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 2013  maggio 10 Venerdì calendario

IL NUOVO GOVERNO VI SALVER

[Colloquio con Martin Schulz] –
Brillano gli occhi a Martin Schulz, 58 anni, quando parla di «Italia». «L’Italia», dice il socialdemocratico presidente del Parlamento europeo, «è un Paese molto forte. Avete superato crisi che avrebbero messo in ginocchio noi tedeschi». Silvio Berlusconi il 2 luglio del 2003 a Strasburgo gli diede del «kapò», un’offesa difficile da digerire. «Ma una cosa è Berlusconi, un’altra il Pdl. Al giuramento del governo Letta ho tirato un sospiro di sollievo», confessa in questa intervista a “l’Espresso”. Nella quale punta l’indice contro il governo di Berlino: «La cancelliera Angela Merkel è troppo fissata con la politica del rigore».
Non crede che la politica del risparmio a tutti i costi sia finita per sempre?
«Lo spero. Da anni il Parlamento europeo rivolge alla Commissione e al Consiglio dell’Ue l’appello a smetterla con la politica così a senso unico dei tagli ai bilanci statali»
Il governo tedesco non ha ascoltato gli appelli.
«Abbiamo bisogno del consolidamento dei debiti. Ma è altrettanto evidente che nessun paese si può stabilmente riassestare senza maggiori entrate fiscali. Quindi austerità e crescita sono due lati della stessa medaglia».
Resta ora da vedere quanto sarà flessibile la sovrana di Berlino.
«Angela Merkel conosce le tendenze di oggi in Europa. Non a caso ha lanciato la proposta di interessi più alti per la Germania».
Nel Sud d’Europa la disoccupazione fa paura e le città bruciano. Tutta colpa della Merkel?
«No, uno dei fattori che ha accelerato la crisi è che lo Stato, in molti Paesi europei, ha smesso di essere investitore attivo».
Propone un ritorno a Keynes?
«Ogni euro investito dalla mano pubblica stimola i privati a investirne due o tre. Se abbattiamo gli investimenti statali, strozzando i crediti a piccole e medie imprese, si genera crisi. Ora occorre reagire».
Come? A forza di sovvenzioni statali?
«Lo Stato deve dimostrarsi investitore capace. E a livello europeo dobbiamo facilitare l’accesso ai crediti alle medie imprese in Spagna, Portogallo e Italia. Riforme che da tempo avremmo dovuto avviare. Per fare un esempio, il governo Merkel stanziò 5 miliardi nel “premio di rottamazione” per agevolare l’acquisto di nuove auto. Così facendo abbiamo salvato non solo le quattroruote ma la stessa azienda-Germania».
Quanto è costato questo intervento?
«Il debito è salito dal 62 a oltre l’80 per cento del Pil. Quindi nemmeno la Germania rispetta il criterio del 60 per cento del debito e non riesco a capire perché si ostini a impedire ad altri di ricorrere agli stessi strumenti».
Ma ora, diceva, la Merkel cambia linea.
«Data la netta posizione del Parlamento europeo, del governo di Parigi guidato da François Hollande e di Roma non le resta che accettare compromessi ».
Fino a che punto? Il tetto del 3 per cento del deficit, ad esempio, va rivisto o no?
«In una fase in cui Usa e Giappone pompano denaro sui mercati al di là di ogni rischio d’inflazione, anche in Europa bisogna gestire i debiti sovrani con più elasticità».
Cosa intende per “elasticità”?
«Se il Giappone ha un debito oltre il 200 per cento, dovremmo essere in grado di accordare a Portogallo, Spagna e Italia una finestra di tempo più larga per risanare i debiti».
Sarà il sano pragmatismo, non i patti fiscali, a salvare l’Italia?
«L’Italia è un paese che vanta imprese con grandi tradizioni e capacità creative. La vostra Emilia non ha nulla da invidiare in innovazione alla nostra valle del Neckar, il cuore della regione Baden-Württemberg».
Però se colossi come Audi si prendono Ducati o Lamborghini il made in Italy ha un problema.
«Ogni volta che sono in Toscana, il mio amico Enrico Rossi mi ripete lo stesso messaggio dei manager di Bologna o Milano: le nostre imprese hanno fiumi di idee, ma bisogno di crediti. Ecco, le banche devono fare ciò per cui son state fondate: far circolare l’euro, dare fiato agli investimenti e lavoro ».
Solo i tedeschi hanno approfittato dell’euro?
«No. Anche l’Italia e altri Paesi lo hanno fatto. È grazie all’euro se l’Italia ha tenuto sotto controllo l’inflazione generando per anni buone quote di crescita».
Perche allora il Belpaese è in coma?
«L’Italia ha avuto per anni un governo che ha esercitato una politica espansiva nel settore pubblico riducendo al contempo il carico fiscale. E alla fine il premier Silvio Berlusconi ha detto che il suo governo non era responsabile della crisi né dell’aumento dei debiti. Non è certo l’euro la causa della crisi».
Ma l’euro è una valuta stabile?
«L’euro è forte. Sono le disparità economiche a indebolire l’eurozona. Ed è interesse della Germania riassestare gli squilibri nella Ue».
L’euro è un destino o, come dice il poeta Enzensberger, si viveva bene anche senza?
«Per il passato avrà ragione Enzensberger. Oggi però senza l’euro vivremmo peggio. È stato stimato che reintrodurre il marco costerebbe 2 mila miliardi. Senza contare i disastri sociali di un fallimento dell’euro».
Beppe Grillo dice che l’ Italia è già fuori dall’eurozona. Può fallire l’Italia, e l’euro no?
«Credo nell’Italia, ne sono sempre stato affascinato. Credo alla vostra grande fantasia e anche alla forza della vostra economia. Grillo deve decidersi: vuole che l’Italia si riprenda o che il suo partito cresca? Se si ha il 25 per cento dei voti bisogna assumersi certe responsabilità. Dovrebbe prendere esempio da Gerhard Schröder per il quale fare politica significava pensare prima al bene del Paese, e poi a quello del partito. Ha perso il potere per questo, ma le sue riforme hanno portato la Germania molto avanti».
Una Grosse Koalition può funzionare in Italia?
«In Germania ogni governo deve confrontarsi con la Camera dei Länder. In quanto sistema federale siamo costituzionalmente basati sul consenso e sul compromesso».
Queste virtù sono esportabili in Italia?
«Di fatto ora in Italia c’è una Grosse Koalition al governo. E con una maggioranza per realizzare le riforme del paese. Era questo che mancava al governo Monti».
A Monti mancava la maggioranza o la legittimazione?
«Monti ha il merito d’aver ridato ai mercati la fiducia nell’Italia, e una certa serietà alla vostra politica. Ma i governi vivono della legittimazione popolare, in tal senso il governo Letta poggia su una base migliore del precedente».