Marco Cicala, il Venerdì 10/5/2013, 10 maggio 2013
MISTERO HOLLANDE
PARIGI. L’altro giorno, una vignetta lo raffigurava compasso in mano, tutto concentrato a studiare complicate mappe nautiche, ignaro dell’onda immensa che sta per travolgerlo. Ma i sondaggi, loro, l’hanno già mandato a fondo. Ad appena un anno dall’elezione, la popolarità di François Rollando si inabissa. E a livelli mai visti. Un 75 per cento gli scontenti. Moltissimi a sinistra. Nei momenti peggiori, nemmeno il crepuscolare Chirac o l’esagitato Sarkozy erano ruzzolati tanto in basso. All’inizio – magari esagerando – qualcuno aveva scommesso su Hollande come su un novello Roosevelt. Uno in grado di aggredire crisi, deindustrializzazione, declino, con un New Deal alla française. Ma oggi la Francia sforna 900 disoccupati al giorno. In tutto, sono oltre 5 milioni. Non solo. Per la prima volta dal 1984, il potere d’acquisto arretra. Perché aumentano le tasse e nel 2012 la mitica crescita è stata pari a zero.
Risultato: contro il presidente socialista, la democrazia d’opinione intona un crucifige quasi unanime. Benché non abbia neppure sessant’anni, lo sfottono chiamandolo Pépère, nonnetto calmo e affabile, ma non per forza lucidissimo. Uno «con il software politico scaduto». Alla guida di una gauche camomille, una sinistra mollacciona e pusillanime con banche e finanza («Il mio unico avversario è il mondo della finanza» aveva tuonato Hollande in campagna elettorale), genuflessa davanti ai diktat della Merkel e del Reich monetario. Cos’è? Malumore congiunturale? O l’espressione fisiologica di un popolo cronicamente grognard – protestatario? Oppure è un collasso del consenso tale da rimettere in questione la stessa legittimità politica del presidente? Malgrado la robusta maggioranza socialista in parlamento, anche in Francia si profila un governo d’unità nazionale? Che diamine avrà fatto Hollande per meritarsi questo?
Place de la Bastille. Alto luogo simbolico della gauche. Che la primavera scorsa – secondo tradizione – festeggiava qui la riconquista dell’Eliseo, dopo una traversata del deserto durata 17 anni. Adesso qui sciamano i lavoratori per un corteo del Primo maggio mogio quant’altri mai. Dominano la disillusione, il sarcasmo invelenito. Sui furgoncini della Cgt – principale sindacato di sinistra – fumano salsicce e si eroga pastis. Ma un militante sferza l’atmosfera bonacciona: «Ehi ragazzi, stamattina si respirava più lotta di classe tra quelli del Front National!». Già, perché, poche ore fa, l’estrema destra – mai doma – di Marine Le Pen ha radunato su Place de l’Opéra diverse migliaia di tifosi. Al grido: I francesi innanzitutto. Anche i ristoratori ambulanti hanno obbedito, ruggendo: Né hamburger né kebab. Viva la baguette burro e prosciutto!
Alla Bastiglia, in compenso, l’umore è rasoterra. «Hollande? Al secondo turno l’ho votato. E lo rifarei perché in democrazia i comandi devono passare di mano. Ma si sta dimostrando uomo delle lobby. Coraggio politico: zero» dice Pierre, ecologista. «Voleva solo essere eletto. A differenza di Sarkozy, che arraffava entrambi, lui è più attratto dal potere che dai soldi». Capigliatura truciolata alla Casaleggio, François è uno degli operai da tre mesi in sciopero contro la chiusura della fabbrica di Aulnay, periferia parigina, decisa dal gruppo Peugeot-Citroën. «E col beneplacito dei socialisti. Non sono un elettore di Hollande. Non mi aspettavo nulla da lui. Salvo quello che sta facendo: ancora precarizzazione, licenziamenti più facili, servilismo verso i patrons. No, non sta spaccando la gauche: eravamo già divisi». Le unioni omosessuali? «Fumo negli occhi. La vera angustia della gente è il lavoro. E d’altronde io sono di sinistra. Dunque contrario a qualsiasi matrimonio». Diabolica istituzione borghese. «Hollande ha puntato così tanto sul Mariage pour tous perché era l’unica cosa rimasta a distinguerlo dalla destra» sghignazza Thomas, di Lutte ouvrière – ex trozkysti. Il Mariage, altro che grande battaglia culturale, solo gesticulation, traduci: ammuina. «Come la tassa del 75 per cento sui grandi patrimoni: già messa in soffitta».
Molti altri sfumano il giudizio: «Il matrimonio omosex era un passo doveroso, però la vera audacia di un leader si misura sui temi sociali». L’Europa: nei rapporti con Angela Merkel, «Hollande fa il duro, ma solo a parole». Aveva promesso che avrebbe rinegoziato il patto Ue che ingabbia il deficit «però sembra già essersene scordato». Al diavolo pure la politica estera. Sebbene l’intervento in Mali contro i jihadisti abbia ridato effimero colorito alla popolarità di Hollande: «Tra i muratori che vengono da laggiù la sua immagine è piuttosto buona» concede Richard, edile della Cnt – anarcosindacalisti.
