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 2013  maggio 10 Venerdì calendario

UN NUOVO COLPO DI SPUGNA

La corruzione in Italia è un flagello per le casse pubbliche, una zavorra per l’economia privata, un cancro per la società civile e la democrazia. Eppure l’emergenza malaffare sembra scomparsa dall’agenda politica. Vent’anni dopo Tangentopoli, le ruberie continuano e i cittadini hanno visto approvare solo leggi contro le procure, non contro la corruzione. E ora i magistrati temono che perfino una nuova leggina, varata mentre infuriava lo scandalo dei tesorieri ladroni della Lega, possa nascondere un cavillo salva-Bossi. Anzi, un colpo di spugna utile a tutti i passati, presenti e futuri mariuoli della Casta.
Il presidente Giorgio Napolitano, inaugurando il secondo mandato al Quirinale, aveva usato parole severe. Si era rivolto ai «corresponsabili del diffondersi della corruzione nelle diverse sfere della politica e dell’amministrazione», avvertendoli di non tentare «alcuna auto-indulgenza». Il premier Enrico Letta, nel suo discorso d’insediamento, ha però dedicato alla giustizia solo tre righe: 37 parole su quasi 6 mila che ha pronunciato. Ha parlato di corruzione «che distorce regole e incentivi», collegando la certezza del diritto alla possibile ripresa dell’economia, senza accenni alla questione morale. In questo contesto venerdì 3 maggio all’università Statale di Milano si è tenuto il dialogo de "l’Espresso" sulla lotta alla corruzione, introdotto dal direttore Bruno Manfellotto e dal rettore Gianluca Vago, con interventi del professor Nando Dalla Chiesa, di Roberto Andò, regista di "Viva la libertà", e di due professionisti delle indagini: Piercamillo Davigo, cervello giuridico dello storico pool Mani Pulite, oggi giudice di Cassazione, e il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, capo dei pm di Milano che continuano a indagare sulle nuove Tangentopoli. Davanti a una platea di studenti universitari i due magistrati, famosi per la capacità di sintetizzare discorsi complessi in battute fulminanti, rispondono con franchezza anche alle domande più delicate. Per cominciare: la legge anti-corruzione del governo Monti è un passo in avanti?
Robledo: «Serve a poco o nulla. La corruzione ha pervaso come un cancro la società italiana. C’è una sorta di débâcle sociale. Qualsiasi legge isolata è inutile, se non c’è più un progetto per il Paese. Sono pessimista, non so quanto potranno ancora reggere le istituzioni. La cosa più triste è che in Italia una valanga di persone si sono sacrificate per lo Stato: viene da pensare che siano morte inutilmente».
Davigo: «La sedicente legge anti-corruzione mi pare una cura omeopatica. Serve a niente. Anzi, ha introdotto una serie di stravaganze. Come il reato di traffico d’influenza punito meno del millantato credito, forse per stroncare la concorrenza sleale di chi finge di dovere pagare tangenti. O lo sdoppiamento della concussione, con una riduzione della pena per il reato di "induzione" che ha prodotto un solo brillante risultato certo: garantire la prescrizione al Penati di turno. Ma siccome l’ex ministro proponente è un giurista, dubito che questi siano errori. Vuol dire che era il massimo che poteva passare nel precedente Parlamento. E questo resti a disdoro dei suoi componenti».
Però tutti i governanti lamentano che in Italia non si fanno le riforme...
Davigo: «Non è vero. Le riforme si sono fatte, eccome: contro le indagini e i processi. Un dato: siamo passati da 1.714 condanne per corruzione e concussione nel 1996 a sole 263 condanne nel 2010. Qualche cialtrone ne deduce che avremmo meno corrotti della Finlandia, mentre il problema è che le nuove norme sulla prescrizione, l’azzeramento delle prove, la modica quantità di evasione fiscale, falso in bilancio, fondi neri e fatture false, stanno garantendo l’impunità a moltissimi colpevoli. Infatti gli indici internazionali di percezione della corruzione ci danno in ascesa libera: l’Italia è al quarto posto in Europa accanto a Bulgaria, Romania e Grecia. Parlare di lotta alla corruzione in Italia è cosa ardita. Questa lotta semplicemente non c’è. C’è solo qualche disperato che ci prova».
Robledo: «Se dovessi guardare ai risultati della lotta alla corruzione, parafraserei un frase del Vangelo: beati coloro che hanno sete di giustizia, perché saranno giustiziati. C’è un nuovo caso che ci preoccupa. Come ben sapete i rimborsi elettorali sono previsti da una legge-truffa: gli italiani avevano votato contro i finanziamenti pubblici ai partiti. Giusta o sbagliata che fosse, era la volontà popolare. Invece si è rifatta la stessa legge, chiamandoli rimborsi. Ora, indagando sui falsi prospetti e rendiconti al Parlamento presentati da un partito padano di cui non farò il nome, abbiamo scoperto una nuova norma che stiamo esaminando attentamente. A luglio dell’anno scorso è stata approvata una legge poco chiara che potrebbe interpretarsi come un’abolizione proprio del reato di falso prospetto parlamentare, sostituito con una contravvenzione amministrativa punita con una semplice multa. È stata varata a larga maggioranza, ma sembra che nessuno se ne sia accorto. Però forse mi sbaglio».
