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 2013  maggio 09 Giovedì calendario

LA FIACCOLATA DELLA VANIT


«Per che cos’è, scusate, per favore, questa fiaccolata di stasera?».
Una celebrazione con esultanze e giubili? Una commemorazione di qualche eccidio o strage, di eventi comunque luttuosi e storici? Oppure contestazione e protesta, con dissensi e diverbi lungo il corteo?
Antichi dubbi, sempre fissi. Forse risalgono a certi anni Trenta parigini, quando ogni domenica mattina partiva una “manif” dalla Mutualité. Talora per manifestare entusiasmo, talaltra per dimostrare indignazione. E poi, tutti i vari anniversari. Fausti oppure no.
Certo, però, nottetempo con fiaccole e torce è sempre più suggestivo per tutti.
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Come piacciono sempre – soprattutto se lunghe e dolorose – le minuziose malattie e agonie di genitori e nonni e altri parenti strettissimi. Figli e figlie diversamente disabili, sempre, signore mie! Magari, almeno, cognati o cugini estremamente disturbati, molestati da piccoli, praticamente paralitici. E naturalmente, anche cugine e cognate e congiunte conviventi con handicap illimitati e irrimediabili, invalidità e deliqui interminabili, inesauribili! In prima persona? Benissimo! Meglio!
Chissà se basta questo sommarissimo e sinistro elenco per indirizzare la prossima produzione commerciale di bestseller casarecci...
Sì, sì, signora, effettivamente la gente adora le disgrazie, i disastri, gli accidenti, i malanni. Sventure, sciagure, calamità, avversità? Ok, siamo qui per questo! Accendere i riflettori!
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Tutti gli «in crisi», invece – preferibilmente coppie di intellettuali in crisi – assolutamente nella privacy dell’angolocottura, del divano-letto, del posto-motorino.
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Già nella buona piccola borghesia di un secolo fa, secondo i giorni fissi, ogni pomeriggio si recavano a un tè o a un altro i trii composti da una vecchia signora vedova con veletta a pois, una figlia maggiore anche vedova, e una terza che non si era sposata. Discorsi fissi: «In quella famiglia, solo disgrazie!». «In quella casa, soltanto dispiaceri!». E come brillavano soddisfatti, tutti quegli occhietti.
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«Controcorrente», scriveva Montanelli ogni giorno. E il Papa lo ripete oggi: «Controcorrente». Ma allora, niente più controtendenza, controsenso, controriforma, contromano? Sarà «il linguaggio sovversivo della realtà», secondo il Presidente del Consiglio? Sovversivo anche contro i trend?
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«Forbici, coltelli e temperini, mai in mano ai bambini».
Da piccoli, per spiritosare, si mettevano i mandarini al posto dei temperini. Da grandicelli o vegliardi, ecco a voi le perquisizioni sulle valigette agli aeroporti.
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Mezzanotte. Tutto tace. Che pace. Ne approfitto per rileggere Sant’Agostino, o San Tommaso d’Aquino?
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I consueti dibattiti circa i laici e i cattolici – generalmente ad alti livelli spirituali e intellettuali e politici – paiono spesso remoti dalla nostra realtà, se non tengono conto delle nostre antiche e profonde radici pagane. Soprattutto in Italia, nella nostra mentalità, nei nostri caratteri. Ovviamente, il cattolicesimo ha valorizzato il senso della consapevolezza, col peccato e il pentimento. E ricordo bene, tanti anni fa, le numerose vecchiette che alla prima Messa mattutina proclamavano ad alta voce una propria «massima colpa», quando non c’era ancora la televisione, e nella povertà potevano passare il giorno e la notte con un po’ di latte e il gatto.
Lo si era capito bene già nel Rinascimento. Da noi, continuano a sopravvivere Diana e Minerva e soprattutto Venere, con Giove (anche Pluvio), Nettuno, Mercurio, Saturno, Apollo con le sue Nove Muse e le Tre Grazie... Nonché Bacco, fra tanti fedeli adepti.
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Tutti in piazza! Nessuno escluso! Per un’adesione di massa con sfilate e fiaccolate e processioni e manifestazioni e cortei nel nome in-di-scu-ti-bi-le di Pasolini!
(Ma non era luterano e corsaro, contro ogni omologazione?).
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Cosa ha provato, durante? E dopo?
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Si vada a rileggere la piattaforma.
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Su, su, apriamo un tavolo, allora. Ma come, solo un tavolino? Almeno un caminetto, suvvia. Ma come, a sorpresa? Vabbé, pazienza.
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Eccepire.
Eccepire fuorvianti e strumentali nell’ottica responsabile di una riflessione sostenibile fuori da un tunnel mozzafiato di sms e blog e tweet da capogiro...
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È la politica, bellezze. La politica di adesso, of course.
Gatte da pelare fra pesci in barile e fili da torcere a gamba tesa e spada tratta e testa bassa e lancia in resta, gettando la spugna per sommi capi sulla punta cool dell’iceberg cult... Un Calvario adrenalinico, interattivo, digitale, migrante, itinerante... Una Via Crucis rebus sic stantibus sul web, turbodiesel, borderline?...
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...Economia sommersa, cattedrale sommersa, campana sommersa... Il som-mer-so! Addirittura un oboe sommerso, di Salvatore Quasimodo, nostro Premio Nobel: «Un òboe gelido risillaba... Ed io son gerbido»... E nulla di emergente, mai?
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Sui nostri migliori dizionari, gerbido significa baraggia, magredo.
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No comment sul grosso dei militanti.
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Mancanze di rispetto per una trasgressione in risposta a una provocazione? Maleducati, sgarbati, impertinenti. Irriverenti. Dissacranti.
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Le pompe del Demonio, credo che si usassero poco, ai bei tempi. Tutt’al più, qualche disimpegnato esteta poteva dichiararsi credente in D’Annunzio o Huysmans, oltre che in qualche suo santo e martire sofisticato e raro. E qualche anziano, magari massone, asseriva di credere soprattutto nel Duca di Mantova o in Floria Tosca. Ma l’antropologia e la mitologia o i corsi e ricorsi non parevano «un’opinione».
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«E adesso il papà condirà l’insalata».
«Speriamo che ce la faccia».