Gian Luigi Paracchini, Corriere della Sera 10/05/2013, 10 maggio 2013
L’APOLLO IN CARDIGAN CHE RIVOLUZIONO’ LO STILE
Una vita può trovare il suo destino in una poesia, un’immagine, una canzone. Il destino di Ottavio Missoni è stato il filo di lana: inevitabile per chi ha corso una finale olimpica sui 400 metri e, da imprenditore immaginifico, ha ribaltato, colorato, nobilitato la storia della maglieria.
Perché nella moda, assieme all’inseparabile moglie Rosita, questo è stato Ottavio, anzi «Tai», Missoni: l’eversore delle trame lisce e scontate, l’anarchico architetto del punto a zig-zag, il «maestro del colore» come lo aveva soprannominato Balthus. Tanto da riuscire a rivoluzionare pure un capo maschile di granitica conservazione come il pullover, soprattutto il cardigan. Come ha insegnato per tanti anni Nino Manfredi, primo affezionato testimonial nonché suo grande amico, a prescindere dall’aver ostentato fedelmente l’opera omnia del marchio.
Sulla storia del filo, a parte l’aver scritto un libro (con Paolo Scandaletti, Una vita sul filo di lana, Rizzoli), Ottavio amava scherzare anche qui senza mai rinunciare alle inflessioni istriano-euganee («ti g’hà capio?»), convertite a un’ironia che lo ha seguito fino all’ultimo crudele capitolo del figlio scomparso. «Dormir xè la cossa più bela del mondo», garantiva nelle interviste-show eleggendo il cuscino a suo simbolo più rappresentativo. E a riprova raccontava d’essersi perfino addormentato, «perché stanco ma non morto», sotto le bombe inglesi di El Alamein.
Che Ottavio fosse nato (l’11 febbraio 1921, a Ragusa ora Dubrovnik) predestinato ad affascinare, lo aveva presto capito da come la mamma Teresa dei conti di Sebenico, gliele desse tutte vinte nonostante la sua pervicace renitenza allo studio. Il papà Vittorio? Capitano di lungo corso, quindi sempre per mare.
Infanzia e adolescenza spesa a Zara acchiappando polipi con le mani e piazzando le prime irresistibili falcate nei campi e per strada. Poi l’Arena di Milano, sedicenne e la maglia azzurra della nazionale («nesun mai zoven come mi!») con cui a Parigi batte i francesi nella staffetta dei 400.
Avrebbe voluto fare le Olimpiadi ’40 e ’44 ma la guerra le cancella entrambe e invece della tuta gli tocca la divisa kaki, addetto alla telefonia di collegamento, fronte africano. Quando «dopo 4 anni prigioniero-ospite di Sua Maestà britannica» torna, è talmente magro che la bora triestina lo fa sbandare. A Milano incontra fotografi, artisti, attori come Mulas, Morlotti, Buazzelli, diventa amico di Gianni Brera che lo soprannomina «Ottavio figlio d’Apollo» e fa perfino girare la testa a Lucia Bosè poco prima che diventi Miss Italia («Era bello come un dio!»).
Per una promessa dell’atletica saltare due Olimpiadi e presentarsi alla terza, dopo 4 anni di fame non è il massimo ma Londra ’48 sarà per lui comunque un trionfo perché oltre a correre la finale dei 400 metri, incontrerà tra tifose plaudenti e già innamorate, la sedicenne Rosita Jelmini da Golasecca (Varese).
Una piccola esperienza di maglificio con un ex atleta-amico e soprattutto il fatto che i genitori della signorina siano industriali tessili agevolano le scelte per il futuro. Nel ’53 si va a nozze, quindi fabbrichetta a Gallarate e infine a Sumirago, attuale distintivo della famiglia.
Nel ’58 il successo dello spigliato abito «Milano Simpathy», presentato alla Rinascente. Nel ’68 il nude look (in realtà soltanto fasciato e trasparente) di clamorosa risonanza nella collezione a Palazzo Pitti. Poi i complimenti pubblici di Diana Vreeland, mitica direttora di Vogue e una galoppata che spingono Ottavio e Rosita nella serie A dello stile Made in Italy.
Missoni veste opere liriche come Lucia di Lammermoor, film, festival, tappeti rossi. Consequenziale che Arnold Schwarzenegger fondi in California un Missoni Fan Club.
Gradualmente in azienda entrano i figli Vittorio, Luca e Angela che hanno regalato loro 9 nipoti contribuendo ad allargare un clan allegro, sufficientemente unito e lontano dagli abituali standard di capricci e frenesie modaiole.
Per Tai, «Figlio d’Apollo» il 2013, che avrebbe dovuto celebrare i 60 anni di matrimonio con la ragazzina incontrata a Londra, è cominciato orribilmente. E purtroppo è finito presto.
Gian Luigi Paracchini