Raffaele Panizza, Panorama 2/5/2013, 2 maggio 2013
POVERI SNOB! NON AVETE CAPITO NIENTE…
[Flavio Briatore]
Signor Briatore, alla fine le è toccato vendere il Billionaire per diventare finalmente un bilionaire?
Macché. Io miliardario non lo sono mai stato, neppure nei miei sogni proibiti, e neppure da ubriaco, alle 4 della mattina. Quando Forbes m’ha messo in copertina, i ricchi veri, quelli della lista World’s richest people, hanno rosicato tutti. Ricordo un indiano che mi si avvicinò in aereo e disse: complimenti, io sono il numero 208, ma di me non si è mai accorto nessuno.
A quanto ha venduto?
Non posso dirglielo.
I soldi se li intasca tutti lei?
No. Restano in azienda: questa non è una scelta fatta per incassare, ma per sviluppare il marchio.
Però ha perso la maggioranza, Briatore non decide più.
Sbagliato: ho il 49 per cento delle quote ma ho mantenuto il diritto di veto. Senza il mio «yes», non si fa nulla. È un Flavio da guerra quello che risponde al telefono dal suo ufficio di Londra. Da pochi giorni la quota di controllo del settore leisure and entertainment del marchio Billionaire è finita nella mani di Bay Capital, una «boutique d’investimento» con sede alle Mauritius, centro di gravità a Singapore, e gestita da un indiano (Siddharth Mehta) laureato con lode al King’s college di Londra. Briatore vive la vendita non come un’abdicazione ma come un godurioso e atteso riscatto: «Sa cosa mi fa piacere? Che siano stati loro a cercare me, e non viceversa. Per gli asiatici e per il Medio Oriente siamo il marchio nightlife più importante e riconoscibile al mondo». Chi pensava che sotto le ciabatte di raso e le lenti azzurrate non ci fosse nulla, forse si dovrà ricredere. Chi invece non si ricrederà mai e spera che dopo 15 anni di vita smeralda sia finalmente arrivata la fine di un’epoca, legga qui, e si metta il cuore in pace.
Ora che farà?
C’è da lavorare, programmare. Un imprenditore deve essere in grado di vedere il futuro con dieci anni d’anticipo.
La sua sfera di cristallo dove la porta?
Il piano con Bay Capital e la controllata Far East leisure è inaugurare 15 Billionaire club in 5 anni, partendo da Dubai. In più, ci saranno i locali provvisori, strutture leggere in grado di aprire e chiudere seguendo gli eventi più importanti del mondo: partirà il Billionaire world tour, insomma.
Flavio Briatone a Hollywood durante la cerimonia degli Oscar: che spettacolo.
Esatto, quello è un progetto che voglio realizzare. Di certo, seguiremo la Formula uno in giro per il mondo: partiremo con Singapore, il 20 settembre, e poi San Paolo e Abu Dhabi. Dal 2014 si aggiungeranno Shanghai e Sochi, in Russia. Insomma, la discoteca va dove c’è l’evento. E poi non bisogna dimenticare il Twiga, che aprirà a St. Tropez, Ibiza e Miami.
Il marchio oggi quanto vale, due conti se li è fatti?
Senza esagerare, direi tra 40 e 50 milioni di euro.
Al netto dei billions che deve alle banche?
Zero. Le mie aziende non hanno esposizione verso gli istituti di credito. Noi lavoriamo coi soldi nostri.
E allora perché non se l’è fatto da solo, il Billionaire world tour?
Per una questione logistica e strategica. I miei partner hanno location in ogni angolo dell’Asia ed è tutto più semplice: se lo immagina un italiano che va da solo a Singapore a cercare spazi? Se lo pappano vivo.
L’Europa è fuori dal suo orizzonte?
Direi di sì. Le difficoltà economiche sono troppe.
I francesi la pensano diversamente. Cosa pensa dello shopping di marchi italiani?
