Donatella Bogo e Franca Porciani, Sette 10/5/2013, 10 maggio 2013
POVERO VECCHIO LIBRO. MA SI SORREGGE ANCORA. COSÌ
Alle 7 di sera di un lunedì qualunque le sale sono affollate come un locale di tendenza all’ora dell’happy hour. C’è una ragazza, seduta in un guscio di vimini appeso al soffitto, immersa tra le pagine di un ponderoso saggio. Ci sono un gruppo di studenti attorno a un tavolo alle prese con appunti e volumi di chimica, un signore in poltrona che sfoglia un giornale, un ragazzo che scrive, alcune signore che conversano a bassa voce per commentare il testo che ciascuna ha tra le mani. E un via vai continuo di persone che salgono le scale del seicentesco Palazzo Graneri della Roccia e buttano l’occhio in ogni stanza in cerca di una sedia, una poltrona o un divanetto dove sedersi a leggere. Perché qui, al Circolo dei lettori di Torino, nel menu dell’happy hour non ci sono solo patatine e stuzzichini. Ci sono soprattutto i libri.
Nato nel 2006 da un’idea di Antonella Parigi, che ne è l’anima e il direttore, il Circolo è diventato in pochi anni un centro di aggregazione di persone e di idee, con una variegata offerta di incontri con autori, dibattiti con esperti, gruppi di lettura, confronti con premi Nobel, corsi, tavole rotonde, proiezioni. In un Paese dove – secondo i dati del Rapporto sulla promozione della lettura in Italia elaborati dall’associazione Forum del libro – nel 2012 solo il 46 per cento degli italiani ha dichiarato di aver letto almeno un libro nel corso dell’anno (contro il 61,4 degli spagnoli, il 70 dei francesi, l’82 dei tedeschi), l’esperienza torinese fa riecheggiare una nota di speranza nel panorama non certo roseo dell’editoria. Un settore che meglio di altri sta affrontando la crisi, ma deve registrare, nei primi nove mesi del 2012, 4 milioni in meno di libri venduti e un calo del fatturato dell’8,7 per cento. Cifre tutto sommato contenute, se si considera la generale congiuntura economica di questi ultimi anni, ma che preoccupano gli addetti ai lavori perché per la prima volta il mercato editoriale si allinea al calo generalizzato dei consumi, mentre un tempo si continuava a comprare e leggere libri anche quando le altre spese si contraevano.
Eppure l’esempio di Torino e del suo Circolo dei lettori sembra dimostrare due cose: anche se si vendono meno libri, la lettura resta tra i desideri primari; il lettore non è un lupo solitario: se il Circolo è rimasto aperto negli anni ed è cresciuto nel numero delle iniziative e delle presenze è perché nei primi tre mesi di apertura, che erano il “periodo di prova”, è stato frequentato da oltre 100mila persone.
L’incontro per affinità. Forse, allora, come pensa Antonella Parigi, serve creare spazi dove il lettore, anche quello potenziale, possa incontrare altri come lui. «Credo fermamente che uno degli obiettivi di chi fa cultura sul territorio sia creare luoghi che rendano possibile l’incontro per affinità. Il libro è un pretesto per creare confronto», spiega. «Per noi il lettore non è solo il fruitore passivo del libro, ma un soggetto attivo in un rapporto di scambio di esperienze».