E non basta più neppure lo stile temperato, la calma persévérance di Françoise Hollande, lePrésident normal così in contrasto col protagonismo da incubo del predecessore Sarkozy. «Ma quale stile e stile!» mi s’incazza un militante, «vogliamo finirla o no con ’sto cavolo di personalizzazione della politica? Guardiamo ai co-n-t-e-n-u-t-i!». Ok, la normalità: «Ma in tempi tumultuosi di austerity, disoccupazione, blocco dei sussidi, Hollande sembra troppo normale» ritiene Sybille, distribuendo il giornale satirico Siné Hebdo (frutto della scissione dal più famoso Charlie Hebdo). La rivista disegna Hollande legato a un palo. E, sulla torta del primo compleanno presidenziale, una candelina grossa quanto un candelotto di dinamite gli brucia le natiche. Tornando sull’affaire Cahuzac (l’ex ministro del rigore finanziario – nonché chirurgo arricchitosi col trapianto di capelli – cacciato dal governo per via d’un conto segreto in Svizzera) – il giornale ricorda che nella Francia della spending review, 590 miliardi se la son svignata in paradisi fiscali, 108 in Svizzera. E 271 miliardi, praticamente il budget statale, sono in mano a 500 grandi famiglie.
«Ma Hollande ha ormai adottato misure severe contro frodi fiscali e fuga di capitali» assicura Patrick Bloche, deputato socialista e sindaco dell’XI arrondissement parigino. Me lo indicano in strada alcuni attivisti che vendono «mughetto del PS» in buon vicinato con i venditori di «mughetto comunista». «Il crollo nei sondaggi» dice Bloche, «è dovuto a due fattori: primo la profondità della crisi che, al momento, non offre grandi margini di manovra per rilanciare la macchina economica. Secondo, la situazione che ci ritroviamo dall’epoca Sarkozy». La mala eredità delle amministrazioni precedenti. Vecchia storia. «Certo» ammette Bloch «qualche errore di comunicazione c’è stato. Quando la gente è inquieta, da un presidente vuole autorità più che normalità».
In effetti, buona parte dei sondati giudica Hollande un tipo onesto e abbastanza simpatico. Ma non gli riconosce competenza, polso, orientamenti chiari. «Oggi in Francia gli hollandofobi sono pochi» scrive Le Monde. Niente a che vedere con l’antipatia biliosa suscitata da Sarko. Eppure anche tra gli intellettuali cresce il disamore. Se non la desolazione. Storico, antropologo, demografo – Emmanuel Todd non è mai stato un catastrofista. Anche se ha preconizzato il crollo dell’Urss e dei vetero-regimi arabi («Ma quelle erano buone notizie! Profeta di sventure chi, io?»). Nel suo ultimo libro, Le mystère français, traccia la radiografia di una Francia Paese ricco, che «nel profondo non sta poi così male». Basti guardare all’indicatore natalità: ancora la più alta d’Europa. Anche effetto di uno Stato sociale forse troppo corpulento, ma pur sempre generoso. Ottimista critico – alla vigilia della vittoria socialista, Emmanuel Todd aveva puntato su un hollandismo rivoluzionario. Ora fa indietro tutta: «Non è un uomo all’altezza della drammatica svolta europea che stiamo vivendo. Da un lato la crisi del debito dimostra che le diseguaglianze si allargano e che ai vertici della società si sono accumulati troppi soldi che non servono a niente. Eppoi c’è l’euro: all’università ci hanno insegnato che la moneta deve facilitare la vita economica, mentre adesso assistiamo al contrario, l’intera economia mobilitata per servire, salvare la divisa unica. Hollande è prigioniero di questa logica, religiosa, di sacralizzazione della moneta». In più, «su temi quali la flessibilità del lavoro è più a destra della destra». Anti-sarkozysta integrale, Todd stima che quella del compassato Hollande sia «una finta calma. Del tutto in contraddizione con un’epoca agitata». A suo modo, l’elettrone Sarkozy «rispecchiava più fedelmente lo spirito del tempo». Prima delle elezioni, Emmanuel Todd disse: «Nessuna mezza misura è ormai possibile: una presidenza Hollande ci dirà se lui è un nano o un gigante». E oggi? «Oggi non lo si può accusare nemmeno di nanismo perché sarebbe un’unità di misura troppo grande. Siamo all’evanescenza totale».
Evanescenza del Potere di fronte a quelle fratture – disoccupazione, scandali, xenofobia – che qualche settimana fa spingevano Le Nouvel Observateur a titolare: Stanno tornando gli anni 30? Gli anni della massima rabbia contro la politica affaristica e castale; gli anni del fascismo alla française – in piazza con morti e feriti – urlando: Tutti marci! Poi venne il Front Populaire che – aumentando spesa pubblica e salari, diminuendo l’orario di lavoro a 40 ore (oggi 35 settimanali) e avviando le ferie pagate – resta mito sentimentale della gauche: «In soli 63 giorni Léon Blum fece passare 139 leggi per la società e l’occupazione!» ricordavano in piazza il Primo maggio.
A me ricordano invece di quando grande liturgia della Sinistra francese era la Montée au mur des Fédérés – la processione fino al muro del cimitero Pére-Lachaise dove nel maggio 1871 vennero fucilati gli ultimi comunardi. Ci vado. Sotto i gonfaloni, trovo radunate poche centinaia di persone. Ma sono quasi tutti massoni del Grande Oriente. Il compasso ricamato sulla fascia azzurra, le barbe impressionanti da liberi pensatori. Cantando L’Internazionale e, a chiudere, La Marsigliese, qualcuno del quale non sai più a che accidenti d’obbedienza appartenga, alza il pugno.
Marco Cicala