Roberto Mania, la Repubblica 11/5/2013, 11 maggio 2013
ROMA — «Non ci penso assolutamente a fare il traghettatore. Semmai potrei pensare di candidarmi al congresso», diceva solo qualche giorno fa Guglielmo Epifani appena diventato presidente della commissione Attività produttive della Camera
ROMA — «Non ci penso assolutamente a fare il traghettatore. Semmai potrei pensare di candidarmi al congresso», diceva solo qualche giorno fa Guglielmo Epifani appena diventato presidente della commissione Attività produttive della Camera. E oggi — se l’assemblea del Pd lo eleggerà — il suo obiettivo potrebbe anche non cambiare. Lo si vedrà nelle prossime settimane. Perché Epifani è uomo determinato, capace di compiere tutti i passi giusti al momento giusto. Ma anche di stare fermo. Grande calcolatore, attento a non sbagliare. Riflessivo. Poco coraggioso, secondo i suoi detrattori. E il ruolo del traghettatore non è detto che gli piaccia. O che lo accontenti. È il primo socialista a prendere la guida del partito nato dalla fusione a freddo tra gli ex comunisti e gli ex popolari. Dopo essere stato il primo socialista arrivato alla segretaria generale della Cgil. «L’unico socialista ad essere diventato comunista», dicono con cattiveria i suoi ex compagni del Psi passati a destra con il Popolo delle libertà. Certo è anche il primo ex sindacalista ad essere eletto segretario del partito degli eredi del Pci. In realtà già Walter Veltroni quanto era il segretario dei Ds propose a Epifani di diventare il suo numero due, l’uomo dell’organizzazione. Lo stesso ruolo che aveva svolto nei primi anni Novanta nella segreteria della Cgil di Bruno Trentin, quando il sindacato di Corso d’Italia viveva ancora di componenti: quella comunista maggioritaria e quella socialista minoritaria. Epifani disse no. Ambiva (lui, detto “l’Harrison Ford del sindacato”, per via di una presunta somiglianza con l’attore americano) a una posizione di primo piano, non alla macchina organizzativa. Anche se il mestiere dell’organizzativo l’ha sempre saputo fare bene. Ha controllato la Cgil ereditata da Sergio Cofferati con grande maestria sapendo che il suo pedigree partitico sarebbe stato vissuto nella confederazione con tanti pregiudizi. Così, nel 2003, strappò a sinistra schierando il sindacato rosso a favore del sì al referendum sull’articolo 18 mentre Cofferati, il “semplice” iscritto alla Cgil che l’anno prima però aveva condotto lo scontro contro il governo Berlusconi fino all’oceanica manifestazione al Circo Massimo, decise di astenersi. Epifani, moderato, riformista, mediatore a oltranza, ha convissuto con la Fiom movimentista, non ha mai rotto davvero con la radicalità dei metalmeccanici di Gianni Rinaldini e poi di Maurizio Landini. Così riuscì a non firmare il patto sul welfare con il governo Prodi ma a siglarlo “per presa d’atto”. Alchimie sindacali di un uomo iscritto fin da giovane alla direzione del sindacato di Corso d’Italia. Prima alla piccola casa editrice e al centro studi con Giuliano Amato (dopo una laurea in filosofia con una tesi su Anna Ku-liscioff), passando per la segreteria della federazione dei lavoratori dello spettacolo e dell’editoria, poi prendendo il testimone da Ottaviano Del Turco della leadership dei socialisti. E come Del Turco, che divenne segretario di un Psi ormai travolto Tangentopoli, Epifani eredita un partito frantumato. Destino dei sindacalisti in politica? È Epifani che ha voluto (fortissimamente voluto) che fosse Susanna Camusso a succedergli nella stanza al quarto piano di Corso d’Italia. Tra loro c’è un rapporto strettissimo tanto che in una delle ultime riunioni del Direttivo c’è chi ha rimproverato alla Camusso una linea eccessivamente filo-Pd «forse per favorire la carriera di qualche ex segretario ». Preveggenze sindacali. E ora proprio la Cgil rischia di ritrovarsi schiacciata tra le due linee del Pd impersonificate da due suoi ex segretari: da una parte Epifani segretario traghettatore, dall’altra Cofferati (che all’assemblea di oggi non è stato nemmeno invitato) in netto dissenso con quella che appare una scelta di continuità.