In realtà, spazi e iniziative dedicati a libri e lettura, sia pubblici sia privati, in Italia non mancano. Anzi. Tra festival, fiere, manifestazioni letterarie, giornate dedicate al libro, premi e presentazioni di novità editoriali, le occasioni per i lettori di trovare pane per i loro denti non mancano. E infatti non se le fanno scappare, dato che le presenze che si registrano in ognuno di questi eventi sono sempre numerose. Basti l’esempio, uno per tutti, del Salone internazionale del libro di Torino, che proprio in questi giorni (il 16 maggio, fino al 20) inaugura la sua ventiseiesima edizione e dal 1988, anno di nascita, a oggi è passato da 553 espositori a oltre 1.200, qualificandosi come punto di riferimento imprescindibile non solo per gli operatori ma anche per i lettori. Un’indubbia ragione d’orgoglio per Ernesto Ferrero, che del festival è direttore dalla sua prima edizione, il quale tuttavia sottolinea un paradosso: «Si registra un calo delle vendite, ma non una calo della lettura, perché se si svuotano le librerie, si riempiono le biblioteche. Vero è anche che nel nostro Paese l’editoria ha sempre campato grazie ai cosiddetti lettori forti, uno zoccolo duro che però non si è mai riusciti ad allargare in maniera significativa». Qualche idea per conquistare i lettori deboli? «Il compito di educare alla lettura non dovrebbe toccare agli editori, ma alla famiglia e allo Stato. Perché credo si debba partire dal primo anello della catena, i bambini. Noi da anni sosteniamo il progetto “Nati per leggere” che punta su iniziative di lettura ad alta voce a piccoli in età prescolare per inculcare nel bambino il piacere del racconto. È questo il momento in cui avviene il big bang della lettura. Secondo passaggio importante è quello scolastico. Gli insegnanti dovrebbero scegliere con attenzione i testi su cui impegnano i ragazzi, prediligendo quegli autori che riescono ad accendere passioni intellettuali, piuttosto che ingabbiare gli studenti, come spesso avviene, in esercizi francamente un po’ afflittivi. Se avessi poteri decisionali ingaggerei bravi divulgatori; penso a gente come Alessandro Baricco, Valerio Massimo Manfredi, Philippe Daverio, e li manderei nelle scuole a stimolare le curiosità dei giovani per trasformarle in passioni. L’esperienza positiva c’è già: tra i premi che il Salone assegna agli autori, da anni ce n’è uno che prevede che il vincitore per una settimana visiti le scuole del Piemonte per parlare con i ragazzi, ai quali abbiamo preventivamente fornito una preparazione sull’autore e sugli argomenti che tratta. In conclusione, ogni volta che si dà lo stimolo giusto la risposta è straordinaria».
La risposta Ferrero la trova ogni anno al Salone, «con un pubblico sempre più numeroso che dimostra quanto sia forte non solo il bisogno di leggere, ma anche di confrontarsi. E che ci avverte che c’è bisogno di una politica diversa», dice. Da parte delle istituzioni, ma anche di editori e librai: «In Italia si editano circa 64mila titoli l’anno. Tantissimi. Il risultato è che andare in libreria richiede un certo impegno per districarsi tra i titoli offerti e soprattutto il lettore meno avvezzo davanti a quell’offerta smisurata potrebbe sentirsi smarrito. Bisogna produrre meno e meglio», conclude.
La formula degli abbinamenti. Se oltre a stimolare la lettura si vuole anche conquistare acquirenti di libri (perché le due cose, come abbiamo visto, non vanno necessariamente di pari passo), tocca ai librai aguzzare l’ingegno. Da anni assistiamo a una trasformazione dei punti vendita, soprattutto quelli delle grandi catene, che prima hanno aggiunto alla loro offerta l’organizzazione di eventi e incontri con gli autori, poi hanno allargato la gamma dei prodotti a dischi e oggetti di tecnologia, in seguito hanno organizzato all’interno dei negozi una caffetteria e ora sono approdate alla commistione totale tra libro e cibo proponendosi come librai-ristoratori. È una tendenza già diffusa, che vede come capofila l’impero Feltrinelli, 106 librerie in tutta Italia, che con i punti vendita Red (acronimo di read, eat, dream, ossia leggi, mangia, sogna) ha dato il via, prima a Roma (luglio 2012), poi a Parma (dicembre 2012) e a breve (giugno) a Milano alla nuova formula che accanto alla consueta offerta di libri propone l’esperienza gastronomica con un ristorante vero e proprio. «È la nostra risposta alla crisi», dice Stefano Sardo, amministratore delegato delle Librerie Feltrinelli. «Non pensiamo sia l’unica possibile, ma è una formula che a noi sta dando soddisfazioni. Nella crisi che il mercato editoriale sta vivendo individuiamo due componenti: una generale, dettata dalla situazione economica, e un’altra, che incide certamente meno, ma è importante perché sta cambiando il volto del mercato, ed è il digitale, che interessa soprattutto la popolazione più giovane, e quindi i nostri acquirenti del futuro. Non intendo il digitale come concorrenza diretta, perché per il momento si tratta di un mercato ancora marginale (sotto il 5 per cento del mercato, ndr), ma come una realtà che sottrae ai giovani l’interesse per la lettura e a noi non solo possibili lettori-clienti, ma anche consumatori di musica, che ormai i ragazzi non cercano più nei negozi, ma in Rete. Quello che il digitale non soddisfa è il bisogno di incontro, perché i social network creano solo comunità virtuali». Meno libri venduti a causa della crisi, meno dischi e tecnologia per via degli acquisti in Internet, ma bisogno di socialità. Da qui all’idea del ristorante il passo è meno lungo di quel che sembra. «Vogliamo che i nostri negozi diventino come delle agorà dove la gente si incontra e si confronta», anche grazie alla convivialità e la socialità che una tavola imbandita sa dare. «Molti ragazzi vengono alla Feltrinelli anche solo per studiare insieme. Ma in questo modo tornano in contatto con i libri. A Parma, rispetto alla libreria che avevamo prima, le vendite di libri sono aumentate del 30 per cento», conclude Sardo.
