ai sindacati dei giornalisti, che hanno accolto positivamente la decisione del presidente. E come emerge dalla nota ufficiale diramata ieri sera dal comitato di redazione del Corriere della Sera, «i rappresentanti dell’azienda hanno aggiunto che è intenzione di Provasoli e dell’ad Pietro Scott Jovane (sul cui stipendio 2012, 1,066 milioni, 300 mila euro dei quali a titolo di bonus d’ingresso, si era scatenata una dura polemica dei dipendenti e dei giornalisti, ndr) proporre una misura analoga agli altri membri del consiglio di amministrazione».
Inoltre, fanno sapere da Via Solferino, «sarà presa in considerazione dall’azienda la proposta del cdr di destinare l’equivalente dei bonus incassati dall’ad al momento del suo arrivo in Rcs al salvataggio di alcuni colleghi, operai e impiegati della Periodici, che rischiano di perdere il posto di lavoro». E proprio ieri le parti in causa sono tornate a confrontarsi sul tema dei tagli e dei risparmi previsti per il giornale.
I sindacati hanno chiesto un incontro al direttore generale Alessandro Bompieri per conoscere i dettagli dei piani di sviluppo illustrati dall’azienda alla convention 2015: Imbarco immediato che tra l’altro prevedono la creazione dell’area Giornali (comprenderà CorSera, Gazzetta dello Sport, i periodici non venduti o chiusi e la società Rcd, che produce filmati per il web). L’incontro, fa sapere il cdr, «è stato fissato per lunedì 13 maggio».
Sempre ieri, poi, c’è stata una lunga e concitata assemblea generale dei giornalisti delle testate, seguita da un incontro tra i manager di Rcs e i rappresentanti sindacali delle varie redazioni. Al termine del confronto è emerso che la società intende chiudere, dal 30 giugno, le nove testate (A, Bravacasa, Yacht&Sails, Max, l’Europeo, Astra, Novella 2000, Visto, Ok Salute) che erano state messe sul mercato, facendo ricorso alla cassa integrazione a zero ore per i 90 giornalisti attualmente impegnati nelle redazioni, salvo che non si riescano a vendere singolarmente settimanali o mensili.
Contestualmente è stato deciso di valutare l’opportunità di estendere lo stato di crisi attualmente in corso per quattro anni. Il cdr, contrario a questa modalità di cigs, si è detto disposto a proseguire le trattative partendo da una seria analisi dello stato di salute delle singole testate.
Fonte: Antonio Spampinato, Libero 8/5/2013
Testo Frammento
RCS RISCHIA IL «CHAPTER 11» ALL’ITALIANA –
Se il patto di sindacato di Rcs non cede alle pressioni del fronte anti-aumento di capitale, il gruppo editoriale rischia di non avere i voti sufficienti per varare il piano. E senza fondi per la blasonata società che edita il «Corriere» si prospetta un’alternativa infausta: il ricorso all’articolo 67 della legge fallimentare.
Come spiega il quotidiano finanziario «MF», che raccoglie in un articolo le voci, sempre più insistenti, che si rincorrono sui mercati, il rischio per Rcs di dover trovare un accordo stragiudiziale con i creditori senza l’obbligo di dichiarare fallimento è alto. Ed è legato alle modifiche sostanziali alle condizioni per l’aumento di capitale che il “fronte del no” chiede per poter prendere in considerazione l’eventualità di immettere nella società in crisi fondi freschi.
I principali azionisti che si sono messi di traverso all’aumento si trovano fuori dal patto ma anche all’interno ci sono divisioni e ne chiedono un sostanziale tagliando se non un totale rimpasto. Come l’imprenditore marchigiano Diego Della Valle, titolare dell’8,695% del capitale Rcs, la famiglia Benetton (meno del 5%) e Merloni (2%). Un fronte che potrebbe più che raddoppiare se la famiglia Rotelli, con in mano il 16,55% della torta, dovesse decidere di sposare la linea dura.
L’emergenza per Rcs è quella di coprire un primo aumento di capitale di 400 milioni più la sottoscrizione di altri 100 in azioni di categoria B. I soci aderenti al patto di sindacato, che coprono il 58% del capitale, hanno dato la loro disponibilità solo per il 44% dell’importo. Il sì all’adesione è arrivato da Fiat e Intesa, pronte a fare più del dovuto rispettivamente per un ulteriore 2,8 e 2,5%. Ma ancora nulla si sa, sottolinea «MF», delle intenzioni della famiglia Pesenti (7,747%), dei Lucchini (2,04%) e di Bertazzoni (1,23%). Lo stesso vale per Mediobanca (14,2%).
Intanto mancano poco più di tre settimane all’assemblea straordinaria e il compito per l’ad del gruppo editoriale, Pietro Scott Jovane, con davanti una ristrutturazione che prevede il taglio di 800 giornalisti e la vendita o la chiusura di 10 testate, si fa sempre più arduo.
Paradossale sarebbe la situazione per gli istituti di credito che da un lato hanno dato il via libera alla ristrutturazione del debito a breve e concesso nuove linee di credito per 575 milioni e dall’altro potrebbero trovarsi costrette, nel caso del ricorso al Tribunale, a trovare un nuovo accordo stragiudiziale con l’azienda.
Fonte: Notiziario di Franco Abruzzo 8/5/2013
Testo Frammento
Rcs: in alto mare l’aumento di capitale. Finora, scrive MF, ha dato adesione solo il 44% (Fiat e Intesa si sono dette pronte a sottoscrivere in più rispettivamente il 2,8% e il 2,5%) e un socio di peso, come la famiglia Pesenti (7,747%), non si è ancora ufficialmente espresso, così come nulla si sa delle intenzioni dei Lucchini (2,04%) e di Bertazzoni (1,23%). L’azienda di via Rizzoli potrebbe ricorrere all’accordo stragiudiziale con i creditori (in particolare le banche)
Milano, 7 maggio 2013. L’aumento di capitale da 400 mln euro di Rcs diventa, giorno dopo giorno, un obiettivo sempre più difficile da centrare perche’ in seno al patto che oggi controlla il 58% (oltre a un 2% non sindacato) non c’e’ una visione unitaria. Finora, scrive MF, ha dato adesione solo il 44% (Fiat e Intesa si sono dette pronte a sottoscrivere in piu’ rispettivamente il 2,8% e il 2,5%) e un socio di peso, come la famiglia Pesenti (7,747%) non si e’ ancora ufficialmente espresso, cosi’ come nulla si sa delle intenzioni dei Lucchini (2,04%) e di Bertazzoni (1,23%). Percio’ mentre il tempo stringe e l’importo della prima tranche di ricapitalizzazione pare realisticamente basso rispetto alle perdite (e’ stato abbattuto il capitale e sono state raggruppate le azioni nelle misure di tre nuove per 20 vecchie), ecco che sul mercato si fa largo l’ipotesi di un ricorso al Tribunale. Niente fallimento, quindi, per un gruppo storico e strategico per l’economia come la Rcs che controlla il primo quotidiano del Paese, il Corriere della Sera. Ma cio’ che si ipotizza con sempre maggior nettezza e’ che, siccome pare difficile ottenere il quorum per il via libera alla ricapitalizzazione, l’azienda di via Rizzoli potrebbe ricorrere all’articolo 67 della legge fallimentare, ovvero l’accordo stragiudiziale con i creditori, in particolare le banche. Quegli stessi istituti di credito che al momento hanno dato l’ok alla ristrutturazione del debito a breve e concesso nuove linee di credito per 575 milioni, in cambio di garanzie sul rimborso e certezze granitiche sulla solidita’ del business plan predisposto da Jovane, che prevede 800 tagli complessivi su 5 mila dipendenti.
