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 2013  maggio 09 Giovedì calendario

I FILOSOFI VISTI SCRUTANDO I LORO TIC E LE LORO DEBOLEZZE


Jacob Brucker, dell’Accademia delle Scienze di Berlino, pubblicò secoli fa un’opera intitolata Storia della filosofia dalla culla del mondo alla nostra epoca. Voleva dimostrare, strumenti speculativi alla mano, che la filosofia è antica come l’umanità, anzi più antica ancora. Brucker, nella sua ricerca erudita delle origini del pensiero filosofico, viaggia indietro nel tempo, fino ai giorni della Creazione e oltre.
Si lascia dietro le spalle i greci, poi gli egizi e i babilonesi, risale a prima del Diluvio e s’annette Adamo ed Eva. Ma ancora non è contento: avidissimo, vuole tirar dentro la storia della filosofia anche gli angeli del cielo e i demoni dell’abisso, compagni dell’Altissimo fin da prima che il mondo fosse creato.
Possibile che tra loro non vi fosse qualche filosofo? A questo punto forse s’accorge d’aver esagerato. Anche Adamo e signora, quando ci torna sopra, non sembrano più tanto affidabili, filosoficamente parlando. Cacciati dal Giardino dell’Eden, dovevano guadagnarsi il pane col sudore della fronte, ragiona il loro discendente, ergo la sera andavano presto a letto, troppo stanchi per pensare con profitto.
Whilelm Weischedel, autore della Filosofia dalla porta di servizio (un libro edito qualche anno fa da Raffaello Cortina) da cui traggo la storia di Brucker e dei pensatori antidiluviani, data la nascita della filosofia - più sobriamente - al VI secolo avanti Cristo, quando «un astuto uomo d’affari», il greco Talete, predisse un’eclisse di sole. Prima di questo exploit Talete s’era arricchito col commercio delle olive.
Era molto ferrato anche in faccende di politica e di matematica. Una volta, camminando con gli occhi rivolti al cielo per guardare con comodo le stelle, cadde in un pozzo. Oltre che il primo dei filosofi, Talete fu dunque anche il primo scienziato distratto: due «classici» al prezzo di uno.
Più avanti Platone avrebbe tessuto l’elogio della distrazione di Talete e della sua caduta nel pozzo. Chi pensa, spiegò, va incontro a dei rischi, a delle contraddizioni, a dei mal di testa: bue il popolo che mette in burla le disavventure dei filosofi.

Weischedel, che riporta questi aneddoti, è un Brucker che non si fa illusioni, un Brucker smagato che non cerca le origini della filosofia nel pozzo dei tempi ma che ne racconta la storia a partire dalla biografia dei filosofi, dagli aneddoti e dai pettegolezzi, dalle storie personali. Separare il pensiero speculativo dal tizio che lo esprime non è per lui buona politica: c’è il rischio di cadere nel pozzo del gergo filosofico, dove un sacco di brava gente operosa si è spaccata le ossa.
Ci sarà pure un rapporto, del resto, tra il disprezzo metafisico per il corpo da parte di Plotino e il fatto che egli mangiasse male, raramente e con disgusto, evitando addirittura di curarsi una colica renale, come racconta Weischedel, per non dare soddisfazione al proprio intestino con un’irrigazione. Così come in qualche modo deve esserci un rapporto tra il vigore fisico di Tommaso d’Aquino e la ragione piena di salute che per primo egli riabilita dopo una lunga eclisse.
Hegel, che secondo il collega Schopenhauer era «un ciarlatano insulso, privo di spirito, schifoso, ripugnante e ignorante», aveva l’aula sempre piena di studenti osannanti mentre l’aula accanto, quella di Schopenhauer, era invece sempre deserta. Eppure Schopenhauer era un filosofo limpido come acqua, che si faceva capire da tutti, diversamente da Hegel, che non capiva nessuno.

Che Hegel, per quanto ostico, fosse simpatico e brillante e che Schopenhauer, benchè chiaro di concetto, fosse invece un oratore noioso? Dite pure che la cosa c’entra poco, ma questo per me è un bel problema filosofico, puntuto e metafisico come pochi altri. Al filosofo, che ambisce per sua propria natura e vocazione al superamento dei dati troppo immediati, felice di navigare piuttosto nei mari tempestosi dell’astrazione, dei concetti alati e delle categorie stratosferiche, certo non deve sorridere l’idea che la sua opera intellettuale venga sottoposta alla prova finestra della vita quotidiana, dell’aneddoto piccante, del dettaglio biografico.
Sono tempi, questi, in cui persino i divi del cinema e quelli dello sport, che pure hanno da difendere soltanto un bel visino o qualche muscolo ben addestrato, difendono a sganassoni la loro privacy dai paparazzi. Figurarsi i filosofi, che della propria dignità, qualunque cosa sia, hanno fatto un feticcio. Ma Whilelm Weischedel, che li visita dalla scala di servizio, è un ospite rispettosisimo, educato e gentile. Solo che ha sue opinioni e i suoi tic. Per esempio è dell’idea che ci sia più filosofia nelle storie personali dei filosofi, nella proverbiale puntualità di Kant o nell’atroce esibizionismo di Rousseau, nell’amore per lo sci di Heidegger e nel fascino intrattenitorio di Socrate a passeggio nel Pireo, di quanta ne abbia mai sognata, senza offesa, la loro filosofia.