Scettico su queste commistioni “consumistiche”, Alberto Galla, presidente dell’Associazione italiana librai e proprietario del-l’antica – nata nel 1880 – libreria omonima a Vicenza, che però da due anni ha ceduto (anche lei) all’idea di un angolo caffetteria. «Sono mestieri molto diversi, non è detto che l’abbinamento fra i due business funzioni», dice Galla. «La libreria deve essere uno spazio di scambio, di vita sociale, ma non è scontato che trovare qualcosa da mangiare la renda più attrattiva».
Eppure la vendita del cibo legata al libro ha avuto successo anche in librerie indipendenti – sono il 30 per cento – di cui è ben noto l’attuale stato di crisi, strangolate dalla politica del prezzo scontato, punto di forza delle grandi catene. È il caso di Liberrima, elegante, storica libreria nel centro di Lecce che ha avviato con successo l’esperimento del “cesto letterario”. Racconta il suo fondatore Maurizio Guagnano, che è anche responsabile dei rapporti con gli editori dell’Associazione italiana librai: «L’iniziativa è partita nel 2008 sull’idea che il cliente possa comporre o ordinare (anche online) un “cesto”, dove le specialità del Salento si accompagnano a libri di ricette e di storia della regione, ma anche a narrativa o saggistica. Il successo è stato immediato e regge tuttora, nonostante la crisi. Io credo molto nella libreria come presidio culturale del territorio e il cesto è frutto delle tradizioni di questo territorio. Al tempo stesso promuoviamo incontri, corsi di vario tipo, concerti. L’ubicazione della libreria in una piazzetta, nel cuore della città, ci aiuta a farne uno spazio “diffuso”, come si dice oggi».
Le scelte delle indipendenti. Su tutt’altra lunghezza d’onda Marcello Ciccaglioni, il “signore” delle librerie indipendenti in Italia, a capo delle catena Arion (una ventina di punti vendita, tutti a Roma), che dopo l’esordio con un banchetto di libri in piazza Esedra e una ascesa alla Frank Capra è approdato a un impero con 130 dipendenti: «Credo nella libreria come crocevia di saperi e nel libraio come operatore culturale in grado di scegliere e di consigliare i lettori. Non vedo che cosa c’entri il cibo con tutto questo. Io mi muovo sulla formazione oculata dei miei collaboratori e se devo puntare su incentivi, li scelgo di tutt’altro genere. Nella nostra libreria al Palazzo delle Esposizioni, per esempio, offriamo un coupon per la mostra di Helmut Newton. Secondo me, i libri si vendono con una politica che è l’esatto contrario di quella attuata dai megastore. Ovvero offrendosi come guida, come fonte di orientamento per i lettori e diversificando l’assortimento dei titoli a seconda delle realtà di quartiere: le librerie nei centri commerciali non possono avere gli stessi titoli di quella a Montecitorio».