Per scongiurare il ricorso al Tribunale, l’unica alternativa a questo punto e’ l’apertura al dialogo con il fronte del no-aumento, ovvero Diego Della Valle (8,695%), Benetton (5,1%) e Merloni (2%). Una fronda alla quale potrebbe poi aggiungersi la famiglia Rotelli (16,55%). Azionisti che chiedono modifiche sostanziali alle condizioni attuali dell’aumento (sconto vicino all’80% e operazione a 0,15-0,2 euro per azione) ma che non sono contrari in assoluto alla soluzione del rafforzamento patrimoniale. L’eventuale apertura a questi soggetti implicherebbe pero’ un cambio di peso nell’assetto azionario con il patto attuale che andrebbe a scomparire. (MF-DJ)–
RCS: ALLE BANCHE GARANTI L’AUMENTO LA SOCITA’ DOVRA’ PAGARE TRA 7,7 E 12 MLN DI COMMISSIONI
Milano, 7 maggio 2013. Rcs dovrà pagare tra 7,75 e 12 milioni alle sette banche che garantiranno parte dell’aumento di capitale da 400 milioni, su cui sono impegnati anche soci del patto per 200 milioni. Le commissioni variano tra un minimo di 5,17% e un massimo del 6% degli importi minimi (100 milioni) e massimi (200 milioni) oggetto di impegno. E’ quanto emerge da un documento della società, dove si legge che gli esperti indipendenti incaricati dal comitato Parti correlate, hanno ritenuto “congrue” le commissioni.(ANSA).
Fonte: Sergio Bocconi, Corriere della Sera 07/05/2013
Testo Frammento
LA RIORGANIZZAZIONE DI RCS MEDIAGROUP: QUOTIDIANI E PERIODICI, UNITE LE ATTIVITA’ — Dirigenti, quadri e direttori di Rcs Mediagroup ieri in convention sul piano destinato a trasformare il gruppo che pubblica il Corriere della Sera in una multimedia company. Il presidente Angelo Provasoli e l’amministratore delegato Pietro Scott Jovane hanno guidato una sessione di lavoro durata oltre sei ore. Nel corso della quale è stata annunciata fra l’altro l’unione delle attività editoriali dei quotidiani e dei periodici, considerata la naturale integrazione tecnologica, in un’unità Media guidata da Alessandro Bompieri, oggi direttore generale della Quotidiani. L’attuale numero uno dei Periodici, Matteo Novello, prenderà invece la guida della nuova unità Sfera, in cui si accorperanno le attività nella prima infanzia, presenti anche a livello internazionale.
Di fronte al teatro Elfo Puccini circa un centinaio di giornalisti dei periodici ha accolto l’ingresso dei vertici del gruppo con applausi ironici e grida di protesta: era stato appena comunicato alle rappresentanze sindacali che se per le 10 testate in vendita non si troveranno compratori, è prevista la chiusura entro il 30 giugno. Una manifestazione che, secondo quanto hanno riferito i partecipanti alla convention, Jovane ha definito all’interno dei lavori «corretta e opportuna».
Provasoli si è detto «ottimista» e fiducioso sul fatto che le differenziazioni emerse fra gli azionisti del patto sull’aumento di capitale «potranno tempestivamente ricomporsi», e comunque, ha aggiunto, i soci partecipanti all’accordo parasociale hanno già garantito impegni per il 50% dell’operazione. Ha quindi ricordato l’accordo con le banche sul rifinanziamento del debito e ha detto che secondo «l’auspicio comune il quadro si completerà entro il mese», in vista dell’assemblea del 30 maggio. Ieri intanto si è saputo che Benetton, socio fuori patto che ha annunciato il voto contrario alla ricapitalizzazione, ha limato nei giorni scorsi la quota dal 5,1% al 4,8%.
Jovane ha sottolineato «l’urgenza del cambiamento» per fare di Rcs «un’azienda di riferimento nella trasformazione digitale nell’editoria». Un processo indicato nel piano triennale e che, ha detto, comprende cinque mosse per diventare «più indipendenti e rilevanti». Fra le quali occorre «mettere il lettore al centro» investendo per conoscerne il profilo e personalizzare contenuti e prodotti. «Bisogna sempre pensare se si è sufficientemente multimediali, se si è fatto community». Occorre essere «agili e decisi, adatti al cambiamento», che comprenderà anche processi aziendali, fra cui l’integrazione delle redazioni, «che si riflettono sulla produzione di contenuti puntando sul digital first». Già oggi sul brand, comprendendo Italia e Spagna, ci sono 46 milioni di lettori, dei quali 30 milioni sono utenti digitali attraverso dispositivi fissi e mobili.
Al termine della convention, nel corso della quale sono stati illustrati diversi progetti che partiranno a breve in Italia e all’estero tutti con un comune focus multimediale, l’amministratore delegato ha detto che il piano «aveva bisogno anche tangibile di mostrarsi». «È una trasformazione epocale che ha i cardini in «qualità, autorevolezza e indipendenza».
Sergio Bocconi
1 - RCS: CDR PERIODICI DIFFIDA AZIENDA, NO A SINGOLE CESSIONI 7/5
(ANSA) - Il comitato di redazione dei periodici di Rcs MediaGroup "diffida l’azienda dall’avviare o proseguire trattative per la cessione di ’singole testate o gruppi di tesate’ ". E’ quanto afferma in una nota il Cdr della Periodici registrando però "con soddisfazione" l’intenzione dell’azienda di archiviare "la scellerata decisione di procedere alla cessione in blocco di dieci testate".
Una chiusura dei periodici "costituirebbe una gravissima e concreta violazione dello spirito e della lettera degli accordi sottoscritti in sede aziendale, nazionale e ministeriale relativi allo stato di crisi ancora in corso", afferma il Cdr. Una sospensione poi della pubblicazione di nove testate con un’ipotesi di ricorso alla cigs a zero ore dei giornalisti che vi lavorano sarebbe "inaccettabile, irricevibile e immorale, anche alla luce dell’entità degli emolumenti incassati dall’amministratore delegato e dal consiglio di amministrazione", affermano i rappresentanti dei giornalisti aprendo però con alcune condizioni al tavolo di confronto proposto dall’azienda.
2 - RCS:GIOVEDI’ PARTE TRATTATIVA CON CDR SU PERIODICI A RISCHIO
(ANSA) - Prenderà il via giovedì 9 maggio la trattativa tra i vertici di Rcs e i rappresentanti dei giornalisti sui dieci periodici che l’azienda ha dichiarato di voler chiudere. E’ quanto si apprende da fonti del comitato di redazione. La società aveva dichiarato di voler vendere dieci testate che impiegano 110 persone, di cui 90 giornalisti, oltre a una cinquantina di precari. Archiviata l’ipotesi di cessione in blocco, Rcs ha annunciato ieri ai dipendenti che salvo acquirenti potrebbe chiuderne nove testate a fine giugno.
3 - RCS: A BANCHE GARANTI AUMENTO TRA 7,7 E 12 MLN COMMISSIONI
(ANSA) - Rcs dovrà pagare tra 7,75 e 12 milioni alle sette banche che garantiranno parte dell’aumento di capitale da 400 milioni, su cui sono impegnati anche soci del patto per 200 milioni. Le commissioni variano tra un minimo di 5,17% e un massimo del 6% degli importi minimi (100 milioni) e massimi (200 milioni) oggetto di impegno. E’ quanto emerge da un documento della società, dove si legge che gli esperti indipendenti incaricati dal comitato Parti correlate, hanno ritenuto "congrue" le commissioni.
4 - RCS:SIMULAZIONE SU AUMENTO,PIU’SALE SCONTO PEGGIO E’ DIRE NO
(ANSA) - Una simulazione di esperti indipendenti per il comitato Parti correlate di Rcs, al lavoro sui potenziali effetti diluitivi del previsto aumento di capitale, mostra come al crescere dello sconto peggiora più che proporzionalmente - "é non lineare", si legge nel rapporto - la diluizione per quanti non partecipano. Sembra un tema astratto, e non manca chi assicura come sia sempre così negli aumenti di capitale. Ma nei delicati equilibri del gruppo potrebbe tradursi in una battaglia al momento di fissare il prezzo dell’operazione.
