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 2013  maggio 10 Venerdì calendario

Solomeo non è un trequartista, ma l’Idea. Kant-Marco Aurelio-Socrate non è il tridente, ma sono gli ispiratori di Tutto

Solomeo non è un trequartista, ma l’Idea. Kant-Marco Aurelio-Socrate non è il tridente, ma sono gli ispiratori di Tutto. San Francesco e San Benedetto non sono stadi, ma l’Anima. Brunello Cucinelli, re del cachemire, ha fondato «un’impresa umanitaria nel mondo dell’industria», colorando quel prezioso tessuto come anni prima Benetton con la lana. Quella di Cucinelli è stata l’unica azienda italiana quotata in Borsa nel 2012, con un fatturato di 279,3 milioni e una capitalizzazione stimata in un miliardo e mezzo di dollari (secondo il Bloomberg Billionaires Index). Ora lui si affaccia - con lo stesso spirito filosofico - nel calcio professionistico. Con la squadra del suo borgo, Castel Rigone, frazione di Passignano sul Trasimeno, che ha vinto la serie D dopo una scalata iniziata nel 1998, anno di fondazione. Ieri. Lo stadio A meno di mezzora dall’uscita (Valdichiana) della A1 c’è un mondo incantato. Castel Rigone ha 406 anime, allo stadio - biglietti a un euro - vanno poco più di 50, ma è come stare in giardino: tribuna e panchine in legno, nessuno striscione pubblicitario («stanno male, e poi che servono?»), palestrina, bar. Sì, un giardino, a 800 metri d’altitudine, 8 chilometri di curve dopo l’uscita della superstrada per Perugia. La squadra finisce l’allenamento e arriva l’altra: quella degli amici di Cucinelli, che lottano, se le danno e si divertono. Lui è così: ha giocato (stopper) fino alla Seconda categoria, si è allenato con la squadra, adesso va in panchina. Partecipa: quest’anno ha cambiato due volte l’allenatore. E vive la partita: «Domenica, quando abbiamo battuto il rigore decisivo, la mia testa diceva: "Se lo sbaglia poto i cipressi e lo stadio è pronto. Se lo segna siamo nei professionisti, un mondo che non ci compete". Ma il cuore voleva il gol». E gol è stato. «Ora voglio uno stadio senza barriere: l’ho detto a Giovanni Malagò, il primo che mi ha chiamato, e anche a Ghirelli della Lega Pro». L’azienda Solomeo è a una ventina di minuti. Frazione di Corciano, è il suo quartier generale, un borgo trecentesco dove viveva la moglie e che lui ha ristrutturato in 23 anni, rilevandolo da una famiglia romana. Un gioiello. In alto c’è il castello, diviso in appartamenti rimasti tali con le signore che lavorano e controllano il cachemire. Come quando si cuciva e ricamava in casa. Di lato c’è la mensa, che pare un ristorante stellato: i dipendenti (oltre 700 qui, un migliaio in tutto) hanno un’ora e mezza di pausa pranzo e alle 17.30 staccano, «perché poi bisogna stare in famiglia. Anche alla domenica: per questo vogliamo giocare al sabato». Sotto ha costruito il teatro, altra sua passione, oggi con regolare stagione e grandi spettacoli, al termine dei quali ci si ritrova «per un biscottino e un po’ di vin santo a salutare gli attori. Una specie di terzo tempo, come nel calcio: agli avversari facciamo trovare la crostata. E in trasferta, dopo la partita laviamo lo spogliatoio e lo lasciamo pulito. Un segno di rispetto». I principi Il calcio di Cucinelli è grinta, botte e gomitate, ma con lealtà e rispetto: «Per colpa di un tifoso che ha insultato un arbitro di Napoli abbiamo preso una multa e perdiamo la Coppa Disciplina: mi è spiaciuto». Non è demagogia, una volta ha fatto mettere fuori rosa un giocatore che aveva sputato per terra: «In campo non tollero le proteste, le simulazioni: mai un nostro giocatore è stato espulso per questi motivi. La sconfitta insegna, "il dolore come maestro" diceva Sant’Agostino. Dico ai giocatori di pensare alla vita: adesso c’è la crisi, ma progettiamo, ripartiamo, tra dieci anni sarà un mondo bellissimo. Prima delle partite parlo alla squadra e ho visto ragazzi con gli occhi lucidi». Ha i suoi modelli: «Mi piace Montella, come Allegri e Guardiola: in panchina sono dei signori, molto eleganti. Non sopporto gli allenatori che allargano le braccia e protestano platealmente, o quelli che parlano con la mano davanti alla bocca». Il tifo Solo lui poteva avere Juve e Inter nel cuore: «Da ragazzo raccoglievo le olive e sentivo l’Inter alla radio, ricordo l’errore di Sarti e la sconfitta a Mantova. Sono diventato juventino per Agnelli, il numero uno, e per Causio, Bettega, Zoff. Ho abbandonato la Juve quando sono arrivati dirigenti che non facevano parte della mia cultura, ma ero a Perugia il giorno dello scudetto perso. Preferivo Moratti, forse perché perdeva sempre, ma dopo Calciopoli è tornata la Juve che piace a me. Io sono per gli atleti leali: Picchi, Scirea, Baresi. Non amo le esultanze esagerate, bisogna rispettare chi perde e ha preso gol: perchè fare un balletto o una sceneggiata? Bastano due pugni al cielo e via. Come Messi». E come Cruijff: «Mi ha voluto conoscere, è venuto da me: che serata fantastica, grande personaggio. Anche Mancini è venuto da me: dice che a Manchester fa freddo, gli ho dato qualche piumino». I giovani Gli amici non gli mancano. Quelli di Castel Rigone con la pancetta per le partite con pizza, e quelli in Serie A: «Siamo in un calcio pericoloso, dovremo mescolare un serio professionismo con un serio dilettantismo. Tanti presidenti di A mi hanno promesso un giocatore a testa. I contributi della Lega Pro? Non mi interessano, vorrei far crescere i ragazzi in campo e a scuola. Trovo sbagliato dare loro stipendi superiori a quelli dei miei operai». I quali hanno salari più alti del 20% rispetto alla media nazionale e a Natale hanno avuto in regalo parte degli utili della Borsa, 6.385 euro a testa: «Un premio della famiglia. Sulla causale del bonifico c’era scritto "per umana gratitudine". Ricorda: "Vivi come se fosse l’ultimo giorno della vita, ma progetta come se devi vivere per l’eternità". E’ di Marco Aurelio». Il filosofo imperatore, non il mediano.