Forse queste idee chiare sono la ragione per cui in Italia le librerie indipendenti, pur provate dalla crisi, reggono. Ne è sicura Laura Ligresti, titolare della Libreria del mondo offeso di Milano che di recente ha traslocato dal cuore di Brera a un quartiere non lontano, ma non ha cambiato la sua impostazione; né si è arresa. «Nella mia libreria» dice «non sono in prima linea gli autori “televisivi” sostenuti dagli opinion leader ospitati quotidianamente nei vari talk show televisivi e radiofonici o nei contenitori domenicali, ma quelli meno noti al pubblico, gli esordienti. Questa scelta ci ha portati a diventare un piccolo club frequentato dagli stessi lettori, che sono comunque nell’ambito di quelli “forti” (chi compra dai 10 ai 12 libri all’anno)». Una scelta apparentemente di élite, ma condivisa da altri piccoli librai in Italia, a Modica come a Milano, il cui successo sembra dare ragione a Ciccaglioni quando sostiene che è il libraio, la sua competenza, la sua passione a fare la differenza. Conferma Lucio Morawetz, titolare della libreria Utopia, anche questa fresca di trasferimento dal cuore di Milano a una zona decentrata: «La nostra è una libreria storica, nata nel 1977 come espressione del movimento anarchico milanese, e tuttora le nostre scelte sono rivolte alla saggistica filosofica e politica. La crisi c’è, ma siamo convinti che la capacità di orientare il lettore sia una risorsa importante; cerchiamo di leggere i libri che consigliamo, anche se si fa fatica; ne escono troppi».
I caffè letterari. Una strategia ancora diversa, che punta sulla libreria come luogo di incontro, è quella di alcune nuove caffetterie-librerie nate a Firenze, che sembrano ricostruire un ponte con la tradizione dei caffè letterari, i mitici le Giubbe Rosse o Paszkowski, tanto per citare due fra i più famosi. Se questo ponte con il passato si stia ricreando non è certo; è sicuro, invece, che questi luoghi hanno successo. La Libreria della Cité ha dalla sua un quartiere non snaturato dal turismo, quello di San Frediano dove ci sono ancora artigiani e piccoli negozianti, l’orario fino all’una di notte (le due nei festivi) e l’offerta di una caffetteria. Ma riesce a vendere i libri? Pare di sì, stando a quanto raccontano i sei soci che l’hanno creata nel 2006, provenendo da professioni completamente diverse. «Tra di noi c’è un musicista, un’antropologa, una fotografa e altro ancora», racconta Natalia Bavar, uno dei soci; «nessuno di noi aveva fatto prima di allora il librario. Abbiamo avuto l’idea di creare una piccola isola culturale, uno spazio polivalente dove fosse possibile riunirsi, leggere. Ha funzionato anche perché la consumazione non è obbligatoria: gli studenti stanno qui quanto vogliono. Però alla fine i libri si vendono».
Si vendono più di quanto si creda se è vero che la crisi ha ridotto il mercato del libro ma non in modo catastrofico, come sottolinea Giovanni Solimine, professore di Biblioteconomia all’Università La Sapienza di Roma e presidente del Forum del libro, l’associazione composta da editori, librai, insegnanti, nata nel 2006, che a metà marzo ha pubblicato il Rapporto sulla promozione della lettura. «I primi dati di vendita del 2013 rivelano un calo contenuto rispetto al crollo di altri settori, quello dell’abbigliamento, per esempio», dice Solimine. «Certo è che oltre ai librai bisogna che crescano le iniziative di promozione della lettura. Il Piemonte è un esempio virtuoso, la regione dove negli ultimi anni la vendita dei libri è aumentata maggiormente. È accaduto perché allo storico Salone del libro a Torino si sono affiancate molte altre iniziative, i Portici di carta, per esempio, anche questa nel capoluogo piemontese, è la più grande area di vendita di libri all’aperto arrivata già alla sesta edizione con 174 bancarelle dislocate nel centro della città, ma anche piccole manifestazioni come la Pralibro nel tempio valdese di Prali, o LetterAltura sul Lago Maggiore». Il successo di queste manifestazioni è straordinario: basta pensare che il Festival della filosofia di Modena registra in media 100.000 presenze, ma nel 2012 ha superato le 150.000. Come mette bene in evidenza il Rapporto, nonostante le tante/troppe polemiche sul loro carattere effimero e una “supposta” natura elitaria, i festival oltre a essersi rivelati fonte di un buon business (due o tre volte quello che è stato investito, in media), sembrano funzionare anche come promozione della lettura, più dei premi letterari, quelli davvero confinati a un’élite. E accanto alle grandi manifestazioni, ormai collaudate, prima fra tutte il Festivaletteratura di Mantova, hanno buone ricadute anche gli appuntamenti in piccoli centri come I Dialoghi di Trani o l’Isola delle storie, a Gavoi, vicino a Nuoro, nel cuore della Barbagia.