L’esempio migliore emerge guardando alla simulazione in questione, redatta dai professori Mario Cattaneo e Giovanni Petrella, e consultabile tra i documenti resi pubblici da Rcs. Prendendo uno sconto del 40 e del 50% nell’emissione, chi non sottoscrive del tutto si vede diluito del 67,6% o dell’81,1%, ma se sottoscrive al 20% l’aumento al salire dello sconto non peggiora altrettanto la sua ’penalizzazione’ e la diluizione è del 54,1% o del 64,9% (al salire di 10 punti di sconto la diluizione non sale più di 13,5 punti ma di 10,8 punti).
Tradotto sulla quota di Diego Della Valle, contrario all’operazione: il suo pacchetto è oggi dell’8,695% e con uno sconto del 40% se non sottoscrive nulla diventa del 2,8%, mentre con uno sconto del 50% scende all’1,64%. Se invece l’imprenditore sottoscrive anche solo il 20% dell’aumento (34,78 milioni la quota parte di Della Valle in un aumento da 400 milioni ipotetici, sottoscriverne il 20% comporterebbe un investimento di 6,9 milioni) avrebbe in mano il 3,99% post diluizione nel caso di uno sconto del 40% e del 3,05% nel caso di uno sconto del 50%. I consulenti del comitato Parti correlate non entrano ovviamente nel merito del pacchetto Della Valle.
"Un aumento - affermano però - di 10 punti percentuali di sconto sul terp (prezzo teorico di un’azione dopo lo stacco del diritto di opzione relativo a un aumento di capitale, ndr) ’penalizza’ maggiormente l’azionista che non partecipa affatto all’aumento di capitale rispetto a un altro azionista che non sottoscrive almeno in parte l’aumento di capitale. L’effetto diluitivo dello sconto sul terp si riduce, quindi, all’aumentare della partecipazione dell’azionista all’aumento di capitale".
"Lo sconto sul terp", ricordano anche i due esperti, è una "variabile decisionale controllabile solo in misura limitata" da Rcs, perché "influenza la probabilità di successo dell’operazione e la sua entità risente delle condizioni congiunturali del mercato finanziario, delle caratteristiche dell’operazione, della situazione aziendale nonché del livello di efficienza del prezzo delle azioni Rcs nel mercato secondario".
5 - RCS, "IMBARCO IMMEDIATO". SUL TITANIC? 7/5
DAGOREPORT
Le immagini di Flebuccio de Bortoli e dei manager dell’Rcs (rilanciate da Dagospia) tra i fischi e le urla di protesta dei colleghi costretti a calpestare (una sorta di black carpet) le copie dei settimanali stampate dal gruppo prima d’"imbarcarsi" alla convention organizzata dall’amministratore Pietro Scott Jovane, ben raccontano di cento articoli lo sfascio di una azienda in cui le colpe del naufragio economico-editoriale ancora una volta vengono riversate sui lavoratori (giornalisti e poligrafici) e gli autori del disastro (gli amministratori) premiati invece con bonus milionari.
E poiché solo la "stupidità non ha limiti" (Shopenhauer) gli astuti promotori del meeting al teatro milanese Elfo-Puccini hanno pensato bene di appendere alla porta d’ingresso il cartello-promozionale dell’evento dal titolo beffardo e stonato: "Rcs 2015 - Imbarco immediato".
Con l’aria pesante che tira in via Solferino e con gli azionisti-armatori che scappano come topi impazziti dalla "corazzata Corriere", forse non era davvero l’occasione giusta per chiedere ai viaggiatori smarriti (direttori di testate, dirigenti e quadri intermedi), d’imbarcasi non per una crociera di piacere, ma sul "Titanic" destinato ad affondare. Sempre che non saranno raccolti gli ultimi drammatici (e interessati) Sos lanciati agli altri pattisti (riluttanti) dalle banche azioniste.
Arriverà pure il tempo per riflettere sulle colpe (tante e imperdonabili accumulate nelle stagioni allegre) anche dei redattori dei periodici (110 giornalisti) che a fine giugno saranno sbattuti fuori dal torracchione di Crescenzago a causa della chiusura di dieci settimanali (A, Visto, Salute, Europeo, Novella 2000, OkSalute, Brava, Astra), rimaste senza alcun compratore credibile. E una ragione ci sarà se le gloriose testate dell’ex Rizzoli non fanno gola ad alcun editore.
Così, nell’attesa della resurrezione (un miracolo, magari), il nuovo management dell’Rcs guidato da Pietro Scott Jovane, al teatro Elfo-Puccini seppellisce il vecchio modello editoriale del gruppo per dare vita a qualcosa che, al momento, appare una chimera indefinibile dal soli nome esotico ammicante: "Media publishing" in cui confluiranno sia i quotidiani sia il resto dei periodici. Comparto in via di smantellamento in cui a brillare - sembra una barzelletta amara -, è soltanto il settimanale enigmistico "Domenica Quiz", che non abbisogna di direttori o giornalisti.
Dunque, il futuro del "Corriere della Sera", che ancora contiene le sue perdite (un milione sui 79 già accumulati dal gruppo nel primo semestre 2013) è nella sua "integrazione tecnologica" con i periodici e con gli altri new media (web). Una strada, almeno sotto il profilo del ritorno economico, che al momento appare impervia e tutta in salita.
Al di là di puntare o meno sul "digitale", di presentarsi alla riunione di direzione con l’IPad in mano al posto della mazzetta dei giornali che fa tendenza Jovane, in Italia sono appena 200 mila i lettori che acquistano via computer comprano l’edizione digitale di un quotidiano senza passare per l’edicola. E di questa misera fetta il Corrierone può vantare appena 50 mila copie. Una disgraziata realtà (digitale).
La crisi dell’editoria, che viene da molto lontano, resta seria. Ma in tutto il mondo non è stato risolto e riformulato ancora un nuovo "modello di business" che concili il prodotto di carta con i new media. E dia soprattutto utili sicuri. Ma dentro questo stato editoriale precario, il "Corriere della Sera" fa storia a sé.
Nonostante il calo di copie, anche per effetto della "ripulitura" delle copie taroccate dagli editori, il quotidiano milanese non macina perdite rilevanti. Anzi, è l’unica mucca che dà ancora latte a tutto il resto del gruppo.
E se oggi è messa a dieta o, peggio, messa a pascolare nei prati inesplorati e indefiniti di una "multimedia company", il direttore Flebuccio de Bortoli - se occorre mettendo sul piatto anche le sue dimissioni -, e la redazione debbono dire apertamente se sono d’accordo a meno sul piano di riorganizzazione del primo gruppo del Paese in cui la sola cosa che spicca davvero - caso unico al mondo - è la mancanza di un manager di provenienza dall’editoria.
2. RCS CHIUDERÀ 10 PERIODICI SE NON LI VENDE ENTRO GIUGNO 7/5
Andrea Greco per "la Repubblica"
Brutte notizie per i periodici Rcs, che se non troveranno compratori entro fine giugno saranno chiusi. A parte l’enigmistica, unica a non produrre perdite. La convention dei dirigenti dell’editore ("2015: Imbarco immediato") ha fatto emergere la decisione, dopo che il cda Rcs non ha ritenuto congrue le due offerte per il blocco di testate su cui si negoziava: i compratori, infatti, avevano chiesto qualche decina di milioni di dote per continuare a pagare i 110 stipendi dei periodici (90 giornalisti).
Il pacchetto include A, Visto, Ok Salute, BravaCasa, Yacht & Sail, Novella 2000, Max, l’Europeo, Astra. L’azienda cercherà singoli compratori "rapidi", ma è un percorso in salita e al contempo a giorni avvierà il confronto sindacale sulle possibili chiusure.
