Giovanni De Luna, l’Espresso 10/5/2013, 10 maggio 2013
DOVE SBAGLIA LUZZATTO
"Partigia", di Sergio Luzzatto, di cui l’autore ha parlato con "l’Espresso" (numero 17), è dedicato alla brevissima esperienza nella Resistenza vissuta da Primo Levi nel dicembre 1943, prima della cattura e della deportazione ad Auschwitz. In quel periodo, la sua piccola banda (12 membri in tutto) condannò a morte due giovanissimi partigiani, accusati di intemperanze nei confronti della popolazione. Da un lato, quindi, Primo Levi e la sua biografia; dall’altro Fulvio Oppezzo e Luciano Zabaldano, le vittime della sentenza partigiana. Il racconto oscilla tra questi due poli ed è complessivamente irrisolto, quasi che Luzzatto sia rimasto a metà del guado tra due libri e due progetti diversi: voleva farsi biografo di Primo Levi, esplorandone un sorta di lato oscuro; voleva farsi storico della Resistenza, studiandone le contraddizioni e sottraendola alla monumentalità delle varie vulgate. Ma il libro non è riuscito né in un senso né nell’altro.
La grandezza di Primo Levi come testimone della Shoah e interprete del cuore nero del Novecento non viene scalfita. E la storia della Resistenza si riduce a una cronaca minuta di eventi, a un elenco di personaggi, senza mai incidere sui nodi del dibattito storiografico che si è consolidato intorno a quelle vicende. Proprio i mesi studiati da Luzzatto sono decisivi, ad esempio, per svelare il "mistero" del passaggio dall’esiguità della cospirazione antifascista negli anni del regime alle attive minoranze di massa protagoniste della lotta partigiana. All’interpretazione di chi ha rivendicato il peso decisivo assunto dai partiti nell’organizzazione delle prime bande, se ne è contrapposta un’altra che ha insistito sulla spontaneità di quegli esordi resistenziali, sottolineando il peso delle scelte individuali che avevano accompagnato la decisione di prendere le armi e andare in montagna. La piccola banda di Levi era il frutto di questa spontaneità, dell’improvvisazione di chi doveva "inventare" da zero la lotta armata, sfidando uno dei più potenti eserciti del mondo. Senza un adeguato contesto interpretativo, i partigiani di Primo Levi appaiono solo come degli ingenui sprovveduti e la casistica proposta da Luzzatto resta muta: a un episodio se ne può opporre un altro, di segno opposto, allora, quando la Resistenza stava per nascere, e dopo, quando nella resa dei conti del 25 aprile, per ogni fascista ammazzato ce ne fu uno risparmiato; e i secondi superarono di gran lunga i primi.
Con qualche ironia Luzzatto si dilunga sull’unica impresa partigiana di Primo Levi, il recupero di una pistola, una sola pistola. Ma quell’episodio può essere moltiplicato per mille e chi ha studiato la Resistenza sa la sua importanza in una fase in cui i partigiani avevano un disperato bisogno di armarsi: chi era in grado di farlo, assaliva le caserme dei carabinieri e dei presidi fascisti, si impadroniva delle armi abbandonate dall’esercito dopo l’8 settembre; gli altri si arrangiavano come potevano. Fu così per tutti i primi mesi, quando, in attesa dei lanci degli alleati, quella del recupero delle armi fu l’attività prevalente delle bande.
In questo suo essere prigioniero della cronaca è stata ravvisata una certa somiglianza con il "revisionismo" di Giampaolo Pansa. Ci sono nel libro altri elementi in questo senso: i ricordi di Pansa bambino ( che costituiscono l’incipit dei suoi volumi dedicati prima alla Repubblica di Salò poi alla Resistenza) si specchiano in quelli di Luzzatto bambino che danno origine alla sua ossessione per la lotta partigiana e che sono messi all’inizio anche del suo libro; come Pansa, Luzzatto si fa accompagnare nelle sue ricerche e negli incontri con i testimoni da una giovane studiosa con cui dialoga per rendere più efficace il racconto. Ma Luzzatto non è Pansa. Il suo cipiglio accademico resta quello dello storico, così come l’imponenza dei suoi apparati critici e il suo scrupolo filologico. E il suo pubblico non potrà mai essere quello di Pansa. È un pubblico che non ama i libri irrisolti; li vuole schierati e con tutte le certezze che si annidano negli stereotipi e nei luoghi comuni.