Francesco Guerrera, La Stampa 10/5/2013, 10 maggio 2013
QUEI MERCATI CHE PUNTANO SULL’ITALIA
Grazie mille presidenti Napolitano, Letta e Draghi. Vi confesso che, fino ad un paio di settimane fa, essere un italiano che si muove nei salotti, più o meno buoni, della finanza internazionale non era facile.
I banchieri di Wall Street, i traders di Londra e gli investitori di Hong Kong non si risparmiavano mai battutine: «Che governo avete questa settimana?».
«Hai controllato stamattina, l’Italia è sempre in mezzo al Mediterraneo?». O domande preoccupate («Ma tu questo casino di Berlusconi/Bersani/Grillo come lo vedi?».
Erano autorizzati a prendere in giro il Bel Paese perché la situazione economica e politica era grave: governo nel caos, crescita inesistente e spread sui bund a livelli elevatissimi.
Per un po’, noi emigranti del 21° secolo rispondevamo: «Monti». Il governo tecnico – si diceva – metterà ordine nel Paese che gli stranieri amano per le vacanze ma scherniscono per l’economia. Negli ultimi mesi, però, il buco nero della politica italiana ha risucchiato anche quella fievole difesa dell’onore nazionale.
Poi, due settimane fa, il miracolo. La rielezione di Giorgio Napolitano, seguita dall’incarico a Enrico Letta, ha incantato i mercati. I tassi d’interesse sui Btp a due anni sono scesi ai livelli più bassi dalla nascita dell’euro, quelli a dieci anni al punto meno elevato dal 2010. (Nel mondo delle obbligazioni, i tassi bassi sono un’ottima cosa perché’ permettono al governo di prendere in prestito denaro a costi più ragionevoli).
Il mercato azionario di Milano è passato da «stendiamo un velo pietoso» a «Compra! Compra! Compra!». Il Mib, l’indiceguida della Borsa di Milano è salito di più dell 11% in meno di un mese.
Le battute sono scomparse, i sopraccigli dei banchieri sono tornati in posizione orizzontale e molti investitori stranieri stanno seriamente pensando di ritornare a finanziare il debito del governo italiano.
Cosa è successo? Sembra strano che la semplice elezione di un Presidente della Repubblica e la formazione di un governo inducano un cambiamento così repentino nella psiche dei mercati.
L’entusiasmo degli investitori è frutto di tre fattori. Prima di tutto, sollievo perché il Paese ha evitato la paralisi totale. I mercati non sono pratici dei labirinti della politica italiana ma avevano capito che l’impasse provocato dalle elezioni avrebbe potuto esacerbare una situazione economica già difficile. E, conoscendo i loro polli, si aspettavano il peggio: mesi di trattative bizantine seguite dall’arrivo di un governo debole e poco rispettato.
Viste le aspettative, la situazione è molto, molto migliore e questo è bastato per esaltare i mercati. «E’ tutto relativo», mi ha detto un investitore americano questa settimana. «Ci aspettavamo il disastro e invece abbiamo un modico di stabilita».
La seconda, e più importante, ragione si trova nella torre di vetro della Banca centrale europea a Francoforte. Oggigiorno, il prodotto-Italia viene venduto con la garanzia made-in-Germany. Da quando Mario Draghi ha detto che la Bce farà tutto il possibile per salvare l’euro, i mercati pensano che la Banca centrale e la Germania non si possano permettere di far saltare un Paesechiave come la Spagna e l’Italia.
Tra iniezioni di miliardi di euro nell’economia e tagli ai tassi – l’ultimo è arrivato giovedì – Draghi è riuscito a persuadere i mercati (e i tedeschi, non innamorati dell’idea di essere la cassaforte dell’ Unione europea) che la Bce fa sul serio.
Il terzo elemento è tattico. I beni del Tesoro spagnoli e italiani rendono molto di più delle corrispondenti obbligazioni negli Usa, in Giappone e nei Paesi del Nord-Europa.
L’obbiettivo principale degli investitori è fare soldi senza prendere rischi eccessivi. Il fatto che l’Italia di oggi sia più stabile dell’Italia di due settimane fa, ma che il suo debito offra ancora un rendimento ancora alto, ha trasformato le obbligazioni italiane da cenerentole a principesse.
Anzi, l’Italia e la Spagna sono esempi viventi della globalizzazione della finanza. Da quando il Giappone ha incominciato a stimolare l’economia comprando obbligazioni domestiche, riducendone i rendimenti, miliardi di yen sono fuoriusciti dal Paese in cerca di utili. Una buona parte è finita dalle parti di Roma e Madrid, dove i tassi sono molto più appetibili che a Tokyo, ma il rischio di un collasso, per il momento, non è pronunciato.
Attenzione però, a cantare vittoria troppo presto. La triade Napolitano-Letta-Draghi non è la panacea e i mercati sono, con buona pace di Verdi, «mobili qual piume al vento».
Cosa potrebbe far mutare accento e pensiero agli investitori? In prima istanza, i capricci della politica italiana.
Chi di ignoranza ferisce, di ignoranza perisce. I mercati hanno preso bene le vicende delle ultime settimane senza badare tanto ai dettagli, ma potrebbero facilmente farsi spaventare dagli inevitabili macelli di Palazzo Chigi, Montecitorio e il Quirinale. Per non parlare della situazione economica sempre penosa, che finora gli investitori hanno deciso di minimizzare.
Fattori interni a parte, qualsiasi segno che la Bce non abbia più voglia o risorse da pompare nell’economia dell’Ue potrebbe far correre i fondi d’investimento verso l’uscita di sicurezza.
Per ora non sembra probabile, ma come mi ha detto Nouriel Roubini, l’economista-superstar, la settimana scorsa, «la situazione europea è fragile. Il Sud Europa non ne può più dell’austerità e il Nord Europa non ne può più di pagare per il Sud Europa».
Non è un caso che, nonostante il calo dei tassi italiani, lo spread con i bund sia ancora elevato: 2,6%. Gli investitori non sono stupidi: l’Italia è meno rischiosa che nel passato, ma rimane più rischiosa della Germania.
Il che vuol dire che questo non sia un momento magico per il governo e le imprese italiane. Quest’ultime ne dovrebbero approfittare per vendere obbligazioni a tassi (relativamente) bassi. L’Indesit, per esempio, è uscita con la sua prima obbligazione in 14 anni e l’Unicredit ha fatto lo stesso. Altre aziende dovrebbero seguirle.
Non è la fine della crisi, e nemmeno l’inizio della fine. Ma visti gli ultimi anni, vale la pena godersi, e sfruttare al meglio, questo periodo di tregua nelle paure – e sarcasmo – dei mercati.