Un fenomeno in ascesa. «Evidentemente questi eventi danno un senso di partecipazione ed è straordinario che, oltre a garantire un ritorno economico, creino lettori abituali», commenta Giuseppe Laterza, unico fra gli editori a essersi lanciato con entusiasmo in questo campo, ideando nel 2006 il Festival dell’economia di Trento e nel 2008 quello del Diritto di Piacenza, di cui è presidente Stefano Rodotà. «Si tratta di un fenomeno serio che rivela un’Italia diversa da quella descritta di solito. Non a caso, nonostante la crisi, continuano a fiorire nuovi festival culturali, siamo arrivati a 1.200 circa con oltre 9 milioni di presenze, e quelli esistenti aumentano i visitatori ogni anno; c’è fidelizzazione». Per quanto riguarda i letterari, l’Associazione italiana editori nel 2005 ne censì 193. Mancano però dati affidabili su quanto questi eventi influenzino gli indici di lettura e la vendita dei libri.
Una cosa è certa: sotto il profilo economico sono un buon investimento. Un’analisi in proposito è stata presentata di recente a Torino al convegno “Le città del libro” da Guido Guerzoni, docente di Management delle istituzioni culturali all’Università Bocconi di Milano che nel 2007 ha realizzato Effetto Festival (messo gratuitamente in Rete), il primo testo in Italia che cerca di definire i criteri per le analisi di impatto economico di queste manifestazioni, materia nota in altri Paesi, quasi sconosciuta da noi. «Facciamo qualche esempio: il Festival dell’economia di Trento edizione 2010 a fronte di un investimento di 747.000 euro ha prodotto ricavi per 1.929.000, ma anche un evento sofisticato come quello della Mente di Sarzana, già nel 2007, a fronte di un investimento di mezzo milione di euro ne ha portati a casa quasi quattro», informa l’esperto. «Per quanto riguarda i libri, dall’ultima analisi che ho realizzato (promossa dalla Fondazione Florens, ndr) coinvolgendo 37 manifestazioni culturali, pubblicata nel 2012, emerge che le vendite dei libri sono in forte crescita rispetto al 2009 in questi eventi. Dei 14 festival che sono stati capaci di quantificare il giro di affari del proprio bookshop, 4 hanno registrato vendite comprese fra le 1.000 e le 3.500 copie e due hanno sfiorato le 12.000».
Tutto questo nonostante la crisi epocale che stiamo vivendo e lo scarso sostegno delle istituzioni: su 37 festival soltanto il 41,7 per cento ha ricevuto fondi pubblici.
i numeri dell’editoria in Italia
2.225
case editrici
Le grandi coprono il 13,6% dei titoli pubblicati, le piccole e medie l’80,4%.
3,3
miliardi di euro Il fatturato annuo complessivo del settore (anni 2011 e 2012).
12,6
milioni di euro
Il fatturato degli ebook nel 2011, lo 0,38% del
mercato complessivo.
Gli effetti della crisi nel 2012
-4
milioni di copie
È la perdita di vendite nel 2012. Il 2011 aveva registrato -1,7 milioni.
-9%
il calo della produzione
27.000 titoli nei primi 5 mesi, contro i 29.900 dello stesso periodo 2011.
+59%
la crescita dell’ebook
Nei primi sei mesi del 2012 il segmento ha raddoppiato le vendite.
e nei primi mesi 2013 (indagine su campione di 18 librerie)
-6,13%
nelle vendite complessive
Il peggioramento è progressivo da gennaio a marzo.
-8,22%
nella “varia”
Per le librerie che trattano saggistica e narrativa.
-4,6%
nella “mista”
Per le librerie che trattano saggistica, narrativa e scolastica.