Che maschera una crisi che in Francia è più grave che da noi. In Veneto c’è un’azienda ogni 3 chilometri. Oltralpe ci sono solo gruppi enormi che mantengono 5 milioni di lavoratori pubblici. I nodi verranno al pettine.
Ce l’ha su coi francesi?
No. Ma constato una cosa innegabile: visto che non hanno la nostra creatività, vengono qui e se la comprano. Sono bravi nelle pubbliche relazioni e nel creare valore aggiunto, questo sì. Basta vedere cosa fanno col beaujolais: riescono a vendere in tutto il mondo un vino tremendo che ti fermenta nello stomaco.
Preferisce il lambrusco, lei.
Non c’è dubbio. Piuttosto che il beajoulais, meglio l’acqua minerale.
Flavio Briatore: un patriota in esilio.
Stare lontani rafforza certi sentimenti. Da espatriato, difendo la mia patria più di un residente.
Mi faccia un esempio di una sua recente azione partigiana.
Guardi, appena finisco con lei ho una riunione con alcuni investitori: l’obiettivo è lanciare a livello mondiale una catena di pizzerie «branché».
Cioè? Al taglio?
No. Nel senso di elegantissime, trendy. D’alta gamma. Una nuova versione di un prodotto Made in Italy.
Perché non si rilassa un po’ invece? Si prenoti un viaggio spaziale con la Virgin Atlantic per esempio.
Scherza? Io sono claustrofobico. Se mi chiudono in una navicella spaziale divento pazzo. E perché non fa il mecenate, invece?
No, guardi, va benissimo quello che faccio. Qui c’è da mettersi sotto e sgobbare, di cinema nella vita ne abbiamo già fatto abbastanza.
In Italia non ci metterebbe più un soldo?
Fare impresa è impossibile. La burocrazia t’ammazza. Quando abbiamo aperto Cipriani a Monte-Carlo, in pieno centro, per condurre i lavori abbiamo bloccato una strada per 4 mesi. E le istituzioni, dalla polizia alla politica, sempre lì ad aiutarci per inaugurare prima possibile. In Italia mi sarei beccato 50 denunce anonime e 100 verbali.
A Capriccioli, quando ha tentato di gestire la spiaggia, s’è beccato pure i gavettoni dei bagnanti.
E infatti me ne sono andato. Col risultato che 70 persone hanno perso il lavoro e la spiaggia, adesso, è abbandonata.
La gente non aveva capito che stavate facendo business e pensava che fosse tutta una giostra per il suo privato sollazzo. Anche colpa sua, non crede?
E quale sarebbe la mia colpa? Avere intrattenuto adeguatamente una clientela d’élite che spendeva fior di soldi sul territorio e non voleva fare vacanze monacali? Al posto di criticarci, avrebbero dovuto imparare da noi come si fa. Invece hanno vinto l’invidia, la cattiveria e la stupidità.
Col nome Billionaire, però, un po’ se l’è andata a cercare.
E come avrei dovuto chiamarlo? Roccia nera? Pietra Smeralda? Banale. Io volevo proprio che la gente passasse davanti al locale e pensasse: «Ma chi diavolo è questo pirla che ha chiamato una discoteca così?». Il nome era una provocazione, e nessuno l’ha capito. Quando ho aperto io, i miliardari non esistevano neppure e chi veniva da noi sognava di esserlo per dieci giorni. Oggi, dovessi iniziare l’avventura, lo chiamerei «Trillionaire».
Per suo figlio Nathan Falco che cosa sogna?
Beh, se continuasse il mio lavoro mi piacerebbe molto, lo ammetto.
Da dove lo facciamo partire?
Dal ruolo di cameriere. La gavetta è importantissima: quando studiava a Boston, Alessandro Benetton veniva da me in azienda a chiudere con lo scotch gli scatoloni. Di un business bisogna capire tutto.
E se a diciassette anni lo becca con le mani nel reggiseno di una cassiera?
Beh, glielo auguro. Anzi, spero succeda a 16, se è per questo.