La riunione dei dirigenti è stata contestata dai lavoratori dei periodici, che tra ironie e applausi hanno gridato «vergogna» in coro ai manager. «Una manifestazione corretta e opportuna», ha replicato l’ad Pietro Scott Jovane, con il presidente Angelo Provasoli all’incontro.
La dirigenza ha presentato un nuovo assetto organizzativo, che crea l’unico comparto editoriale "Media Publishing" in cui confluiscono quotidiani e periodici, guidato da Alessandro Bompieri (oggi dg di Quotidiani). Il capo dei periodici Matteo Novello prende la guida della nuova unità Sfera, che accorpa le attività per l’infanzia. Il riassetto, che non riguarda Rcs Libri, prevede poi la creazione di una divisione Operation, con gli stabili, le infrastrutture e la gestione fornitori.
Quarta divisione sarà la pubblicità. Tali mosse, fulcro con i tagli del piano di rilancio, dovrebbero triplicare la marginalità entro il 2015. Ma tra una settimana toccherà alla trimestrale di gruppo a marzo, atteso Mol negativo e una perdita di un centinaio di milioni.
Il vero cruccio del gruppo che edita il Corriere della Sera però continua a essere l’aumento di capitale, obbligatorio per l’erosione dei minimi legali avvenuta lo scorso giugno e ampliatasi con le perdite successive.
La ricapitalizzazione da 400 milioni, al voto assembleare di fine maggio, è a rischio perché un terzo dei presenti potrebbe opporsi; in tal caso l’azienda aprirebbe la procedura concorsuale. Le critiche di tanti soci forti, specie di estrazione industriale come Della Valle, Benetton, Rotelli, Pesenti, Merloni, si concentrano su un riassetto finanziario che privilegia il rimborso di ben 200 milioni ai creditori, e rinegozia il debito futuro (575 milioni) a tassi del 6%.
La situazione è delicata, ma pare che le banche azioniste - Intesa Sanpaolo e Mediobanca in primis - siano disposte a rivedere gli estremi del piano siglato tre settimane fa. «Nessuna notizia», ha detto ieri l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni, tra i più freddi sul dossier Rcs. Anche se il tempo scarseggia, tra i creditori la convinzione di non poter ignorare le istanze dei soci industriali cresce. Gli occhi sono puntati sul patron della sanità Giuseppe Rotelli, che con il 16,5% sarà l’ago della bilancia.
3. RCS, IL TEMA DEBITO TORNA SUL TAVOLO 7/5
Laura Galvagni per il "Sole 24 Ore"
Non si può far finta di nulla. Non si possono negare le perplessità sollevate da alcuni soci rispetto al contenuto del piano di ristrutturazione di Rcs. Sarebbe questa la convinzione che lentamente starebbe maturando in seno al gruppo editoriale. Certo, i contratti, soprattutto quelli sul debito, sono già stati firmati e le possibilità di manovra sembrano limitate, tuttavia si cercherà di capire se sia possibile aggiustare alcuni dei termini chiave dell’intesa.
In quest’ottica, recentemente sarebbe arrivato da parte di Diego Della Valle, azionista fuori patto ma prima voce dissenziente rispetto ai contenuti del piano, un nuovo messaggio volto a ribadire quanto già detto nelle lettere inviate al board e al collegio sindacale, ossia che il progetto non spartirebbe in maniera equa gli oneri di rilancio tra i diversi stakeholders.
Nel mirino ci sarebbe in particolar modo l’accordo sulla ristrutturazione del debito. Un’intesa, secondo Della Valle, che non rispecchierebbe la situazione in cui versa il gruppo editoriale e che andrebbe a vantaggio esclusivo degli istituti. Più razionale sarebbe, a suo parere, che le banche mettessero in conto una sorta di write-off di parte del l’esposizione e riducessero gli oneri legati al rifinanziamento della fetta restante.
Un pensiero condiviso pure dai Benetton e che troverebbe sponda anche in altri azionisti, ancora dubbiosi sulla possibilità o meno di aderire all’aumento di capitale. Di qui, l’idea di attivare un tavolo di mediazione. D’altra parte, stante così le cose, la ripatrimonializzazione, oltre al no di Della Valle e Benetton, rischia di incassare oltre opposizioni.
È emerso ieri, peraltro, che lo scorso 24 aprile, Ponzano Veneto ha pure limato la partecipazione in Rcs vendendo sul mercato circa uno 0,3% del proprio pacchetto sceso attorno al 4,7%. L’operazione rientrerebbe nella normale gestione di portafoglio e non dovrebbe ripetersi a stretto giro. Sarebbe di fatto servita per "arginare" la futura debolezza del titolo, già scritta nei valori ai quali verrà lanciata l’iniezione di liquidità. Altro tema sensibile in più occasioni stigmatizzato da alcuni azionisti, considerate le condizioni iperdiluitive.
Rispetto alla possibilità che il piano venga modificato, ieri l’amministratore delegato di Rcs, Pietro Scott Jovane, ha risposto così a chi gliene chiedeva conto: «Non so cosa rispondere, lo farò quando sarò in grado». Prima di lui il presidente Angelo Provasoli, dopo essersi detto ottimista, ha preferito «non entrare nello specifico». Mentre Federico Ghizzoni, ceo di UniCredit, una delle banche esposte verso Rcs, si è invece limitato a dire che «non ha notizie in merito».
Detto ciò, il cantiere Rcs sembra essere ancora aperto. Non foss’altro perché il gruppo ha deciso di archiviare l’ipotesi di vendita in blocco dei 10 periodici dichiarati non strategici e fissando al 30 giugno la data ultima oltre la quale, in assenza di acquirenti, cesserà la pubblicazione delle testate. Si tratta di un pacchetto di pubblicazioni anche storiche della Rizzoli che va da Novella 2000 a Max, passando per l’Europeo e Astra, e che impiega circa 110 persone, di cui 90 giornalisti, oltre a una cinquantina di precari.
Su nessuna risulta siano arrivate offerte soddisfacenti. Tra le dieci, solo quelle nell’enigmistica si dovrebbero salvare, perché comunque redditizie. L’ipotesi ha naturalmente scatenato la protesta dei giornalisti che ieri hanno atteso i vertici della società all’uscita del Teatro dell’Elfo dove le prime linee hanno presentato il nuovo assetto organizzativo che prevede la creazione di un unico comparto editoriale denominato Media Publishing, in cui confluiscono le divisioni Quotidiani e Periodici, e che sarà sotto la guida di Alessandro Bompieri (oggi direttore generale della Quotidiani). L’attuale numero uno dei Periodici, Matteo Novello, prende invece la guida della nuova unità Sfera, in cui verranno accorpate le attività nella prima infanzia, presenti anche a livello internazionale.
DAGOANALISI 6/5
La novità, da incubo, inquieta e rattrista.
Anche se Dagospia (tra i pochi osservatori) aveva intravisto, anzitempo, le ombre minacciose e devastanti che stavano per addensarsi su via Solferino.
Una novità non da poco alla vigilia dell’assemblea di fine maggio dell’Rcs Media da cui dipende il futuro del primo gruppo editoriale italiano.
Già, perché dopo i lettori e gli inserzionisti pubblicitari, anche gli armatori-azionisti stanno per abbandonare, come topi impazziti, la "corazzata Corriere". Lì dove fino a poco tempo fa hanno rosicchiato indisturbati nelle stive provocando enormi falle. Ed è la prima volta che ciò accade.
Nella sua lunga storia, il quotidiano milanese è stato sempre "preda" dei Poteri marci, di ieri e di oggi.
Ma adesso che la "corazzata Corriere" rischia di affondare sotto il peso dei debiti accumulati nei lunghi anni di sciagurate piraterie finanziarie (e di scelte editoriali dissennate), il prode Dieghito Della Valle - nel ruolo ribaldo che al cinema fu di Marlon Brando sulla tolda del Bounty -, guida gli ammutinati nel "patto di sindacato".
