Natalia Aspesi, la Repubblica 10/5/2013, 10 maggio 2013
OTTAVIO MISSONI, UNA VITA A COLORI
QUANDO Tai Missoni parlava, controvoglia, del suo lavoro, con l’accento dolce della sua origine dalmata, era sempre per sminuire il suo talento: abbiamo dovuto fare quelle righe perché le macchine non sapevano fare altro, il misto dei colori è venuto così, per caso, lo zig zag è capitato per sbaglio e poi chissà perché è piaciuto tanto…
OTTAVIO Missoni è morto ieri nella sua villa di Sumirago, in provincia di Varese. Il fondatore della maison aveva 92 anni. Quattro mesi fa, la tragedia del figlio Vittorio, scomparso in Venezuela, nel mare di Las Roques, a bordo di un elicottero turistico.
QUANDO a parlare del loro lavoro era sua moglie Rosita, lei serenamente lo contraddiceva: è lui il creatore, quello che conta, che si impegna, che sa trasformare le sue idee in disegni e a costringere le macchine ad adattarsi alle sue invenzioni… Era stato il genio di Tai per i colori e i misteriosi intrecci di fili in un vorticare di disegni, era stata la capacità organizzativa di Rosita e il suo entusiasmo nei rapporti con gli altri, a trasformare un piccolo laboratorio di maglieria di Gallarate nella fabbrica ultramoderna di Sumirago e a lanciare il marchio Missoni; scoperto dalla grande giornalista
Anna Piaggi negli anni 60 e lanciato nel mondo come uno dei primi nomi di grande successo del nascente pret-à-porter italiano. Nel 1970 è già nei prestigiosi grandi magazzini americani Bloomingdale, nel 1973 i Missoni vincono il più prestigioso premio della moda, il Neiman Marcus, a Dallas: con quel vestire di maglia preziosa e leggera, mai spiegazzata, quelle fantasie cromatiche irresistibili, quella diversità da tutta l’altra moda e il pregio del materiale e delle forme lineari, quei capi risultati indistruttibili e mai fuori moda, che alcune entusiaste pioniere della griffe, da più di 30 anni conservano e ancora indossano.
Per volontà di Rosita, Tai era costretto, reticente, a prendersi i premi, a essere la star della coppia: una coppia che si era adocchiata per caso alle Olimpiadi di Londra del 1948, lui in pista per i 400 metri ostacoli, lei giovanissima spettatrice, lui che, da italiano, aveva dovuto lasciare la sua amatissima città, Zara, ceduta alla Jugoslavia alla fine della guerra, lei arrivata in Inghilterra da Golasecca, in provincia di Varese, per imparare l’inglese, e subito decisa a non fare a meno di quel giovanotto alto alto, che infatti sposò 5 anni dopo. Sessant’anni insieme, una vita coniugale con le sue tempeste ma incrollabile, legata dalla cocciutaggine e dalla pazienza dell’amore, dalla condivisione di un bellissimo e fortunato lavoro, dalla famiglia che negli anni si estendeva; i figli che diventavano grandi e entravano in azienda, le nuore. i generi, i tanti nipoti. E poi quella meravigliosa casa, vicina all’azienda, lontano dalle città, isolata nella vastità serena della campagna, non una sola costruzione in vista: un regno più che un rifugio, con l’orto e i limoni a scaldarsi nei riflessi del sole sulle pareti di vetro, e la serra con le piante tropicali, e la lunga tavola da pranzo dentro una veranda da cui entravano le stagioni con la luce della neve in inverno e lo splendore dei fiori in primavera; una tavola sempre imbandita per i tanti amici, e i pranzi semplici e squisiti, e tovaglie e vasellame con gli stessi disegni squillanti, opera di Rosita che si è inventata negli ultimi anni questo impegno tutto suo. E i bei quadri, e la raccolta di porcellane anni 20, e i tappeti e divani con le stoffe uscite dalla fabbrica vicina, e una
moltitudine di oggetti comprati in giro per il mondo, o donati dagli amici, non per il loro valore ma per l’allegria dei loro colori e della loro bizzarria.
Rosita e Tai, a differenza di altri stilisti e industriali, non hanno mai parlato di lavoro né dei successi o problemi aziendali.
Ottavio era lapidario, quando tentavano di farlo parlare di moda: «Io non me ne intendo, non ne so niente, non conosco gli stilisti e poi credo che per vestirsi male non serve seguire la moda, ma certo aiuta». Anche quando i figli non avevano ancora cominciato ad affiancarli e a poco a poco a imparare a sostituirli, e
quindi la responsabilità era tutta di Tai e Rosita, ogni giorno se ne separavano per colorare la vita con la semplicità delle loro passioni, alcune condivise, altre meno: mai la mondanità, mai le complicazioni cui obbliga la ricchezza; ogni mattina anche d’inverno i tuffi nella piccola piscina in giardino, poi l’opera e
il calcio, i viaggi e il tennis, la raccolta di funghi porcini da surgelare per tutto l’anno e la casa sempre aperta, soprattutto agli amici della giovinezza, ai complici del tifo sportivo, ai compagni di nuoto, di camminate, di corsa, con Tai che ha continuato a vincere anche le gare di atletica master, riservate agli ultraottantenni.
Ottavio Missoni era autoironico, non gli piaceva parlare di sé, agli amici chiedeva qualche sapienza da condividere, come il parlare di sport, leggeva e sapeva molto, però fingendosi pigro, disimpegnato, comunque sempre soggiogato dall’operosità risolutiva di Rosita. È stato sino all’ultimo molto bello e prestante, dimenticandosene sempre, come fosse un fastidio, si è sempre vestito solo Missoni, mischiando con audacia capi apparentemente inconciliabili e che invece su di lui creavano una virile armonia. Poi ci fu la
volta in cui dovette andare al Quirinale, e lì camicia e giacca di maglia non erano consentiti: «Lo smoking era alieno nella nostra vita, però quella volta era indispensabile, l’ho comprato da Armani e l’ho messo una volta sola».
Pareva la sua una di quelle vite fortunate in cui invecchiare non impedisce di continuare a godere di tutto, come sempre: poi la tragedia piombata sui suoi 92 anni ancora forti, quel piccolo aereo scomparso in Venezuela in gennaio, con il primogenito Vittorio e sua moglie. Tutta la famiglia, Rosita, gli altri due figli, Angela e Luca, i nipoti, gli amici, da tanti indizi preziosi, raggiungendo più volte quel paese, hanno continuato ad essere certi, serenamente, coraggiosamente, che siano ancora vivi: forse il patriarca Missoni è stato meno fiducioso, e si è perduto.