Nelle pieghe di una legge sconosciuta ai più, dunque, si nasconde una riformina che potrebbe funzionare come un colpo di spugna per i politici già indagati, in particolare Umberto Bossi e Francesco Belsito. Ma anche come uno scudo protettivo per tesorieri e segretari che dovessero in futuro firmare falsi rendiconti delle spese di partito: è così?
Robledo: «La norma non è chiarissima, ma il rischio è quello. Se venisse confermata questa interpretazione della legge, saremmo di fronte a un’ulteriore espressione di quella che con felice dizione è stata chiamata casta».
Rubavano di più i politici di ieri o i tangentisti di oggi?
Robledo: «Devo dire che nutro nostalgia per i grandi corrotti della storia: erano persone serie che lavoravano anche per la collettività. Richelieu era corrottissimo, però ha salvato la Francia. È questo che manca oggi. Fare la lotta alla corruzione è diventato deprimente. C’è una corruzione diffusa, minuscola, avvilente. Funzionari che rischiano il licenziamento e si giocano una vita per poche centinaia di euro. E quando si accorgono delle conseguenze, non capiscono. In Lombardia abbiamo visto consiglieri regionali che facevano la spesa al supermercato con i rimborsi pubblici per la salamella o il prosciutto. Viene quasi da dire: "Consigliere, ha bisogno? La aiutiamo noi...". Ho chiesto a un politico perché avesse speso cento euro in brioche e caffellatte: c’era un evento particolare? Si è difeso così: "No, eravamo al bar, però offrivo solo ai lombardi". È un esempio, e potrei farne tanti, di un cambiamento profondo. Una deriva culturale. La corruzione è diventata il tappeto da suk di questo Paese».
Davigo: «I criminologi individuano tre livelli di corruzione. C’è quella decentrata, fatta da una miriade di piccole mazzette pagate a un numero rilevantissimo di funzionari o politici. Poi c’è la corruzione accentrata, fatta di grandi mazzette incassate da pochi funzionari e politici di grado elevato. Il terzo livello è la "State capture", la cattura dello Stato. In Italia abbiamo avuto sicuramente le prime due, non so se siamo arrivati alla terza. Dalle indagini che i mezzi d’informazione hanno chiamato Mani Pulite era emersa la corruzione accentrata: i segretari amministrativi dei principali partiti prendevano un sacco di mazzette dalle imprese che ricevevano soldi pubblici. Però questo non escludeva una miriade di piccole mazzette ai funzionari. In un sistema illegale chiunque taglieggia a modo suo. Come organi preposti alla repressione penale abbiamo svolto la funzione che in natura è tipica dei predatori: migliorare la specie predata. Abbiamo preso le zebre lente e sono rimaste quelle veloci. O, se preferite, abbiamo creato nuovi ceppi resistenti agli antibiotici. E che ceppi!».
Politici e imprenditori importanti accusano le procure di esagerare con le inchieste su corruzione e reati economici.
Davigo: «Per dare un’idea dell’estrema pericolosità della devianza delle classi dirigenti rispetto alla criminalità predatoria da strada, che era l’unica al centro della propaganda politica sulla sicurezza, prendiamo la bancarotta Parmalat. Al processo il tribunale di Milano aveva 40 mila parti civili, cioè 40 mila vittime che volevano essere risarcite. Prima considerazione: quanto tempo impiega uno scippatore a fare 40 mila vittime? Se fa quattro scippi al giorno, e statisticamente non è facile senza essere arrestati, ci vogliono 10 mila giorni: una vita. Seconda considerazione: quanto può avere nella borsetta una signora che viene scippata? Nella mia esperienza, una mensilità di pensione se è appena andata a ritirarla. Mentre molti di quei 40 mila avevano investito nei bond Parmalat i risparmi di tutta una vita. Eppure quando il processo è arrivato a sentenza definitiva e Tanzi è stato arrestato, ha dichiarato: "Non me l’aspettavo". Voi ridete, ma ha ragione Tanzi: credo che in questo momento sia l’unico colletto bianco in espiazione pena. Ce n’erano altri tre o quattro, ma poi è intervenuto l’indulto...».
Ma gli italiani onesti non hanno nessuna speranza che anche in Italia si possano trovare rimedi alla corruzione?
Davigo: «Nel ’94 avevamo proposto di reagire all’emergenza con fortissime misure premiali, a livello di non punibilità del primo che parla. Corruttore e corrotto hanno un convergente interesse al silenzio: il reato si scopre solo quando si spezza questa omertà. Negli Stati Uniti usano metodi pragmatici: i poliziotti sotto copertura. Dopo le elezioni si fingono imprenditori e vanno a offrire soldi agli eletti: quelli che accettano vengono arrestati. Li chiamano test d’integrità».
Robledo: «Sulla lotta alla corruzione nell’Italia di oggi resto pessimista, ma penso che ne valga comunque la pena. Ricordate il mito di Sisifo, condannato a spingere in eterno un masso che poi rotola giù dalla vetta? Albert Camus, in un saggio, spiegò che è umano proprio quello sforzo concreto e quotidiano, anche se il risultato fosse irraggiungibile».