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 2013  maggio 09 Giovedì calendario

Ultimamente si sente ripetere anche da personaggi di alto livello, che è necessario stabilire in Italia lo «ius soli», perché «è giusto che chi è nato, cresciuto e ha studiato in Italia venga riconosciuto come cittadino italiano»

Ultimamente si sente ripetere anche da personaggi di alto livello, che è necessario stabilire in Italia lo «ius soli», perché «è giusto che chi è nato, cresciuto e ha studiato in Italia venga riconosciuto come cittadino italiano». Peccato che sia chiaramente una contraddizione in termini che sconfina nell’assurdo, dato che secondo lo «ius soli» si acquisirebbe la cittadinanza per il solo fatto del nascere in Italia (anche casualmente), ed è piuttosto difficile che un neonato sia già cresciuto e abbia già studiato! Quale Atena quando nacque dalla testa di Zeus… Possibile che non si possa approfondire seriamente questa delicata questione, e non limitarsi a slogan che hanno ben poco senso! Giacomo Ivancich, Venezia Caro Ivancich, Preferisco il «diritto del suolo» perché non credo che certe materie, come quella della cittadinanza, debbano essere regolate da un fantomatico «diritto del sangue». Non mi piacciono i nazionalismi e in particolare quelli «biologici», frutto di teorie perniciose e screditate. Credo che un bambino nato in Italia da stranieri residenti nella Penisola sia potenzialmente un cittadino italiano. La legge potrebbe prevedere qualche limite e privare della cittadinanza, per esempio, coloro che lasciano definitivamente l’Italia. Una maggiore liberalità avrebbe per effetto l’aumento delle doppie cittadinanze, ma il fenomeno è il naturale risultato dei grandi cambiamenti della società umana negli ultimi decenni. Gli Stati nazionali non sono più creazioni mistiche. Le frontiere, soprattutto in Europa, non sono più barriere invalicabili fra opposti nazionalismi. Gli attori e i protagonisti dell’economia internazionale sono tutti transfrontalieri, destinati in misura crescente a trascorrere una parte della loro vita in luoghi diversi da quelli in cui sono nati e cresciuti. Se la persona che ha due passaporti si comporta correttamente in ciascuno dei Paesi a cui appartiene, la cosa non dovrebbe sorprenderci o, peggio, scandalizzarci. Il maggiore problema italiano, comunque, non è quello dei bambini, ma dei loro genitori. Le leggi e le procedure che regolano la concessione della cittadinanza agli stranieri sono ancora troppo avare e macchinose. In molti Paesi europei sono stati introdotti esami di cittadinanza a cui sottoporre i candidati. I metodi adottati e le prove d’esame variano da Paese a Paese e rispondono a criteri diversi. I Paesi Bassi, ad esempio, cercano di scoraggiare i fondamentalisti e distribuiscono libretti d’istruzioni in cui appaiono, tra l’altro, nudi femminili e scene di matrimoni omosessuali. Negli Stati Uniti e nella Gran Bretagna di David Cameron, i candidati devono rispondere a domande sulla storia nazionale del Paese di cui vogliono diventare cittadini. I quesiti sono discutibili e possono cambiare da un governo all’altro. Ma hanno almeno il merito di ridurre il tasso di discrezionalità e rendere la procedura più trasparente. Non è tutto, caro Ivancich. Alla fine di questo percorso la cittadinanza è ufficialmente concessa durante una cerimonia generalmente organizzata nel palazzo municipale del Comune d’appartenenza alla presenza del sindaco o di una persona da lui delegata. Da un articolo recente del Financial Times apprendo che in Gran Bretagna il numero delle nuove cittadinanze è approssimativamente di circa 200.000. In Italia invece l’ostilità della Lega ha avvolto questa materia in una nebbia burocratica che non giova né al Paese né all’inserimento dei nuovi arrivati nella società italiana.