Gli azionisti non bancari (Benetton, Rotelli, Merloni, Lucchini, Pesenti etc) che ben prima dell’ultima tornata elettorale hanno capito che il vecchio Corrierone, gestione Flebuccio de Bortoli, conta meno di zero nel teatrino della politica. E è più una bussola per orientare l’opinione pubblica. Meglio allora darsela a gambe levate. Magari perdendoci qualche milioncino se il "gioco" (il "Corriere") non vale la "candela" (un peso in politica e nelle banche per scambiarsi favori e protezioni).
Stando così la realtà dei fatti, le stesse mire espansionistiche in Rcs dello Scarparo di Casetta d’Ete sulla proprietà oggi appaiono in netto calo. E chi sa se grazie alla contiguità, non solo professionale, con l’eccellente giornalista Enrico Mentana, direttore di Tg7, Dieghito el Dritto non sia più propenso, sembra a investire i propri soldi nel gruppo televisivo La7, appena acquisito da Telecom dall’editore Urbano Cairo.
Ma, almeno per un mino di decenza, prima di saltare al collo dei "pattisti" nel ruolo del moralizzatore-vendicatore, il DrHogan&MrTod’s avrebbe dovuto fare un minimo di autocritica dopo aver partecipato e contribuito a tutte le decisioni sballate del gruppo. E, in aggiunta, sostenuto fino alla fine il suo amichetto, l’amministratore delegato Antonello Perricone, che una volta occupato il posto di Vittorio Colao (contrario all’operazione) andò alla conquista di Recoletas in Spagna.
Erano le stagioni dei pattisti megalomani (se non peggio) guidati, almeno all’inizio da Cesare Romiti, che nell’impresa ci ha rimesso tutta la liquidazione della Fiat. Con le acquisizioni-pacco in Spagna e quelle ambiziose in Francia (Flammarion). E ancora. L’ampliamento, inutile, della fabbrica di via Solferino - venduta e riacquistata poi dalla Pirelli Real Estate del solito socio in conflitto d’interessi, Marco Tronchetti Provera -, e la realizzazione di un torracchione, altrettanto superfluo, in quel di Crescenzago.
Due opere, faraoniche dai costi mostruosi, firmate dalle archistars di grido, Gregotti e Boeri. Mentre, al tempo stesso, era messa in vendita la preziosa rete delle librerie Rizzoli. Il Mattone, insomma, preferito ancora una volta alla carta.
L’elenco delle scelte sbagliate, dimenticate in fretta dal furbo Della Valle - che propugna l’arrivo di un "commissario" in via Solferino -, è davvero lungo.
L’acquisto di emittenti radiofoniche e di banche dati che ben presto saranno liquidate; le Befane elargite generosamente a manager, spesso inetti, (super liquidazioni e bonus). Quasi 150 milioni di euro, che rappresentano almeno un quarto dell’aumento di capitale che oggi faticosamente si sta cercando di mettere insieme per salvare l’Rcs Media Group dal fallimento.
Un’azienda dotatisi di una governance che fino a poco tempo fa pesava sui propri bilanci annuali per oltre 10 milioni di euro. E altrettanti erano destinati ai collaboratori esterni, pagati anche per non scrivere una riga.
Intanto, sul pennone della sede storica di via Solferino, simbolo ormai centenario di Milano - nell’indifferenza totale delle sue autorità e della gente -, sventola da mesi il cartello "vendesi".
Quasi una resa d’atto, simbolica e tragica, del profondo "distacco" che nel tempo si è andata consumando tra l’"istituzione" Corriere e la città. L’unica che vantava una borghesia illuminata nel Paese.
Un fenomeno, la "rottura" con il proprio bacino di lettori (oltre il 70% delle vendite in Lombardia) sul quale poco ha riflettuto sia il corpaccione redazionale sia il suo attuale direttore, Flebuccio de Bortoli. I quali, invece, hanno preferito nascondersi dietro il paravento, comodo ma ingannatore, dei new media (Internet, quotidiani on line, blog e altre trovate tecnologiche d’informazione) per giustificare le pesanti perdite di copie in edicola.
E senza domandarsi mai se il "modello" Corriere era ancora all’altezza delle attese del suo pubblico, alto e basso. Se il loro giornale era ancora in linea con la sua tradizione moderata. Anche dal punto di vista economico, se cioè i consumatori (lettori) ti abbandonano una ragione, c’è e andrebbe analizzata. E non può essere trovata soltanto fuori dal proprio perimetro d’interesse (corporativo).
Un dato per tentare di capire la crisi d’identità del Corriere sicuramente esiste: negli ultimi vent’anni - da Tangentopoli in avanti -, il "Corriere della Sera" (e gli altri quotidiani) ha avuto una lenta emorragia di copie. Come a dire? Gli scandali, veri o presunti, l’antiplotica non pagano, almeno in termini di vendite.
Ai Poteri marci tutto ciò, però, contava assai poco. Il loro vero obiettivo era spazzare via i partiti della cosiddetta prima Repubblica, per farla franca con i magistrati che fino al 1994 non hanno toccato con le loro inchieste nessuno dei padroni dei media.
Alla fine ci sono riusciti a far crollare tutto: partitocrazia e classi dirigenti. Anche se adesso si lamentano se il dio Crono dell’antipolitica sin è mangiato pure i suoi figli (prediletti)
Dopo Mani pulite il Corrierone, guidato da Paolino Mieli, si è messo a pestare ogni Casta che gli passava a tiro: medici, avvocati, spazzini, infermieri, professori, ghisa, tramvieri, consiglieri comunali e regionali, bottegai, notai, tassisti... Il tessuto forte e ramificato dei lettori di un quotidiano milanese sin dalla sua remota nascita sempre nazional-popolare.
I quali si sono stufati di andare in edicola per essere additati come dei malfattori o degli imbroglioni.
La guerra alle Caste (altrui) è continuata pure con Flebuccio de Bortoli. "...stupisce che gli unici a uscirne indenni siano i giornalisti", ha osservato il professore Alessandro Zeno-Zencovivh già nel 1995 ("Alcune ragioni per abolire la libertà di stampa", Laterza) sulla moda scandalistica in uso nei giornali. Per aggiungere:"I quali (i giornalisti, ndr) come ogni corporazione che si rispetti, si guardano bene dal mettere in discussione se stessi".
Una "frattura" con i suoi lettori e l’elite politiche (e non), dunque, impensabile fino a qualche anno fa. Quando il Corrierone faceva gola ai partiti e ai loro interessi (da Mussolini a Craxi-Fanfani). Nonché a Lor Signori del capitalismo pubblico e privato: Agnelli, Cefis, De Benedetti, Moratti, Pesenti e lo stesso Berlusconi.
Un primo giornale con la sua "autonomia", sicuramente partigiana e sempre filogovernativa, che nel gioco politico-economico ha comunque sempre "pesato" - secondo il modello di Cuccia in Mediobanca -, assai di più delle copie vendute in edicola. Che hanno sfiorato prima di Tangentopoli il milione nelle edicole nell’era della direzione di Franco Di Bella.
Sul primo quotidiano italiano, sicuramente primo per l’autorevolezza delle sue firme - sempre ben custodite nelle sue varie e tormentate stagioni editoriali (da Benedetto Croce a Pier Paolo Pasolini, tanto per spiegare la pluralità di opinioni offerte ai lettori) -, si sono combattute battaglie feroci.
E si sono intrecciati pesanti interessi extraeditoriali. Basta ricordare la vicenda della P2 di Licio Gelli e del Banco Ambrosiano che costrinse gli eredi Rizzoli a portare i libri in tribunale e a mandare al rogo, per avidità o per insipienza manageriale, l’impero di carta (e non solo) costruito dall’ex martinitt Angelo Rizzoli senior.
