Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  maggio 09 Giovedì calendario

MILANO —

Sei/sette mesi di agibilità politica: il tempo medio di fissazione di un processo in Cassazione è da ieri anche il tempo politico che rischia di rimanere a Silvio Berlusconi dopo che la Corte d’Appello in serata lo ha condannato per frode fiscale sui diritti tv Mediaset a 4 anni di reclusione (3 dei quali condonati dall’indulto del 2006), 5 anni di interdizione dai pubblici uffici, e 10 milioni di acconto sul risarcimento dei danni all’Agenzia delle Entrate.
In caso infatti di conferma della condanna anche in Cassazione, già a fine 2013 la Giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama si troverebbe a dichiarare la decadenza da senatore di Berlusconi in forza non solo della pena accessoria appunto dell’interdizione dai pubblici uffici, ma anche della legge del novembre 2012 sull’incandidabilità: in base ad essa non può essere candidato, e decade se è già parlamentare, chi riporti una condanna definitiva a pene superiori a 2 anni per delitti non colposi per i quali il codice preveda la reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni (e il massimo per la frode fiscale è 6 anni).
Anche per i giudici d’Appello Galli-Minici-Scarlini, come già l’anno scorso per i giudici D’Avossa-Guadagnino-Lupo in Tribunale, Berlusconi, quale fondatore di Fininvest e azionista di maggioranza di Mediaset (il cui presidente Fedele Confalonieri è invece di nuovo assolto come già in Tribunale), è dunque colpevole di «frode fiscale» sui diritti tv delle majors Usa negoziati dal Biscione nel 1994-1998 tramite l’intermediazione, anch’essa valutata fittizia, del produttore americano Frank Agrama (3 anni coperti da indulto).
In tutto erano rimasti in contestazione solo 7,3 milioni di «frode fiscale», benché all’inizio la Procura, oltre ad «appropriazioni indebite» fino al 1999 e «falso in bilancio» sul 1998, contestasse a Berlusconi «368 milioni di dollari dal 1995 al 1998 di maggiorazioni» di costi dichiarati per pagare meno tasse sui 13.000 passaggi contrattuali nei quali la catena di intermediari fittizi avrebbe spezzettato la negoziazione dei diritti di trasmissione di 3.000 film.
Ma dopo la richiesta di rinvio a giudizio del 22 aprile 2005, il maestoso incedere della prescrizione — accelerata dalla legge ex Cirielli imposta a fine 2005 dalla maggioranza dell’allora premier Berlusconi — ha via via fatto evaporare non solo l’«appropriazione indebita» e il «falso in bilancio» (già nel 2007), ma anche appunto quasi l’intero ammontare della «frode fiscale». Sono sopravvissuti gli effetti tributari degli acquisti 1995-1998 riverberati dai relativi ammortamenti e spalmatisi così ancora sino alle dichiarazioni fiscali del 2003 sul 2002 per 4,9 milioni, e del 2004 sul 2003 per 2,4 milioni.
Berlusconi — che annovera la prescrizione della corruzione di un giudice del lodo Mondadori, la prescrizione di un finanziamento illecito a Craxi, e il proscioglimento da un falso in bilancio di mille miliardi di lire perché il fatto non è stato più previsto come reato dalla sua legge sul falso in bilancio — lunedì prossimo conoscerà la richiesta di pena nel processo Ruby per prostituzione minorile e concussione: intanto quella ottenuta ieri dal pg Laura Bertolè Viale è in assoluto la prima condanna in Appello mai incassata dal Cavaliere, ed è la seconda condanna di merito attualmente pendente, visto che al capo del Pdl il 7 marzo scorso è stato inflitto in Tribunale 1 anno per concorso nella rivelazione di segreto d’ufficio di un’intercettazione (trafugata e portata ad Arcore da un ausiliario dei pm) dell’allora capo dell’opposizione ds Piero Fassino, pubblicata nel 2005 da Il Giornale della famiglia dell’allora premier.
«È una sentenza al di fuori da ogni logica ma ne eravamo certissimi», protesta l’avvocato Niccolò Ghedini, «in qualsiasi altro Tribunale un processo come questo non avrebbe avuto questo esito se la persona imputata non fosse stata Berlusconi». I legali, pur reduci dalla fresca bocciatura che lunedì la Cassazione ha dato alla loro istanza di trasferire il processo a Brescia per l’asserita non serenità dell’intera sede giudiziaria di Milano, ripropongono pari pari questa tesi di una «forza della prevenzione andata al di là della forza dei fatti. I giudici non hanno ascoltato i nostri testimoni, non hanno tenuto conto dei nuovi documenti depositati, non hanno atteso la Corte costituzionale e anzi hanno ieri definito "non rilevante" la decisione che in giugno la Consulta adotterà sul conflitto di attribuzione» tra poteri dello Stato: quello sollevato nel 2011 dal governo dell’ex premier contro i giudici di primo grado che l’1 marzo 2010 non ritennero «legittimo impedimento» un improvviso (benché ordinario) Consiglio dei ministri, convocato in sovrapposizione a una data di udienza già concordata con la difesa.
Poiché l’Appello depositerà tra 15 giorni le motivazioni, è probabile che il capo del Pdl sia al vaglio della Cassazione già entro fine anno, ben prima della prescrizione collocabile nel luglio 2014 e peraltro allungabile di qualche settimana per le recenti sospensioni per campagna elettorale, uveite dell’imputato e attesa del verdetto sul trasferimento o meno a Brescia. Berlusconi confida molto nella Cassazione perché essa nei mesi scorsi ha confermato i due proscioglimenti di Berlusconi disposti in udienza preliminare nel 2011 dalla giudice milanese Vicidomini e nel 2012 dal collega romano Balestrieri nei processi Mediatrade, afferenti lo stesso meccanismo dei diritti tv ma per annate diverse e successive a quelle per le quali ieri il Cavaliere è stato condannato.
Luigi Ferrarella