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 2013  maggio 07 Martedì calendario

MAFIA, L’ASSOLUZIONE NEGATA DAI FAZIOSI

Il mio giudizio politico e culturale su Giulio Andreotti rasenta l’orrore, ma non è importante e soprattutto non toglie che se chiedi come è finito il processo Andreotti, in tutto il mondo, ti dicono che è stato assolto. Anche in Europa ti dicono che è stato assolto. Anche in Italia: a meno che appartengano a quella ristretta fazione appunto di faziosi (divisa tra una minoranza in malafede e una gregge di analfabeti funzionali) che ti spiega che no, non è stato assolto: perché ha «commesso» reati sino alla primavera del 1980 ma i reati poi sono caduti in prescrizione, ecco perché Andreotti non è finito in galera. Questo modo di vedere le cose, tuttavia, non rappresenta un diverso e magari più approfondito punto di vista: rappresenta un tentativo di mischiare le carte e di giustificare il più clamoroso fallimento processuale del Dopoguerra, un tentativo di mischiare il piano giuridico a piani morali e storici: col dettaglio che i tribunali esistono per occuparsi solo del primo.
In tutto il mondo civile gli status giuridici sono due: colpevole o innocente, meglio, colpevole o non colpevole. Andreotti è non colpevole. La sentenza del 2003 in Corte d’Assise d’Appello (poi confermata in Cassazione) dice che «il tribunale assolve Andreotti Giulio dalle imputazioni ascrittegli perché il fatto non sussiste». Assolve. Non colpevole. Non sussiste. Il che significa incensurato, senza conseguenze penali o civili o di nessun genere. È ciò che un tribunale doveva stabilire nel dispositivo: e ciò che conta è il dispositivo. Altri aspetti, fuori sacco e messi nero su bianco nelle motivazioni della sentenza, possono anche essere interessantissimi, politicamente maneggiabili, storicamente utilizzabili: ma prescindono dagli aspetti penali che un tribunale deve affrontare a dispetto di altre valutazioni. Si perdoni il paragone, ma è come mettersi a puntualizzare se una partita di calcio sia stata vinta con cinque gol di scarto o con uno solo, o ai rigori, per squalifica, a tavolino; resta che la partita alla fine qualcuno l’ha vinta, qualcuno l’ha persa, resta che negli annali le puntualizzazioni non ci sono. L’esito è uno solo: dopodiché si può discutere, e scrivere tutti i libri che si vogliono.
È vero che non è stata una partita di calcio, è vero che alcune delle accuse rivolte ad Andreotti, secondo il tribunale, sono storicamente fondate. Ma solo alcune: che peraltro sono di second’ordine rispetto alle principali si fa per dire. È vero che nelle motivazioni della sentenza si legge di «un’autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i mafiosi fino alla primavera del 1980». È pure vero, tuttavia, che l’architrave del processo che è stato al centro delle cronache verteva su altro: su altri tempi e su altra mafia, su un presunto incontro tra Andreotti e Totò Riina, su favori e interessamenti che Andreotti avrebbe garantito alla mafia più moderna, assassina, corleonese: ecco, da tutte queste accuse Andreotti è stato assolto e basta, e questo in tutti i gradi di giudizio. Le accuse precedenti al 1980, che ovviamente possono pesantemente contribuire all’opinione che ci si faccia di lui, riguardano una sua consapevolezza dei rapporti che il suo luogotenente Salvo Lima ebbe con un capomafia; riguardano un plausibile incontro di Andreotti con questo capomafia, circostanza in cui lo statista discusse del presidente della Sicilia Piersanti Mattarella prima che fosse assassinato nel 1980: ebbe, in pratica, un colloquio coi mandanti di un omicidio, e non lo denunciò alle autorità. Sono fatti pesanti, tra altri. I giudici, nelle loro motivazioni penalmente irrilevanti, non omettono tuttavia che Andreotti cambiò poi atteggiamento e contribuì a varare una specifica legislazione antimafia oltreché favorire il rimpatrio di Tommaso Buscetta: «Un progressivo e autentico impegno nella lotta contro la mafia che ha in definitiva compromesso la incolumità dei suoi amici e perfino messo a repentaglio quella sua e dei suoi familiari». E questo è interessante: anche se, come detto, al nostro discorso non interessa.
Interessa ripetere che, con la verità storica e la verità giudiziaria, non si può fare il gioco delle tre tavolette. Interessa ripetere che il definire Andreotti primariamente «colpevole» o «prescritto» è un falso che antepone profili extragiudiziari a una piena assoluzione giudiziaria. E questo per ragioni politiche o di strenua difesa di chi quel processo l’ha perduto: il procuratore Giancarlo Caselli e i suoi sostituti oltre all’apparato massmediatico che ancor oggi ricama distinguo. O, peggio, mente nella sostanza. Ancora ieri, infatti, sul solito Fatto Quotidiano (online) si scriveva questo: «Chi ha voluto delegittimare i magistrati di Palermo e osannare Giulio Andreotti ha sempre detto che è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa... Ma non è così». E invece è così. Giancarlo Caselli, che definisce Andreotti «colpevole fino al 1980», appartiene alla categoria del faziosi. Una come Giulia Sarti, deputata del Movimento 5 Stelle che ha parlato di «condannato prescritto per mafia», appartiene alla categoria delle ignoranti. Giulio Andreotti è morto incensurato: a parte una condanna per diffamazione. Dire che l’avrebbero condannato se non fosse stato prescritto è come dire che l’avrebbero condannato se non l’avessero assolto.