Ma è davvero tutta colpa d’Internet, che finora non rende un solo euro alle aziende, la crisi dell’editoria di carta? O si tratta soltanto di un comodo alibi?
Una scusante affine al richiamo, ricorrente (e noioso), che il web tiene lontano il lettore giovane dalle edicole. Mentre basta sfogliare le inchieste demoscopiche tra gli anni Settanta e Novanta per verificare che non si tratta di un fenomeno, ahimè, nuovo.
Già prima dell’avvento dei new media, la fascia dei lettori, compresi nell’età tra i 15-24 anni, che sfogliava un quotidiano più di una volta la settimana era ben al disotto del 20%. E si dimentica, tra l’altro - come invece ha fatto Giulio Anselmi, un giornalista di razza passato per via Solferino e prestato agli editori (Fieg), che -, che ancora oggi il 90 per cento degli introiti che arrivano nelle casse delle aziende proviene dal prodotto di carta. E andrebbe anche tenuto conto che sono 24 milioni gli italiani che ogni giorno sfogliano un giornale contro i 2 milioni e mezzo che seguono le mediocri edizioni on line dei quotidiani (Audipress, 2010).
Allora, i conti (della crisi) non tornano né per i giornalisti né per gli editori. Ma se i Poteri marci possono scappare impunemente dalla "corazzata Corriere" non avendo più nulla "da scambiare", i redattori rischiano di affogare nella sala macchina se qualcuno non gli lancerà un salvagente. Ma chi?
Alla vigilia dell’assemblea di fine maggio che, di fatto, segnerà l’implosione del "patto di sindacato", nessuno sembra agitarsi più di tanto per le sorti del quotidiano milanese. E le ragioni vanno ricercate forse nella sfiducia dell’opinione pubblica nei confronti sia dei vecchi che nuovi media, indistintamente.
Oltre un secolo fa, il giornalista-editore Joseph Pulitzer, faceva osservare: "Una volta che il pubblico giunge a vedere la stampa come un’impresa esclusivamente commerciale, quest’ultima perde tutto il suo potere morale". Un collega così profetico meriterebbe un premio.
Fonte: Nicola Porro, il Giornale 4/5/2013
Testo Frammento
AL CORRIERE VOLANO GLI STRACCI -
La sintesi più inte¬ressante sulla pe¬riodica guerra per il controllo del Corriere della Sera l’ha fatta uno dei banchieri che ancora contano in Italia: «Stia¬mo tenendo su questo palco a caro prezzo. Ma non si capisce per chi. Rcs ha rotto...». Altro che «rot¬to»: nel solo 2012 ha bru¬ciato più di 250 milioni di ricavi, con una perdita netta di gruppo di 500 mi¬lioni (322 milioni di rosso l’anno precedente). E se i suoi numerosi soci non dovessero, come alcuni azionisti chiedono, approvare l’aumento di ca¬pitale da 400 milioni, gli amministratori dovreb¬bero portare i libri in tri¬bunale. Ieri Diego Della Valle (ha l’8,6 per cen¬to della Rizzoli) ha scritto una terza, dura lettera ai vertici del¬la società: la strada per un’azio¬ne di responsabilità è traccia¬ta. È un bel pasticcio. I soci so¬no in fibrillazione. Ma anche quelli più ostili all’aumento di capitale rischiano di finire in un angolo. E temono che quel¬l’angolo sia stato studiato pro¬prio per metterli a tacere. Non è un caso che buona parte dei soci privati, chi più chi meno, sia molto irritata: Della Valle in primis, ma anche i Pesenti, Merloni, Rotelli, Benetton. In¬somma, chi deve aprire il pro¬prio portafoglio (e non quello dei suoi azionisti) non riesce a capire per quale motivo metà delle nuove risorse debba an¬dare a ridurre il debito delle banche e non a rafforzare la so¬cietà editoriale. Se il primo so¬cio Giuseppe Rotelli (ma in re¬altà la trattativa la sta conducendo l’avvocato Lombardi con qualche sfumatura diver¬sa rispetto alle posizioni inizia¬li tenute dal grande imprendi¬tore della sanità) non aderisse all’aumento di capitale, la sua quota (oggi superiore al 16 per cento) si ridurrebbe a circa il 3 per cento della Rcs ricapitaliz¬zata. Discorso simile per Diego Della Valle, il cui 9 per cento si diluirebbe a meno del 2 per cento. Questo aumento di capi¬tale fortement¬e diluitivo fa dav¬vero male a chi non lo sottoscri¬ve. È l’angolo da cui si deve scappare. Se i privati aderisco¬no all’aumento mettono altri quattrini in una società in cui contano poco e a beneficio del¬le banche finanziatrici. Se non li mettono vedono le proprie partecipazioni al capitale pol¬verizzarsi e chiudere così la lo¬ro storia a via Solferino.
Il braccio di ferro è in corso. Della Valle ha certamente rot¬to il giochetto. Ma è difficile che riesca a condurre alle estre¬me conseguenze il suo tentati¬vo. La Rizzoli portò già i libri in tribunale e nessuno dei soci ha voglia di giocare alla roulette russa generata da una procedu¬ra concorsuale. Ma d’altra par¬te Mediobanca, il secondo so¬cio dopo Rotelli, sta giocando un ruolo di mediazione. A Piaz¬zetta Cuccia (che non ha pre¬stato un soldo a Rcs e dunque non ha benefici diretti dall’ope¬razione così come ora conge¬niata) cercano di trovare una via d’uscita. Rendere l’aumen¬to ¬di capitale di Rcs meno pena¬lizzante per i soci è davvero complicato: oggi il gruppo si trova nella stessa situazione di Fonsai prima del salvataggio. I 150 milioni di capitale residuo si bruciano in fretta. Le condi¬zioni piuttosto onerose dei nuovi prestiti concessi dalle banche potranno essere leg¬germente riviste. Ma la «cic¬cia» per convincere i privati ad aderire dovrà essere ben altra: tutte le nuove risorse che arri¬veranno dall’aumento di capi¬tale dovranno essere trattenu¬te effettivamente in azienda. Evidentemente un cambio ra¬dicale negli assetti di potere del gruppo: meno banche, più privati. Di fatto una richiesta di questo tipo anticiperebbe uno dei piani già previsti nei salotti buoni della finanza milanese, e cioè lo scioglimento del patto di sindacato che governa il gruppo. E dunque anche un cambio dei consigli di ammini¬strazione e dei vertici. Insom¬ma, una rivoluzione. Materia incandescente per il numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel, che in questi giorni sta cercando di portare a casa la difficile mediazione. Un primo segnale in effetti lo ha dato rifiu¬tando, nei mesi scorsi, il proget¬to, molto ben visto dalla Fiat, di fondere il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli con la Stampa. Ma la seconda parte del progetto potrebbe resiste¬re anche in questa nuova ipote¬si di appeasement. E cioè il co¬siddetto spezzatino: smembra¬re il gruppo (le ipotesi sul tavo¬lo sono diverse) in più parti, periodici, quotidiani, libri e bad company.
La partita non è ancora fini¬ta. È difficile, ma sulla carta non impossibile, che Fiat e soci bancari vadano sotto in assem¬blea per l’aumento di capitale. È possibile che i soci oggi dis¬senzienti alla fine siano costret¬ti a fare la loro parte, per non scomparire. È certo che il patto di sindacato che lega gli azioni¬sti sia morto. È scontato che la battaglia per il controllo del Corrierone sia partita. Già da questa estate si ballerà.
Gian Maria De Francesco per "Il Giornale.it" 3/5/2013
Diego Della Valle ha chiesto il commissariamento del Cor¬riere.
È quanto emerge dalla re¬lazione del collegio sindacale di Rcs,predisposta per l’assem-blea del 30 maggio prossimo che sarà chiamata a decidere sulla ricapitalizzazione da 400 milioni di euro.
