Edoardo Narduzzi, ItaliaOggi 9/5/2013, 9 maggio 2013
PER FAR RIPARTIRE L’ECONOMIA, ALZARE L’IVA DI 4 PUNTI E CANCELLARE L’IRAP
Enrico Letta non deve farsi intrappolare nella politica fiscale de noantri, quella che discute e decide di interventi su imposte che non aiutano la competitività e lo sviluppo economico. Oggi la leva fiscale, al pari di ogni altro strumento dell’economia, è totalmente immersa nei meccanismi della globalizzazione. Il policy maker migliore è quello che ne prende atto e ne approfitta. Cosa potrebbe fare Letta per dribblare un pernicioso dibattito sull’Imu? Guardare verso nord e ispirarsi agli scandinavi. Il carico fiscale va aumentato sui consumi e i patrimoni e diminuito sui redditi, sempre più volatili con la globalizzazione e l’innovazione tecnologica, e sul lavoro. Letta dovrebbe scegliere di fare come la Svezia o la Danimarca: aumentare l’Iva al 25% e contestualmente abrogare l’Irap e ridurre il costo del lavoro in maniera sensibile. Ogni punto di Iva vale circa 4 miliardi di gettito, mentre l’Irap sul lavoro privato (i 6 miliardi di Irap incassati sui dipendenti pubblici sono una partita di raggiro) rende ogni anno circa 18 miliardi. Negoziando opportunamente con Bce e Bruxelles, il premier potrebbe ottenere qualche concessione per ridurre ulteriormente il costo del lavoro fiscalizzando gli oneri sociali, perché in Europa sanno bene che una manovra del genere avrebbe sicuri effetti positivi sulla crescita del pil.
È quello che i tecnici del Fmi hanno ribattezzato svalutazione fiscale, per indicare gli interventi tributari in grado di produrre effetti sulle esportazioni e sulla domanda interna analoghi a quelli di un deprezzamento del cambio. Una politica fiscale originale per uscire dall’angolo della crisi, rilanciando il ciclo economico con l’aumento della competitività delle esportazioni. Ma come? Tutto o quasi va spiegato analizzando il meccanismo di funzionamento dell’Iva, un’imposta sul valore aggiunto che incorpora le varie fasi di scambio in maniera neutrale fino a far pagare l’intero tributo all’acquirente finale. Un’imposta pagata nel mercato di destinazione non in quello nel quale il bene o il servizio è stato prodotto. Significa che, un paese che innalza le sue aliquote Iva, come l’Italia, si ritrova a incassare più imposta sui beni e i servizi importati e a poter esportare a condizioni di vantaggio in quei paesi con aliquota più bassa come, ad esempio, la Germania che ha un’imposta del 19%. Iva più alta per esportare meglio e di più, risanando contestualmente il bilancio pubblico. Quasi un paradosso che per funzionare ha bisogno però di un ulteriore passaggio: una riduzione del costo del lavoro domestico in grado di trasferirsi per intero nel costo finale dei beni e dei servizi consumati nel mercato nazionale e sterilizzare, così, l’effetto Iva maggiorata sulla domanda interna e rendere ancora più competitivo l’export.