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 2013  maggio 10 Venerdì calendario

SETTE EREDI NEL PAESE DEL FIGLIO UNICO BUFERA SUL REGISTA DI LANTERNE ROSSE

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PECHINO Totale sette figli. Due maschi e una femmina dall’attuale consorte, l’attrice Chen Ting, sposata in segreto nel 2011. Una femmina dalla prima moglie, Xiao Hua. Due maschi e una femmina da altre due partner, mantenute anonime. Sette eredi nella patria della legge del figlio unico, che dal 1978 condanna i cinesi a restare soli. Il regista-mito Zhang Yimou, quasi 62 anni, prestatosi a diventare bandiera del nuovo nazionalismo di Stato, finisce a sorpresa nel mirino del regime che fino a ieri l’aveva protetto. Rischia una multa da 160 milioni di yuan: quasi 20 milioni di euro, il doppio del suo reddito annuale, miraggio per 1,4 miliardi di attoniti connazionali. A confermare lo scandalo, esploso sul web, il sito del «Quotidiano del Popolo», bollettino del partito. Su Zhang Yimou e i suoi sette figli ha aperto un’inchiesta la commissione per la pianificazione famigliare di Wuxi, regione del Jiangsu. Guai proporzionali alla prole: il pluripremiato regista di «Lanterne Rosse» e della «Foresta dei pugnali volanti», oltre che di aver violato la legge voluta da Deng Xiaoping, rischia anche l’accusa di concubinaggio. Usanze comuni, ai tempi dell’impero, promosse reato dopo la rivoluzione comunista di Mao Zedong.
Dalle stelle della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Pechino, vetrina della nuova potenza
globale, alla polvere di un’allargata famiglia illegale, simbolo dell’anacronismo del sistema. E il paradosso è che la star con un debole per le sue attrici, si scopre sola. Alle accuse dei leader, si aggiunge la gogna del popolo. Anche internet si schiera contro il compagno Zhang, eletto icona dei privilegi della «casta rossa». Nessuno difende la sua sovversione contro una legge che in 35 anni «ha risparmiato all’umanità 400 milioni di individui», come esulta il governo, ma che nemmeno i funzionari considerano oggi presentabile. Tutti insorgono invece contro i «nuovi imperatori capitalcomunisti», milionari, corrotti, dirigenti e raccomandati del partito che possono permettersi di ignorare le leggi.
L’affare Zhang Yimou fa così esplodere in Cina la bomba-disparità: ricchi e potenti al di sopra delle regole, poveri e dissidenti condannati all’ingiustizia. Effetto-
boomerang per il presidente Xi Jinping, che ha promesso di stanare «sia le mosche che le tigri». Abbattere il regista del rinascente patriottismo, autore del film-immagine per l’anniversario della rivoluzione, significherebbe affossare le riforme sia promesse che richieste. Assolverlo preluderebbe ad abrogare la pianificazione demografica, ancora imposta dai falchi del politburo. Sulla svista della censura, che ha lasciato deflagare scandalo e polemiche, banchettano così dietrologie da nomenclatura. Tra esse, quella di un’ultima resa dei conti contro i nostalgici neo-maoisti legati all’ex leader Bo Xilai. Tra le protette di Zhang Yimou, coincidenza, Zhang Ziyi, protagonista della «Storia di Qiu Ju», accusata di essere «la prostituta del comitato centrale». Altri milioni di dollari, ancora il vecchio concubinaggio: a pagare proprio mister Bo, si dice alla vigilia di un epocale processo.