In particolare, Mister Tod’s ha sollevato «censure» in meri¬to al «mancato ricorso agli isti-tuti previsti dalla legge fallimen¬tare » e «all’effetto diluitivo del previsto aumento». Ma è soprattutto la prima contestazio¬ne a sintetizzare l’elevato livel¬lo di conflittualità tra l’imprenditore marchigiano e il patto che governa il Corriere. Della Valle ha infatti citato gli articoli 67 e 182-bis della legge fallimen¬tare.
Il primo dispone la revoca dei pagamenti e delle cessioni effettuate dalla società in de-fault nei 12 mesi precedenti alla dichiarazione di dissesto, salvo che il creditore non ne sia a conoscenza. Il secondo, invece, dispone la ristrutturazione del debito per la società ammessa al concordato. Il messaggio è chiarissimo: «I veri beneficiari dell’aumento di Rcs sono le banche creditrici».
A questi ri¬lievi il collegio sindacale ha co¬munque replicato che senza l’aumento non esiste il presup¬posto della continuità azienda¬le, presupposto sul quale per¬mangono «incertezze» a detta degli stessi sindaci.
E sull’aumento, sollecitato dai «pilastri» del patto quali Me¬diobanca, Fiat e Intesa, è tornato ieri il Ceo di Ca’ de Sass, Enri¬co Tomaso Cucchiani. «Mi sem¬bra difficile votare contro l’au¬mento di capitale: dietro l’azienda si raccoglie la crema dell’imprenditoria e della fi¬nanza italiane e sarebbe di gra¬ve responsabilità per tutti se non le si concedesse la possibili¬tà di andare avanti», ha detto.
Parole che forniscono l’esat¬ta misura dell’impasse in cui ri¬schia di bloccarsi la ricapitalizzazione. Una delibera di au¬mento, essendo materia di as¬semblea straordinaria, deve es¬sere approvata con il 66% dei vo¬ti. Della Valle e Benetton che hanno già annunciato il voto contrario assieme al «pattista» dimissionario Merloni rappre¬sentano il 15,8%. Se il 16,5% di Giuseppe Rotelli, che anche a causa di problemi di salute non si è ancora espresso, dovesse schierarsi sul fronte del «no», una clamorosa bocciatura diventerebbe probabile.
Ecco perché non sarà indifferente la decisione di Generali (3,2%) che, pur non partecipando al¬l’aumento, dovrà esprimersi. «È possibile votare a favore an¬che se non si aderisce», ha chio¬sato Cucchiani il cui intervento sembra indirizzato proprio alla moral suasion .
Ancora da decidere, invece, l’orientamento del 9,4% che fa capo all’Italmobiliare dei Pesenti e alla famiglia Lucchini. Va ricordato, inoltre, che non esiste solo l’opzione del voto a favore o contrario. Chi non par¬tecipa all’assemblea rende più facilmente raggiungibile il quo¬rum del 66% al partito del «sì». L’unica certezza è che non esi¬ste un «piano B»: senza l’au¬mento ci sono solo i libri in tri¬bunale.
Antonella Olivieri per "Il Sole 24 Ore" 2/5/2013
È Giuseppe Rotelli l’ago della bilancia nella tormentata ricapitalizzazione di Rcs. L’imprenditore non ha ancora chiarito la sua posizione, ma ha fatto sapere che deciderà quando saranno definite le condizioni dell’aumento. Bisognerà attendere quindi almeno fino al 14 maggio, quando si riunirà nuovamente il board della casa editrice per l’approvazione della trimestrale e giocoforza per mettere a fuoco gli ultimi dettagli sull’operazione che sarà sottoposta all’assemblea il 30 maggio.
Si sa però che Rotelli non ha gradito le condizioni poste dalle banche per accompagnare la ristrutturazione finanziaria, che non è felice all’idea di un aumento che potrebbe diluire la sua partecipazione, se decidesse di non seguire, dal 16,8% a qualcosa come il 2%, che non sia convinto di un’operazione che in buona parte è finalizzata a rimborsare le banche. Tutti argomenti che non sono molto distanti da quelli illustrati da Diego Della Valle, da ultimo insieme a Gilberto Benetton, che hanno già preannunciato il loro no. Il no all’aumento è stato comunicato anche da Paolo Merloni, consigliere dimissionario e titolare di una quota sindacata del 2%.
Col 16,8% la quota di Rotelli può dunque fare la differenza. Se si schierasse con il fronte del sì, l’aumento passerebbe alle condizioni poste dalle banche. Se viceversa optasse per l’opposizione attiva, il no supererebbe la soglia di un terzo del capitale che consentirebbe di bocciare le delibere dell’assemblea straordinaria. Se invece non si presentasse all’adunanza degli azionisti, allora la partita sarebbe aperta e conterebbero gli indecisi. Ma appunto, complici problemi personali, la posizione dell’imprenditore della sanità è imperscrutabile, sebbene nelle settimane scorse risultino esserci stati contatti con Della Valle.
L’impegno a sottoscrivere l’aumento così come prospettato c’è da parte di quel 44% del capitale sindacato - al netto delle azioni proprie detenute dalla società - che ha già comunicato le proprie intenzioni. Sul resto del capitale vincolato al patto non c’è certezza perché, come ricordato ieri da «Il Sole-24Ore», l’accordo è di consultazione e di blocco ma non di voto e lascia dunque liberi gli azionisti di esprimersi come credono in assemblea, tanto più oggi che non esistono più "messe cantate".
L’adesione è già certa, dunque, da parte di Mediobanca (13,699% la quota vincolata), Fiat (10,291%), FonSai (5,257%), Pirelli (5,239%), Intesa (4,927%), Mittel (1,282%) ed Edison (1,045%). In più Fiat si è resa disponibile a sottoscrivere parte dell’eventuale inoptato all’interno del patto fino a una quota del 2,805%, e Intesa a mettere sul piatto altri 10 milioni tra acquisto di diritti e sottoscrizione di nuove azioni (pari al massimo al 2,5%, se i diritti valessero zero) in aggiunta alle rispettive quote.
Ancora non basterebbe a soddisfare la condizione posta dalle banche per la costituzione del consorzio di garanzia (ieri al pool si è aggiunta Akros con un pre-impegno per 10 milioni) e cioè che il patto sottoscriva almeno 200 dei 400 milioni della ricapitalizzazione ordinaria. All’appello mancherebbe qualche punto percentuale. Ma questo è un dettaglio, in qualche modo risolvibile.
All’interno del patto deve ancora sciogliere la riserva il gruppo Pesenti che deciderà quando saranno note le condizioni dell’aumento. Mentre si dice che ci sia discussione in famiglia tra il figlio Carlo, che ha disertato le ultime riunioni del consiglio Rcs, e il padre Giampiero, che è il presidente del patto, non viene avvalorata da parte di Italmobiliare l’ipotesi di un’adesione solo per metà della quota.
Il gruppo è impegnato nella ristrutturazione del proprio core business, ma si ritiene improbabile che i Pesenti non partecipino all’assemblea o che possano votare contro, indipendentemente dalle considerazioni individuali sulla partecipazione all’aumento.
La Sinpar di Lucchini (1,282%) aveva preannunciato che avrebbe fatto la propria parte, ma poi ha preso tempo. La Eridano finanziaria di Bertazzoni (1,228%) non ha fatto pervenire ancora l’adesione come invece ci si aspettava. Generali ha fatto sapere che non sottoscriverà l’aumento, ma sul voto in assemblea l’ad Mario Greco si è limitato a dire: «Vedremo, un passo per volta».
29/4
1 - RCS, 78 MLN DI PERDITE NEL TRIMESTRE, OTTOVOLANTE IN BORSA
Marigia Mangano per "Il Sole 24 Ore" - Rcs sull’ottovolante in Borsa dopo una partenza in profondo rosso. La società che edita il Corriere della Sera, dopo aver aperto in calo del 5%, ha poi recuperato terreno fino a -1,2% per poi ritracciare ancora fino a -4,8 per cento. L’andamento a Piazza Affari segue la comunicazione, fatta dalla società in apertura di Borsa, di una perdita nel primo trimestre dell’anno nell’ordine di 78 milioni. Quanto basta per portare la società ad abbattere il capitale sociale per 139,3 milioni.
