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 2013  maggio 09 Giovedì calendario

QUELLA SENTENZA SUICIDA FATTA A TEMPO DI RECORD PER FAR FUORI IL CAVALIERE

Sette minuti. Tanto impie­gano ieri mattina il giudi­ce Alessandra Galli e i suoi due colleghi della Corte d’appello di Milano a respinge­re l’ultimo attacco di Niccolò Ghedini e Piero Longo, l’estremo tentativo della difesa di Ber­lusconi di evitare la condanna. È una decisione fulminea, spe­cie se paragonata alle lunghe ri­flessioni cui i giudici d’appello del caso «diritti tv» avevano abi­tuato difensori e giornalisti. Alla corte, ieri mattina, Piero Lon­go chiede di congelare il processo, arrivato all’ultima udienza, per dare il tempo alla Corte Co­stituzionale di sbrogliare il no­do che fin dall’inizio ha segnato questa stagione dei processi a Berlusconi: il rapporto tra i suoi impegni di parlamentare e i suoi doveri di imputato, la pre­valenza dei tempi della politica su quelli della giustizia o vice­versa. La Consulta deve decide­re se fu giusto, nel marzo 2011, che una udienza del processo di primo grado si tenesse anche con Berlusconi impegnato a Pa­lazzo Chigi. Se la Corte Costitu­zionale annullasse quella udienza, sarebbe l’intero pro­cesso di primo grado a venire spazzato via, e con lui quello d’appello. Per questo, per non emettere una sentenza scritta sull’acqua, Lon­go chiede ai giu­dici di fermarsi. Ma la richiesta viene respinta in un lampo. «La pronuncia della Corte Costituzio­nale non risulta decisiva», scrivo­no. Da quell’istante, gli ulti­mi dubbi su come finirà la gior­nata si dissipano. Quando, un paio d’ore dopo,la corte si ritira in camera di consiglio per emet­tere la sentenza, neanche il più ottimista dei suoi fan puntereb­be un euro sull’assoluzione di Berlusconi.
Alle sette e mezza di sera, infat­ti, arriva la sentenza che confer­ma dal primo all’ultimo rigo la condanna di primo grado. Nel trambusto, pochi fanno caso a un dettaglio: i giudici non indi­cano un termine per il deposito delle motivazioni. Vuol dire che valgono i termini strettissi­mi previsti dal codice, e che non vengono mai rispettati. In genere ci si mettono due o tre mesi. Invece tra quindici giorni le motivazioni della condanna di ieri verranno depositate in cancelleria. È quasi il remake di quanto avvenne in primo gra­do, quando le motivazioni ven­nero addirittura lette insieme alla sentenza. Ieri come allora, l’obiettivo dei giudici è evitare il rischio del­la prescrizione. Già a settem­bre la Cas­sazione po­t rebbe emettere la senten­za finale e infliggere a Berlusco­ni la prima condanna definiti­va della sua vita.
Che la Corte d’appello di Mila­no non tenesse in gran conto gli auspici di una via di uscita morbida per il Cavaliere dai suoi guai giudiziari lo si era capito bene già nel febbraio scorso, quando erano state respinte a raffica le richieste di rinvio del­le udienze per gli impegni elettorali, e si era cercato di tenere udienza anche nei giorni in cui Berlusconi era ricoverato in ospedale per l’infezione agli oc­chi. Ieri, la decisione di andare a sentenza senza aspettare la Corte Costituzionale conferma che i tentativi di moral suasion provenienti da Roma non han­no trovato accoglienza tra i giu­dici milanesi. È, paradossal­mente, una decisione che in prospettiva potrebbe danneg­giare il processo: se fosse stata accolta la richiesta di pausa la prescrizione si sarebbe interrot­ta; adesso, invece, se la Corte Costituzionale dovesse dare ra­gione a Berlusconi e ordinare di rifare una parte del processo, la prescrizione sarebbe quasi inevitabile.
Ma sono scenari futuri, di diffici­le pronostico. Per ora sul tavolo c’è il dato oggettivo di una pesante condanna di Silvio Berlu­sconi, che grazie alle motivazio­ni-lampo potrebbe diventare definitiva nel giro di pochi me­si. Dalla Cassazione, dopo la ra­pidità con cui lunedì scorso ha liquidato la sua richiesta di spo­stare i processi a Brescia, Berlu­sconi sa di non potersi aspetta­re granché. Così per il Cavaliere l’ultima trincea diventa quella della Corte Costituzionale, con la sua decisione sul legittimo impedimento. È una decisione che doveva arrivare già il 23 aprile scorso; i giudici si sono riuniti, hanno discusso, secon­do alcune voci hanno anche già deciso (a maggioranza); ma la decisione verrà formalizzata so­lo in una camera di consiglio che verrà fissata entro il mese di giugno. Un ritardo che ieri ha consentito ai giudici milanesi di condannare Berlusconi, an­che se poi tutto dovesse venire annullato.