Gli occhi ora sono puntati sull’assemblea che è stata fissata per il 30 maggio: in quella sede verrà proposto un aumento di capitale fino a 500 milioni e l’attribuzione al cda di una delega per aumentare il capitale sociale per massimi 200 milioni fino a un importo complessivo di massimi 600 milioni entro il 2015.
2 - DELLA VALLE E BENETTON CONTRO L’AUMENTO RCS
Andrea Montanari per www.milanofinanza.it
Scossone ai piani alti di Rcs Mediagroup. Con due lettere inoltrate quest’oggi al cda del gruppo editoriale di via Rizzoli, Diego Della Valle (8,695%) e i Benetton (5,1%), entrambi azionisti fuori dal patto di sindacato (58%), hanno comunicato ufficialmente di voler votare contro l’aumento da 600 milioni complessivi, la cui prima tranche (400 milioni) dovrebbe esser lanciata a metà giugno.
Il fronte comune anti ricapitalizzazione, quasi il 14% del capitale, potrebbe allargarsi? Non è escluso, visto che già in precedenza il pattista Merloni (2%) si era detto "non favorevole" e che pure la famiglia Pesenti (7,747%) è scettica. Non va dimenticati l’eventuale ruolo che potrebbe giocare il primo socio, la famiglia Rotelli (16,55%) che tuttora non ha sciolto le riserve e potrebbe decidere di non aderire.
Il piano di rafforzamento patrimoniale ha già il sostegno di gran parte del sindacati di blocco (43%), con gli azionisti Fiat e Intesa Sanpaolo pronti a sottoscrivere l’eventuale inoptato. A dar supporto al patto ci sono le ba che creditrici: il consorzio di garanzia è pronto a sottoscrivere fino al 41,7% dell’aumento.
3 - RCS: DELLA VALLE VERSO FORTE DILUIZIONE DEL SUO 8,7%
Radiocor - Diego Della Valle gioca d’anticipo su Rcs e fa sapere che non sottoscrivera’ l’aumento di capitale, accettando di fatto di diluirsi fortemente come azionista esterno al patto di sindacato. Non e’ escluso che l’imprenditore marchigiano possa cedere il suo pacchetto dell’8,7% del capitale svincolato dalla scorsa primavera.
Il Cda di Rcs di ieri sera informa di aver preso atto i soci DI.VI. Finanziaria di Diego Della Valle & C, Dorint Holding ed Edizione (Benetton) - di cui gia’ si sapeva - possessori complessivamente di circa il 13,8% del capitale ordinario della societa’ editoriale, hanno comunicato che "e’ sembrato ad essi corretto e trasparente manifestare in anticipo" rispetto alla convocanda assemblea di fine maggio "la loro indisponibilita’ ad approvare un’operazione di ricapitalizzazione cosi’ strutturata", riferendo quindi all’aumento di capitale di 400 milioni entro luglio e altri 200 milioni al 2015.
4 - RCS: ARPE, MANIFESTAZIONE INTERESSE DI NEWS 3.0 CADUTA
(ANSA) - "News 3.0 aveva presentato una manifestazione di interesse non vincolante tempo fa nella sua autonomia. Ma mi sembra che poi sia scemata e non ci sia stato alcun seguito". Così il numero uno del fondo Sator e di Banca Profilo, Matteo Arpe, risponde a chi gli chiede se News 3.0, editrice di Lettera 43, sia in corsa per i periodici Rcs.
5 - RCS: CAIRO, NON INTERESSATO A TESTATE IN VENDITA
(ANSA) - Urbano Cairo non è interessato a rilevare nemmeno singolarmente le testate che Rcs ha messo in vendita. "Abbiamo una strategia diversa, abbiamo sempre preferito lanciare nuovi giornali piuttosto che rilanciare giornali con un passato importante ma che vendono poche copie e hanno ridotto i margini", ha spiegato l’imprenditore durante l’assemblea di Cairo Communication.
6 - GENERALI: DEL VECCHIO, FIDUCIA IN GRECO
(ANSA) - Leonardo Del Vecchio ha fiducia nella nuova gestione delle Assicurazioni Generali targata Mario Greco. "Stiamo andando verso un percorso che ci porterà a risultati migliori di quelli degli ultimi dieci anni" ha risposto Del Vecchio, azionista del Leone con il 3%, a chi gli chiedeva se è soddisfatto della nuova gestione. "Ho molta fiducia in Greco e nel cda.
Il cambiamento ha cominciato a dare quell’impronta che ogni azienda deve avere". ha aggiunto il patron di Luxottica a margine dell’assemblea degli azionisti del gruppo. Interpellato sulle decisioni relative alle società partecipate da Generali, in particolare su Rcs, Del Vecchio esprime condivisione. "E’ esattamente quello che ogni industria deve fare, cioé pensare al suo mestiere".
7 - RCS: CDA FIUME SU PERDITA E AUMENTO CAPITALE
(ANSA) - Riunione fiume per il Cda di Rcs. L’incontro, cominciato alle 15.30 nella sede di via San Marco-via Solferino, è durato quasi cinque ore e mezza con tempi che si sono allungati rispetto alle attese della vigilia anche per una discussione che non ha trascurato tutti gli aspetti tecnici delle questioni all’ordine del giorno. C’é poi aperto il nodo delle mosse del socio Diego Della Valle, dopo che mister Tod’s ha minacciato azioni di responsabilità contro il board alla luce del previsto aumento di capitale da 400 milioni di euro. L’operazione, secondo le attese, sarà molto diluitiva - quindi penalizzante - per chi non intende aderire. Come è il caso dell’azionista, oggi all’8,7%, Della Valle.
Su questi temi, in particolare, risultano contatti tra l’imprenditore e i vertici di Rcs. Oggi tra i consiglieri assenti c’é il nome di Carlo Pesenti, il cui gruppo ha preso tempo sulla partecipazione alle ripatrimonializzazione. Non hanno partecipato al Cda inoltre Giuseppe Rotelli, che non ha sciolto le riserve sull’aumento, e Giuseppe Vita. Quest’ultimo, in conflitto di interesse per il doppio incarico di presidente di Unicredit e dell’editore tedesco Axel Springer, è dimissionario con efficacia dalla prossima assemblea.
Ha già comunicato il proprio passo indietro polemico, anch’esso a partire dall’appuntamento dei soci del mese prossimo, anche Paolo Merloni che ha tuttavia ritenuto di esserci alla riunione odierna. La sua famiglia non farà la sua parte nell’aumento e ha chiesto senza successo di svincolare le azioni dal patto. Intanto, in prima battuta, il consiglio di amministrazione della casa editrice del Corriere della Sera è stato chiamato ad approvare la trimestrale della Spa, ancora in rosso, e ad aggiornare la perdita di 509 milioni segnata dal gruppo a fine 2012 così da definire l’esatto ammontare dell’abbattimento del capitale, richiesto per legge quando le perdite erodono oltre un terzo del capitale sociale.
All’ordine del giorno c’era infatti la convocazione dell’assemblea, in una data compresa tra il 29 e il 31 maggio, per ridurre il capitale per perdite e per reintegrarlo. In programma c’é una ricapitalizzazione da 400 milioni. La decisione sul prezzo al quale saranno emesse le nuove azioni con lo sconto rispetto alle quotazioni di borsa non era sul tavolo dell’odierno board che tuttavia ha passato in esame i criteri per la determinazione dei due valori, oltre ad altre questioni legate al trattamento delle risparmio rispetto alle ordinarie. Non sono emerse invece novità sul fronte della vendita dei dieci periodici destinati alla cessione.